2022-11-30
Rete unica, nuovo disegno. Sullo sfondo attriti Usa -Uk
Il governo archivia il vecchio progetto di fusione tra le infrastrutture di Telecom e Open Fiber. Avanza l’ipotesi di una scissione. La scelta del player è decisiva: l’esecutivo deve tutelare gli obbligazionisti. Mentre su Sparkle ci sono antenne alzate all’estero.Al penultimo giorno utile, il governo ha detto la sua sulla rete unica. Un comunicato abbastanza sintetico per dire che i lavori tecnici svolti fino a oggi torneranno buoni per le prossime scelte strategiche sul perno di crescita del Paese: le telecomunicazioni. «Tenendo conto della priorità di valorizzare le risorse umane di Tim e dare attuazione a una efficiente e capillare rete nazionale a controllo pubblico, il governo intende promuovere un tavolo di lavoro che, entro il 31 dicembre, possa contribuire alla definizione delle migliori soluzioni di mercato percorribili per massimizzare gli interessi del Paese, delle società coinvolte e dei loro azionisti e stakeholder, tenendo altresì conto delle normative esistenti a livello nazionale ed europeo e dei necessari equilibri economici, finanziari ed occupazionali». A firmare la nota Adolfo Urso e Alessio Butti, rispettivamente ministro delle Imprese e titolare delle deleghe digitali di Palazzo Chigi. Prima annotazione. Nel comunicato non si parla più di rete pubblica, ma rete nazionale a controllo pubblico. Il che apre a uno scenario diverso da quello messo in pista dal precedente governo. Escludendo l’operazione mirata a un’Opa di Cdp su Tim, si punta anche, però, a escludere la strada della cessione. E siccome gli scenari non sono illimitati, resta da percorrere la via della scissione. Cioè, la possibilità di scorporare pezzi (rete, servizi e altri asset come Tim Brazil) e costituire nuovi pacchetti con gli azionisti al momento seduti attorno al tavolo. In questo modo, Giorgia Meloni bloccherebbe l’offerta di Cdp per la rete Tim, da integrare con quella di Open Fiber, la stessa per cui era stato sottoscritto un memorandum di intesa che avrebbe previsto l’offerta entro il 30 novembre. Dopo l’incontro di ieri cresce, dunque, la possibilità che il Memorandum of Understanding firmato anche con i fondi Kkr e Macquarie e con Open Fiber resti a seccare in un cassetto. Non si è fatto attendere l’impatto sul titolo in Borsa: un’altalena che ha portato Tim a toccare i 21 centesimi di euro, in calo del 4%, per poi risalire in terreno positivo e infine chiudere in calo dell’1,2%, a 0,22 euro. In realtà, la mossa del governo mette in difficoltà soltanto Cdp. Gli altri soci osservano con interesse la nuova postura mentre Cassa dovrà fare marcia indietro su un progetto che, almeno formalmente, ha sostenuto fino a ieri. Dovrà, dal punto di vista tecnico e operativo, spiegare come incrociare la rete di Open Fiber e gestire lo scambia carta contro carta. Mentre, dal canto suo, il governo dovrà prestare attenzione a due elementi di fondo. Il primo è sociale, il secondo è geopolitico. Tim ha più di 40.000 dipendenti, Open Fiber ne ha meno di 2.000. Palazzo Chigi mira a tutelarli tutti. E non sarà facilissimo, anche se è fattibile. L’altro aspetto riguarda, invece, gli obbligazionisti. Se si prende il bilancio di Tim, si vede che è iscritto un debito superiore ai 32 miliardi di euro. Non perdiamo tempo a spiegare come si è arrivati a tale montagna (tutte le Opa a debito a cominciare da quella sinistra di Roberto Colaninno), ci basta vedere che oltre 18 miliardi insistono su obbligazioni, sia istituzionali che retail. Negli ultimi anni hanno garantito un buon rendimento (una media superiore al 6%) con una ottima garanzia sottostante. La garanzia, nei fatti, è la rete. Se si avvia una scissione, bisogna prestare attenzione che il player dell’operazione non solo non faccia ulteriore debito, ma che non sfili la rete da sotto le obbligazioni. Crollerebbero i prezzi e schizzerebbero i rendimenti, già in tensione per via dell’inflazione. Il debito bancario, così come i leasing, dovranno dunque concentrarsi sulle attività di service. Non è un dettaglio. I fondi stranieri, per natura, potrebbero puntare proprio all’obiettivo opposto per massimizzare i ritorni. Il rischio, però, è di svegliarsi un giorno con la grana obbligazionisti, che sarebbe peggiore di quella vissuta ai tempi neri delle banche. Un esempio su tutti: Mps.A completare il puzzle degli incroci, c’è l’aspetto geopolitico. Tra gli asset di Tim c’è Telecom Sparkle, la vecchia Italcable entrata nell’orbita Stet fino a diventare l’hub di comunicazioni via cavo più delicato al mondo. Sparkle collega gli Stati Uniti a Europa e Israele e da lì il vecchio Commonwealth. Per capire quanto sia importante ricordiamo che chi in passato ha cercato di impossessarsene, è rimasto letteralmente fulminato. Ricordiamo le inchieste giudiziarie ai tempi di Tronchetti e soprattutto di Silvio Scaglia ai tempi di Fastweb. Nonostante gli interessi finanziari risultino convergenti, oggi quelli geopolitici di Kkr da un lato e degli australiani di Macquarie dall’altro sono in forte divergenza. I secondi, per rimanere nella partita, dovranno accettare di non valorizzare Open FIber, presa a caro prezzo. Gli australiani, nel mondo dei Five eyes, sono più vicini a Londra e rispondono alle logiche dell’intelligence Uk. Per gli Usa mantenere un piede sui cavi del Mediterraneo è imprescindibile e di certo non sono disposti a delegare potere ai cugini inglesi. Piccole frizioni che il governo non può assolutamente trascurare.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)