2023-03-29
Retegui è soltanto il primo. Il Mancio ha fatto una lista di azzurri dal Sudamerica
Mateo Retegui (Getty Images)
Il ct Roberto Mancini lamenta poca linfa dalla Serie A per la Nazionale: l’esperimento col bomber del Tigre ha funzionato e allora ci sono altri discendenti di emigrati da valutare. Chi coltivasse qualche velleità da dandy fuori tempo massimo, ricorderà le parole di Charles Baudelaire ne Lo Straniero. Il poeta parigino scriveva pressapoco così: «Non so a che latitudine si trovi la patria, non ho né padre, né madre, né fratelli, amo solo le nuvole che fluttuano nel cielo». L’eroe del suo componimento, se vivesse ai nostri giorni, sguazzerebbe alla grande nel calcio globalizzato, dove le nuvole fluttuano davvero, spesso portatrici di tempesta, un calcio che si dice tarpi le ali ai giovani esordienti, annacqui le identità locali, preferendo celebrare i grandi blasoni solo quando possono spendere cifre pantagrueliche acquistando figurine. Una conseguenza è sotto gli occhi di tutti: le nazionali, soprattutto quelle europee, sono costrette a inventarsi espedienti per rimanere all’altezza della loro bacheca di trofei vinti ai tempi in cui i campionati locali producevano talenti, non avevano timore di schierarli ancorché imberbi, valorizzavano i concetti di bandiera e appartenenza. Anche per questo motivo Roberto Mancini, dopo gli infelici risultati azzurri dell’ultimo periodo, deve aver deciso di tirar fuori dal cilindro un coniglio il cui nome era già noto agli appassionati di pallone degli anni Sessanta e Settanta; l’oriundo. È la schiatta di calciatori dagli antenati italiani, ma dal presente sudamericano, alla quale il ct desidera attingere per rimpolpare una rosa tecnicamente scarsa rispetto al passato. «Lo fanno tutti. Noi siamo già molto in ritardo rispetto agli altri paesi. Finora non ne avevamo bisogno, perché schieravamo grandi calciatori. Ma la percentuale è calata. A noi è capitato di crescere nelle nostre giovanili giocatori che poi ci sono stati strappati da altre nazionali. Adesso lo faremo pure noi», ha dichiarato il tecnico di Jesi, rimarcando quella che, oltre a una dichiarazione d’intenti, somiglia a un orizzonte programmatico, da alcuni criticato, ma che una sua logica ce l’ha. Non è nemmeno una dirompente novità. Basti pensare a Mauro German Camoranesi ai Mondiali 2006. Mancini ha deciso di puntare dritto non sui cosìddetti «nuovi italiani» - in verità fino a ora, Wilfred Gnonto a parte, non particolarmente brillanti - ma su quelli «vecchi», coloro che, pur vivendo in un paese distante dallo Stivale, hanno sangue e antenati che da quello Stivale hanno viaggiato per lavorare e rifarsi una vita all’estero, spesso nell’America Latina. Personaggi che potrebbero diventare partecipi delle vicende nostrane, forti di una certa appartenenza in linea di discendenza. Le ultime convocazioni hanno visto vestire la casacca azzurra a Mateo Retegui, due volte in gol contro Inghilterra e Malta, punta del Tigre e oggetto di interesse di Milan e Inter. In Under 21 è stato poi convocato Bruno Zapelli, centrocampista classe 2002, esordiente nel match vinto per 2-0 dagli azzurrini contro i coscritti serbi. Il sito specializzato Calciomercato.com ha diffuso alcune indiscrezioni sulle prossime possibili convocazioni di oriundi pensate da Mancini. Su radar di Coverciano ci sarebbe Gianluca Prestianni, classe 2006, attaccante del Vélez, campionato argentino, esordiente in prima squadra a soli 17 anni, in un futuro prossimo in possesso del passaporto italiano. Poi si parla di Nicolas Capaldo, pure lui della terra di Maradona, ventiquattrenne cresciuto nel Boca Juniors, oggi centrocampista del Red Bull Salisburgo (campionato austriaco) con cui ha affrontato il Milan in Champions e la Roma in Europa League. Può ricoprire anche il ruolo di terzino ma esprime le sue qualità di incursore duttile quando gioca da mezzala destra. Il terzo nome è quello di Giuliano Galoppo, nato a Buenos Aires nel 1999, centrocampista capace di vedere con occhio scaltro la porta, peculiarità che portano il suo allenatore - attualmente milita nel Sao Paulo, in Brasile - a schierarlo sia come trequartista sia come mediano. L’ultimo della lista potrebbe essere Marco Di Cesare, 21 anni, difensore centrale dell’Argentinos Juniors, stazza degna di nota e nerbo da stopper arcigno. Il messaggio del commissario tecnico italiano ha una valenza politica ed è diretto ai massimi dirigenti della federazione: sono costretto a fare le nozze coi fichi secchi, devo inventarmi accorgimenti per mantenere competitiva la squadra, attingendo, se necessario, pure dalla serie cadetta. E qui si innesca un precedente, poiché non era quasi mai accaduto che la Serie B fosse terreno di caccia per gli allenatori della Nazionale. Si fa di necessità virtù. In Serie A è molto difficile oggi che un giovane esordiente trovi spazio in prima squadra, fosse anche nella rosa di un club di media classifica, e persino Gnonto, nato a Verbania ma di origini ivoriane, ha esordito in azzurro senza mai aver messo piede nel massimo campionato italiano. L’attaccante del Leeds è cresciuto nel settore giovanile dell’Inter ma per affermarsi è volato in Svizzera, firmando un contratto con lo Zurigo per poi essere notato dagli osservatori di Premier e approdare in Inghilterra. Si badi bene: l’Italia sta compiendo una scelta opposta a quella della Germania. La nazionale teutonica, negli anni, per arginare il depauperamento tecnico imposto dalle fluttuazioni territoriali del calcio globale, ha deciso di convocare giocatori che con il passato tedesco non hanno molto a che fare, se non per nascita. Ecco allora comparire in rosa gli Ozil, gli Emre Can, Felix Nmecha, di origini anglonigeriane, Merigm Berisha, di ascendenze albanesi. E però anche nel caso della nazionale composta da «nuovi tedeschi» i risultati non annoverano particolari trionfi. Chi riesce a valorizzare i più giovani è forse la Francia. La Ligue 1 pullula di under 20 schierati spesso titolari, capaci nel tempo di rimpolpare i ranghi dei Blues. Ma nel caso transalpino, così come in misura analoga in quello belga, spesso fioccano le critiche ai calciatori accusati di scarso impegno quando convocati in nazionale poiché, sostiene qualche maligno, la bandiera francese (o belga) non è percepita come identitaria da atleti che nel cuore mantengono ascendenze differenti. Del resto, quando ai recenti Mondiali in Qatar il Marocco trionfava sugli avversari approdando fino alle semifinali, la maggioranza dei suoi tifosi dal passaporto francese festeggiava mettendo a ferro e fuoco Parigi e intonando l’inno marocchino. Mancini tenta di lustrare l’altro lato della medaglia: i vecchi italiani, cioè dei giovani che pur non avendo mai visto la patria d’origine, ne conservano il ricordo attraverso il retaggio delle loro famiglie.