
L'ex premier indagato per finanziamento illecito non si presenta per l'interrogatorio e chiede di non essere giudicato a Firenze. Intanto bussa a quattrini sul sito Web che ha appena aperto per attaccare i magistrati.Immaginatelo in grisaglia e borsalino in versione Untouchables. Matteo Renzi si sente così. I suoi genitori sono condannati e imputati, il cognato è in attesa di sapere se andrà a giudizio, lui stesso è indagato per finanziamento illecito per la gestione delle erogazioni raccolte dalla fondazione Open. Ma grida al complotto. Non si rende conto che la scusa di essere sotto attacco giudiziario in quanto uomo potente non regge più. Lui ormai conta come il due di coppe quando briscola è bastoni.Quando era premier, anzi, l'aveva probabilmente sfangata. Luca Palamara ha fatto intuire come. Adesso, però, l'egida non c'è più. La pelle della capra Amaltea non lo può più proteggere ed è tornato a essere un cittadino come tutti gli altri. E non se ne capacita. Schiera avvocatoni, insulta i magistrati, cerca il corpo a corpo, senza rendersi conto che i nodi di una stagione di potere vissuta in modo troppo disinvolto stanno venendo al pettine.Assistere al tramonto del Renzismo fa stringere il cuore, soprattutto a chi, come noi, non si era unito al coro degli adulatori, al tempo in cui incedeva trionfante tra folle plaudenti e giornalisti-agiografi. Sarebbe troppo facile ricordare la citarista del Corriere sempre pronta a cantarne le gesta, ma a noi piace di più rimembrare l'aedo del New York times, il quale, folgorato dal suo crine circonfuso di luce, ricordò ai suoi lettori che alcuni dei migliori amici di Renzi a Firenze usavano «la parola illuminato per descriverlo».Adesso intorno a lui è solo un fuggi fuggi e uno sfruculiare di gesti apotropaici. L'ultima disertrice sembra sia considerata Maria Elena Boschi colpevole di non essere scesa in campo a difendere il suo vecchio pigmalione dopo che abbiamo pubblicato la pagina vergata dall'ex presidente di Open, Alberto Bianchi, con un presunto riassunto del Renzi-pensiero: «Su Meb insiste a dire che è brava, è “donna-quindi-troia" […]». L'ex segretario Pd, schiumante di rabbia, ha avuto la pensata (ma chi gliel'ha suggerita? Pietro Gambadilegno?) di mettere in piedi un sito anti magistrati.Un'idea che non sarebbe venuta neanche a Cesare Previti e Marcello Dell'Utri dopo una sbornia di Vecchia romagna. Ovviamente i giornali berlusconiani hanno subito abboccato come per un riflesso pavloviano, quasi dimentichi dei festeggiamenti del fu Rottamatore quando Silvio fu cacciato dal Senato. Il 21 novembre Renzi, toccato nel portafogli dai pm di Firenze, ha annunciato: «Oggi abbiamo registrato il sito www.GuerraARenzi.it, in cui, nei prossimi mesi, seguiremo i processi, le indagini, le accuse e daremo conto in modo trasparente della situazione». Il tempo di svelare l'ideona e il Renzi versione Sgarbi quotidiani, lascia il posto al venditore di olio di serpente, stile Vecchio West: «Torno a chiedervi un sostegno economico […] i grandi finanziatori hanno paura delle conseguenze mediatiche di un sostegno nei miei confronti. Servono allora piccoli versamenti da 2, 5, 10 euro». Dopo aver chiesto la paghetta, ha minacciato che farà «indagini difensive». Che non saranno particolarmente complicate: gli basterà chiedere lumi all'ex presidente di Open Bianchi e controllare gli estratti conto. Le intemerate di Renzi non finiscono qui. Sui social ha dato notizia dell'assoluzione definitiva dall'accusa di riciclaggio per i vertici della casa farmaceutica Menarini, i fratelli Aleotti, tra i suoi principali finanziatori: «Dopo dieci anni, la Cassazione ha totalmente cancellato l'indagine partorita dai pm di Firenze» ha scritto Matteo. «[…] in un colpo solo, si cancellano paginate e paginate sui giornali, notti insonni, ordini cancellati, accordi con l'estero saltati. Ma almeno c'è la parola fine. Il nome dell'azienda è Menarini, il nome del pm fiorentino non importa scriverlo». Ovviamente è lo stesso che sta indagando su di lui e che ha fatto arrestare i suoi genitori, procurando a lui e famiglia «notti insonni, ordini cancellati, accordi con l'estero saltati». Magari in Cina, Emirati, Montenegro, Spagna, Brasile e Africa, posti dove qualche affaruccio i Renzi lo hanno fatto o hanno provato a farlo. Infine l'ex sindaco di Firenze ha toccato vette sublimi rendendo pubblica un messaggio inviato alla Procura, missiva che avrà eccitato il suo fan club di Sollicciano: «Egregio dottor Turco, ho ricevuto un Suo invito a comparire per la giornata di martedì 24 novembre nel procedimento in cui sono indagato insieme ad altri per finanziamento illecito», ma «nella giornata di domani sarò nella capitale per assolvere al mio dovere costituzionale di rappresentante della Nazione in base all'articolo 1 della Costituzione». L'ego di Matteo, cresciuto a prosciutto toscano e crostini, cresce di taglia: non rappresentante del popolo, ma direttamente della Nazione. Non basta. Il Bullo, come lo soprannominava il compianto Giampaolo Pansa, con la sua letterina, ha informato gli inquirenti di non voler essere processato a Firenze. Forse preferisce Roma, dove riusciva a vaticinare al padre i nomi dei pm che lo avrebbero interrogato. Per questo ha deciso di presentare «un'eccezione di incompetenza territoriale» e ha chiesto di verificare «il rispetto formale e sostanziale delle guarentigie di cui all'articolo 68 comma 3 della Costituzione». In base ad esso è richiesta l'autorizzazione del Parlamento per sottoporre i suoi membri «a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». A giudizio di Renzi tali garanzie «appaiono purtroppo gravemente lese, in modo reiterato e sistematico, da una prima lettura degli atti pubblicati dai media». Atti che i suoi avvocati hanno ritirato da tempo, ma che lui, evidentemente, preferisce leggere, spiegati, sulla Verità.Ps ieri Renzi è stato sentito nella commissione d'inchiesta sul caso dell'uccisione del ricercatore universitario Giulio Regeni. L'allora presidente del Consiglio si è lamentato di essere stato avvisato solo il 31 gennaio della sparizione del ragazzo: «Se avessimo saputo prima, forse, avremmo potuto intervenire» ha detto. Il ministero degli Esteri lo ha smentito: «La Farnesina precisa che Istituzioni governative italiane e i nostri servizi di sicurezza furono informati sin dalle prime ore successive alla scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016». L'ennesima figura da statista.
Ansa
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