
L’Agcom apre un’istruttoria su vari punti oscuri del Festival, dalle sceneggiate da gay pride in onda nella fascia protetta, ai favori a Instagram e Amazon: hanno avuto pubblicità gratis e gonfiato il mercato di Fedez e Amadeus, senza creare utili per la tv di Stato. dell’Agcom che non mostra alcuna intenzione di soprassedere. Ieri il consiglio direttivo dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dato il via a un’istruttoria nei confronti dell’azienda e degli ospiti coinvolti, dopo aver preso atto «dell’evidente gravità» dei fatti contenuti in numerosi esposti arrivati a contestare i comportamenti dei manager di viale Mazzini durante il festival. Ora saranno gli uffici a dover completare il dossier; si prevedono sanzioni (da 10.329 euro a 258.228) che potrebbero arrivare sulla testa degli allegri protagonisti dopo il prossimo consiglio, previsto fra due settimane. Le accuse sulle quali vuol fare chiarezza l’autorità sono quelle ipotizzate anche da azioni delle procure e dall’indagine interna Rai: pubblicità occulta per Chiara Ferragni, Fedez, Amadeus, per il direttore dell’Intrattenimento Stefano Coletta (a causa dell’omesso controllo), e mancanza di tutela dei minori per Blanco, ancora Fedez, Rosa Chemical e i dirigenti Rai che hanno permesso le sceneggiate pop andate in onda prima delle 23, con i bambini teoricamente davanti al televisore. Sono i vantaggi e i dolori del servizio pubblico, proprio per questo diverso negli approcci e nelle regole (politicamente condivise) da concerti, luna park ed emittenti private. L’Agcom guidata dal presidente Giacomo Lasorella ha deciso di intervenire, prendendo atto di una gestione anarchica dell’evento durante il quale si è notata una carenza editoriale senza precedenti, nel senso che Amadeus e i suoi ospiti hanno potuto scorrazzare nelle praterie arcobaleno e transgender senza alcun controllo né contraddittorio. Il tema aperto dall’autorità avrà effetti anche in consiglio d’amministrazione Rai, dove l’ad Carlo Fuortes sarà costretto - contratti alla mano - a spiegare la presenza indebita di Instagram e Amazon come convitati di pietra di tutto il festival. Il network di Mark Zuckerberg sul palco, per le interazioni social su contenuti di esclusiva proprietà della Rai; quello di Jeff Bezos nel backstage con la presenza delle telecamere funzionali alle riprese della seconda stagione di The Ferragnez, in onda in marzo a pagamento su Amazon Prime Video. I consiglieri Rai tagliati fuori da ogni informativa (Igor De Biasio, Simona Agnes, Francesca Bria, Riccardo Laganà e Alessandro Di Majo) aspettano l’ad il 3 marzo per un’autentica resa dei conti. Alla vicenda guarda con attenzione anche la Corte dei conti per un possibile danno erariale. A peggiorare la situazione sono arrivate le giustificazioni di alcuni dirigenti, giudicate delle aggravanti. Particolarmente contraddittoria viene considerata quella di Gian Paolo Tagliavia, ad di Rai Pubblicità, che prima ha dichiarato non esistere alcun contratto di sponsor fra Rai e Meta (proprietaria di Facebook e Intagram) e subito dopo si è arrampicato sugli specchi per giustificare la pubblicità occulta. «Avere Chiara Ferragni e non parlare di Instagram era difficile, ci sono state delle idee editoriali. Laddove ci dovesse essere una collaborazione continuativa, ci sarebbe un’apertura anche ad aspetti commerciali, che quest’anno sono appunto passati in secondo piano perché c’erano esigenze editoriali che andavano preservate». Di fatto è un’ammissione di colpa perché «far passare in secondo piano gli aspetti commerciali» significa creare un danno all’azienda pubblica sostenuta dal canone dei contribuenti (1,7 miliardi l’anno) a favore di marchi neppure presenti nel borderò degli sponsor ufficiali. Ora sia Agcom, sia cda Rai si chiedono quali fossero «le esigenze editoriali da preservare» per stendere i tappeti rossi a Instagram, se non quelle di moltiplicare i follower di Ferragni, Fedez, Amadeus e di fare pubblicità al social in deroga ai diritti di esclusiva. Le accuse ai manager sono chiare: omesso controllo (una formula che Coletta non accetta perché «ho dormito tre ore per notte») e mancata segnalazione dell’anomalia al direttore artistico Amadeus. I protagonisti del pasticcio non possono neppure trincerarsi dietro le imprevedibilità della diretta perché niente, al festival di Sanremo, è lasciato al caso. E lo stesso Tagliavia ha sottolineato: «Il successo è stato determinato dal fatto che Amadeus ha avuto l’incarico molto presto e ha potuto lavorarci con largo anticipo». E meno male.La celebrazione gratuita della piattaforma americana con iperboli pedagogiche («Chi non ce l’ha è uori dal mondo», il messaggio di Ferragni ad Amadeus prima di aprirgli l’account) è il cuore del problema. Esperti di cose Rai sono convinti che «il rapporto fra tv e utente deve essere chiaro e trasparente». Ne deriva la conseguenza che non è possibile veicolare un messaggio subliminale cercando di convincere il pubblico ad acquistare un prodotto. Agcom dovrà decidere se dal palco dell’Ariston è andata in onda una gigantesca autopromozione - davanti a più di 10 milioni di persone - che invitava i telespettatori a seguire profili privati. Così va definitivamente in fuorigioco il festival che aveva fra le sue specificità «le integrazioni fluide» (copyright Amadeus). Così fluide e social da aver fatto diventare ricchi tutti tranne chi aveva l’esclusiva per trasmetterlo.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.






