2019-10-05
Renzi insiste: «Mai alzato le tasse». Ecco tutte quelle che ha aumentato
Il leader di Italia viva cerca nuovo slancio con la propaganda battente, però il sito «La voce» lo sbugiarda: dalle aliquote Imu all'imposta sulle rendite finanziarie, ha una lunga carriera da esattore di gabelle. Matteo Renzi che dice di non avere mai alzato le tasse? Una balla colossale. Chi lo sostiene, qualche avversario politico? Niente affatto, anzi: la smentita viene dal «pensatoio buono» del sito internet Lavoce.info, blog di temi economici e finanziari spesso vicino all'ex premier. Un nome su tutti: quello di Tito Boeri, che ne è socio fondatore e tra le sue firme più autorevoli. Il governo Renzi lo piazzò alla presidenza dell'Inps nel 2015. Ma tra i propri autori il sito annovera anche altri campioni del renzismo governativo, dal professore Piero Ichino (ispiratore della riforma dell'articolo 18) al professor Giuseppe Pisauro (nominato dal governo Renzi presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio), fino alla professoressa Agar Brugiavini, docente a Ca' Foscari a Venezia e consigliere di amministrazione del gruppo editoriale L'Espresso.Sulla home page di Lavoce.info, dunque, campeggia da ieri una domanda: «È vero che Renzi non ha mai aumentato le tasse?». Bell'interrogativo. Ma ancora più sorprendente è la risposta che giunge al termine di quello che oggi viene chiamato «fact checking», cioè riscontro dei fatti, una pratica che in realtà fa parte dell'Abc del giornalismo. Verificare ciò che si sente dire: «Passare al setaccio», precisa il sito, «le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Matteo Renzi: davvero nella sua carriera non ha mai aumentato una tassa?».Da campione intercontinentale delle facce di bronzo, Renzi ripete questo slogan da quando sta cercando di riconquistare la prima fila della politica e di ritagliarsi una nuova immagine di leader liberale. Da sindaco e da capo del governo non ha mai alzato le tasse, semmai le ha sforbiciate: questo è il suo mantra. Dopo anni di spremute fiscali, di inasprimenti tributari, di vessazioni impositive, il leader di Italia viva dipinge sé stesso come il nuovo La Pira che scende da Firenze a Roma. E invece di invitare a dire «No alla guerra», ha trasformato lo slogan in «No alle imposte». Poiché, come insegnava il gerarca nazista Joseph Goebbels, ripetere mille volte una bugia la trasforma in verità, l'ex premier si dedica con passione a raggiungere questa «quota mille». L'affermazione renziana si trova in tutte le sue ultime interviste, da quella rilasciata al Foglio («Nella mia esperienza di capo di una giunta o di un governo non ho mai alzato una tassa») fino alle dichiarazioni dell'altra sera a Tg2 Post. Senza dimenticare che Renzi, quando annunciò di volere un governo con il M5s, proclamò che intendeva promuovere un esecutivo «no tax», cioè fare di tutto per evitare il rincaro dell'Iva che potrebbe scattare con il nuovo anno. La tassa è l'ossessione nemmeno troppo occulta del senatore ex Pd. Ma è proprio così? Lavoce.info smentisce seccamente. Già da sindaco di Firenze, nel passaggio da Ici a Imu Renzi maggiorò l'aliquota sulle seconde case dallo 0,76% all'1,06%, applicando l'aliquota massima prevista dal decreto Salva Italia. Sempre nel 2012 fu introdotta la nuova aliquota dello 0,2% sugli immobili rurali a uso strumentale: Lavoce.info ricorda che il decreto Salva Italia aveva dato facoltà ai Comuni di ridurla allo 0,1%, senza obblighi. Renzi invece decise il giro di vite. Inoltre, nel 2013 il Comune di Firenze rincarò l'aliquota Imu per le abitazioni principali in categoria A1, A8 e A9 dallo 0,4 allo 0,6%. Non è finita: l'amministrazione Renzi nel 2011 introdusse la tassa di soggiorno, con tariffa variabile da 1 a 5 euro al giorno in base alla struttura ricettiva.Ma «il più importante aumento delle tasse da ascrivere a Matteo Renzi», incalza il sito, «è avvenuto durante i suoi anni da presidente del Consiglio». Con il decreto legge 66 del 2014 è stata aumentata l'imposta sostitutiva sui redditi da capitale dal 20 al 26% a decorrere dal 1° luglio 2014. Era la manovrina di aggiustamento varata subito dopo le elezioni europee stravinte da Renzi, il quale sfruttò l'ondata di popolarità per punire appunto i redditi da capitale, cioè i dividendi e i redditi di natura finanziaria, come i capital gain sui titoli azionari o gli interessi sui titoli di debito.«L'incremento», specifica Lavoce.info, «fu giustificato come misura di giustizia sociale, poiché faceva parte delle coperture del decreto volto al rilancio dell'economia attraverso la riduzione del cuneo fiscale». Fu una sorta di tassa sulla ricchezza. In realtà, il colpo di mannaia non colpì in primo luogo i grandi patrimoni finanziari, i cui rendimenti viaggiano in molteplici forme che spesso sfuggono a questo tipo di imposte. I più danneggiati furono milioni di risparmiatori, possessori di Bot, piccoli investitori in Borsa, che si erano rifugiati negli investimenti finanziari vista la perdurante incertezza della situazione economica.Conclusione? «Matteo Renzi, nel voler propagandare il suo partito come “no tax", ha affermato di non aver aumentato mai neanche un'aliquota», sintetizza il sito di Boeri. «A ben vedere, nella sua carriera da sindaco ha alzato varie volte le aliquote Imu e ha introdotto volontariamente la tassa di soggiorno nel Comune di Firenze. Poi, come presidente del Consiglio, ha avallato l'aumento dell'aliquota dell'imposta sui redditi da capitale. La sua dichiarazione è pertanto falsa, con l'attenuante che, nel complesso, durante il suo governo la pressione fiscale italiana è scesa di quasi 1 punto percentuale».