
L'ex premier gioca a fare il padre nobile della coalizione Pd-M5s e lascia sulla corda Nicola Zingaretti: «Quello che avverrà nel partito lo vedremo a tempo debito. Salvini si dimetta. Parlamento contro la deriva Papeete».L'abito è quello blu delle grandi occasioni (stavolta pure completato dalla cravatta), il tono quello drammatico dell'ora delle decisioni irrevocabili. «Se il Paese dovesse andare al voto aumenterebbe l'Iva e noi dobbiamo impedirlo perché l'Italia non deve precipitare nella recessione», proclama Matteo Renzi in versione profeta di sventura. E come lo si impedisce? Con una grande ammucchiata tra sinistra e 5 stelle. Domenica aveva annunciato la sua idea con un'intervista al Corriere della Sera; ieri pomeriggio l'ha formalizzata con una conferenza stampa prima della seduta del Senato. Renzi ha gettato la maschera. Per lui il voto di ieri sera di Palazzo Madama sul calendario della sfiducia è l'anticipo di una nuova maggioranza e di un nuovo governo.Il Bullo parla «da ex presidente del Consiglio», da «uomo delle istituzioni», si accomoda su un gradino sopra gli altri e pontifica come un oracolo, tra un ricordo di una «lunga chiacchierata con Barack Obama» e le previsioni più fosche sul futuro dell'economia. Il suo è «un appello serio a tutte le forze politiche responsabili». In realtà è la proposta di un nuovo governo di cui Renzi arriva a dettagliare il programma: niente aumento dell'Iva, piano per le periferie, piano contro il dissesto idrogeologico, economia circolare, scuole, Europa, riduzione del numero dei parlamentari. Il pacchetto è pronto e già confezionato pur di fermare Matteo Salvini, l'eversore, il leader che «strumentalizza i valori più significativi», il ministro dell'Interno che «chiede i pieni poteri»: Renzi paragona Salvini a Benito Mussolini e Adolf Hitler. Il programma del nuovo governo non ha una data di scadenza, l'ex segretario Pd non si sbilancia. La certezza è una, tutt'altro che dimostrata: che votare a ottobre equivalga a fare aumentare l'Iva. Non è così, perché ci sarà sempre un governo che farà la sua manovra. Ma per Renzi sono dettagli dei quali dal suo piedistallo egli non si occupa. Il capovolgimento è totale. Dice che personalmente è un passo che gli costa perché sente sul groppone il peso del fango che i 5 stelle gli hanno rovesciato contro da anni. Non dice che lui, nonostante gli insulti, ha sempre brigato per arrivare a un patto con i grillini. Lo ricorda Claudio Velardi in un tweet ai «giornalisti smemorati e/o disinformati»: «L'anno scorso Renzi stava già per fare l'accordo con i 5 stelle. Si tirò indietro perché nel Pd non gli fecero gestire la trattativa». Una «narrazione» che il Bullo cancella.In base a che cosa si giustifica questa giravolta? «Siamo di fronte a un fatto clamoroso che non va sottovalutato», dice il Bullo: «La prima crisi in pieno Ferragosto nella storia della Repubblica. Questa è tutta un'altra storia rispetto a 18 mesi fa». «Salvini oggi è minoranza», dice Renzi anticipando la bocciatura delle mozioni che chiedevano di anticipare il voto di sfiducia per Giuseppe Conte. Per lui l'ammucchiata favorevole allo slittamento equivale a una nuova maggioranza: «Il mio appello alle forze politiche ha lo spazio per poter essere accolto». Il voto sul calendario segna addirittura «una nuova pagina per l'Italia» che consentirà di «evitare lo stress di un passaggio elettorale prima di tagliare il numero dei parlamentari e la cancellazione dell'Iva». Con tanti saluti a quanti, compreso il Quirinale, chiedono un accordo «alto» per formare un nuovo esecutivo: altro che patto costituzionale, per Renzi una maggioranza rabberciata su una mozione equivale al nuovo asse che «metterà in sicurezza i conti» e «restituirà Salvini ai suoi mojito»: «Contro la deriva del Papeete c'è la democrazia parlamentare».Su come gestire questa fase Renzi ostenta un atteggiamento da «padre nobile»: «Toccherà ai segretari di partito e ai capigruppo». Lui se ne lava le mani: «Io non darò alibi a nessuno per fare saltare l'accordo che il tabellone di Palazzo Madama mostrerà essere possibile», ha ripetuto. Ma questo apre la partita all'interno del Pd. «Nicola Zingaretti ha fatto due richieste», spiega: «Ha invocato unità tra i partiti e che sia la segreteria a gestire questo passaggio: mi sembrano due richieste comprensibili e da accogliere». Quindi lui lancia l'appello ma costringe il segretario a gestirlo. «Vedo il Pd che ha decisamente aperto, che c'è una discussione in corso», ripete ancora riferendosi alla possibilità del governo istituzionale per rinviare il voto e defenestrare Salvini.Ma Nicola Zingaretti che farà? Si farà dettare la linea da Renzi? E il Bullo piegherà la testa come un soldato semplice davanti al generale che darà ordini diversi dai suoi o ci sarà una rottura? Su questo il senatore di Rignano lascia le porte aperte, lui non si abbassa al livello di un «dibattito tra le correnti del Pd, delle quali peraltro ho perso il conto: quello che succederà nel Pd lo vedremo a tempo debito nelle sedi istituzionali del partito». Una barzelletta: lo sanno tutti che la vera questione è la lotta interna al Pd tra i gruppi parlamentari, in mano a Renzi, e i nuovi vertici del partito legati a Zingaretti. La minaccia della scissione rimane come una spada di Damocle sulla testa del segretario. Per ora Renzi si accontenta di varare la grande ammucchiata degli anti Salvini, mascherata da un governo «no tax». Il resto si vedrà.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.