2020-07-26
Renziani e dem si scatenano per il rimpasto
Maria Elena Boschi (Ansa)
Iv e Pd presentano il conto al premier per la presunta bella figura in Europa e pretendono il Mes. Il pressing punta alle difficoltà del M5s per incassare poltrone: Maria Elena Boschi è già pronta per l'Istruzione, voci su Nicola Zingaretti al Viminale ma l'operazione è complessa.«Follow Bettini». Parafrasando la famosa frase «Follow the money», ovvero per scoprire la verità segui i soldi, pilastro del «metodo Falcone» nella lotta alla mafia, possiamo tranquillamente affermare che per comprendere le intricatissime trame del Pd, partito in congresso permanente effettivo, e dunque le sorti della maggioranza giallorossa, e quindi del governo guidato da Giuseppe Conte, occorre tener d'occhio ciò che dice, pensa e fa Goffredo Bettini, eminenza grigia dei dem. Bettini, che si muove dietro le quinte con riconosciuta maestria, tanto per fare un esempio è stato tra gli artefici dell'elezione di Nicola Zingaretti alle segreteria, e poi lo ha «scaricato», convincendosi della necessità che a guidare il Pd sia l'attuale vicesegretario, Andrea Orlando. Ieri, Bettini, attraverso un'intervista alla Stampa, ha lanciato un paio di messaggi a Conte: «Il presidente del Consiglio», ha detto Bettini, «è molto più forte: è il leader più nuovo di quelli in campo. Non vorrà fare un suo partito, ma rimanere il capo di una coalizione competitiva per battere la destra. Guiderà l'Italia fino alla fine della legislatura. Le risorse del Mes? Sono di grande importanza: non per moltiplicare nuovi progetti di spesa», ha aggiunto Bettini, «ma per utilizzarle al posto di risorse che andrebbero reperite sul mercato a costi più alti». Traduzione: caro Giuseppi, noi siamo disposti a arginare la voglia matta di Matteo Renzi, Luigi Di Maio e altri esponenti della maggioranza di mandarti a casa, ma tu il Mes devi assolutamente prenderlo. Motivo? Se Conte ha potuto pavoneggiarsi per il risultato del Consiglio europeo, sussurrano sia nel Pd che ai piani alti del M5s, è perché ha potuto contare sul lavoro e sulle relazioni di un poker dem: i ministri Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola, il Commissario europeo, Paolo Gentiloni , e il presidente dell'Europarlamento, David Sassoli. Dunque, ora Conte deve in qualche modo ripagare cotanto disinteressato impegno, dicendo sì al Mes come chiede il Pd. Il M5s si spaccherebbe in Aula? Poco male, anzi bene: i dem e Renzi non vedono l'ora di assistere alla scissione dei pentastellati, per rimpiazzare i «duri e puri» con Forza Italia (direttamente, se Silvio Berlusconi deciderà di mollare Matteo Salvini e Giorgia Meloni, o attraverso una diaspora «spintanea» dei senatori e dei deputati necessari. Per consentire a Silvio di sganciarsi dai sovranisti, il Pd sta spingendo sulla legge elettorale proporzionale). In questo modo, si libererebbero pesanti poltrone ministeriali, sulle quali far accomodare eccellenti terga: il rimpastone di settembre, dopo le elezioni regionali, è già in fase di cottura.Maria Elena Boschi andrebbe all'Istruzione al posto di Lucia Azzolina, che verrà travolta dalle difficoltà dell'inizio dell'anno scolastico, nelle stesse ore delle regionali; i dem puntano al ministero del Lavoro e a quello dell'Interno; per accontentare Forza Italia o i «responsabili», ci sarebbero i Trasporti, l'Ambiente e altre poltroncine varie e eventuali.Dunque, il Pd presenta il conto a Conte, e lo fa accelerando sul Mes, iceberg sul quale si infrangerebbe, in Parlamento, l'attuale maggioranza, dando vita a quella nuova, «degrillinizzata» al punto giusto. Giuseppi, da parte sua, dovrà accettare di tornare alle origini di vice dei suoi vice: altro che task force e cabine di regia, il premier dovrà pettinarsi il ciuffo come gli diranno di fare i partiti di maggioranza, dovrà ascoltare e eseguire i loro «consigli», dovrà mettere da parte la propaganda da Istituto Luce e rendersi conto che, non essendo mai stato eletto neanche consigliere condominiale, non può pretendere di fare quello che gli pare. Del resto, il ritorno al proporzionale altro non è che un tuffo nel passato, ai bei tempi della Prima repubblica, quando i presidenti del Consiglio contavano molto meno dei segretari di partito. A proposito di segretari di partito: traballa come non mai la poltrona di Zingaretti, che non a caso viene segnalato da alcune indiscrezioni come candidato alla successione di Luciana Lamorgese al Viminale. Quando La Verità ha chiesto ai piani alti del Nazareno se l'ipotesi fosse fondata, considerato che Zingaretti è presidente della Regione Lazio, la risposta è stata questa: «Perché, Zingaretti fa il presidente della Regione Lazio? Lo avete mai visto fare qualcosa da presidente di Regione? Zingaretti ha un solo pallino, diventare sindaco di Roma». Succederà? Non si sa. Quello che si sa, è che per Conte il momento della (vana)gloria post Consiglio europeo è durato lo spazio di un Casalino: legge elettorale, Mes ed elezioni regionali incombono e Pd e Italia viva stanno mettendo spalle al muro il premier. Il quale davanti a sé ha due strade: proseguire con l'atteggiamento da Napoleone (e andare a sbattere un minuto dopo le regionali) oppure rendersi conto che si trova a Palazzo Chigi per una serie irripetibile di fortunate (per lui) coincidenze. In questo caso, Conte dovrà soddisfare gli appetiti di poltrone del Pd e di Italia viva e dovrà ricucire il rapporto con quella parte del M5s, capitanata da Luigi Di Maio, che non ne può più del suo comportamento da piccolo monarca.