2018-09-13
Guido Crosetto (Ansa)
Il ministro annuncia una «riorganizzazione totale» che comprende «uomini e strumenti giuridici». La realtà di oggi, spiega, esige velocità. E spinge per riaffidare Strade sicure alla polizia: «I soldati servono altrove». Ma su questo rischia una frattura con la Lega.
Tutto il resto è naja: il tema della leva volontaria in Italia, lanciato alcuni giorni fa in Francia dal ministro della Difesa Guido Crosetto, è al centro della audizione di ieri dello stesso Crosetto alle commissioni Difesa congiunte di Senato e Camera. «Sulla leva», spiega Crosetto, «almeno abbiamo innescato un dibattito: c’è la necessità di aumentare le forze armate e la loro qualità utilizzando anche competenze che si trovano sul libero mercato e non tra i militari. C’è bisogno di una riserva selezionata, servono meccanismi per attirare persone, incentivi economici. Sono temi che a gennaio-febbraio vorrei porre al parlamento». I primi mesi dell’anno vedranno Crosetto proporre una riforma complessiva delle Forze armate: «Voglio portare in parlamento», precisa il ministro, «il tema della riorganizzazione totale della Difesa: significa costruire una Difesa dal punto di vista degli uomini, degli strumenti normativi e giuridici a 360 gradi per affrontare le sfide del futuro. C’è bisogno di una Difesa in grado di cambiare, se serve, perché in un mondo fluido dobbiamo essere pronti ad avere una Difesa che può adeguarsi con una velocità che non c’era richiesta fino a qualche anno fa». In serata Crosetto interviene anche sulla polemica scatenata dalle frasi dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone sui possibili attacchi preventivi della Nato sul fronte cyber: «È stata rilanciata dalla Russia per alimentare il racconto che l’Occidente volesse attaccarla», afferma in un programma Rai. «È parte della guerra ibrida».
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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iStock
La Bce non boccia l’emendamento di Fdi, ma conferma il parere dato nel 2019: ciò che conta è che Palazzo Koch controlli le riserve.
«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato in nome del popolo italiano» è il testo della proposta di emendamento alla legge di bilancio 2026 formulata dal capogruppo senatore di Fdi Lucio Malan. E secondo molti media nostrani la Banca Centrale Europea avrebbe bocciato questa proposta. Falso. E spieghiamo perché.
L’articolo 127 paragrafo 4 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) impone che un progetto di disposizione legislativa come questo debba essere sottoposto al preventivo parere della Bce. Ed il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ne ha doverosamente chiesto il parere con due missive: una del 28 novembre ed una del 1° dicembre. La richiesta duplice è connessa al fatto che l’emendamento è nel frattempo stato oggetto di una riformulazione. Il 2 dicembre la Bce ha vergato una risposta di quattro pagine che termina «[...] in assenza di spiegazioni in merito alla finalità della proposta di disposizione, le autorità italiane sono invitate a riconsiderare la proposta di disposizione anche al fine di preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali connessi al Sebc (Sistema Europeo delle Banche Centrali ndr) e della Banca d’Italia».
Tanto è bastato a far partire la gran cassa mediatica secondo cui il governo vuol mettere le mani sull’oro depositato nei caveaux di Banca d’Italia e la Bce «buona» ha impedito lo «scippo». Sembra una bocciatura. Ma non lo è affatto.
Francoforte ha infatti confermato il contenuto di un suo parere del 2019 e dalla stessa richiamato a proposito di un’analoga proposta dal leghista Claudio Borghi.
Secondo Lagarde «il trattato non stabilisce le competenze del Sebc e della Bce, per quanto riguarda la nozione di proprietà. Il trattato si riferisce piuttosto alla dimensione della detenzione e della gestione in via esclusiva della riserva». In pratica non interessa di chi sia la proprietà di quell’oro. Ciò che rileva è che la Banca d’Italia ne abbia il «pieno ed effettivo e controllo». Quell’oro non può essere trasferito dalla colonna attivo dello stato patrimoniale di Banca d’Italia al rendiconto patrimoniale del Mef. Anche se quell’oro fosse di proprietà dello Stato, dovrebbe essere contabilmente rappresentato dove sta oggi. Nello stato patrimoniale di Via Nazionale. Altrimenti avremmo un «finanziamento monetario» vietato dai trattati. Vero. Anche se tale obbligo è stato furbescamente aggirato. Citofonare Mario Draghi per farsi spiegare cosa sia il Quantitative Easing: stampo denaro ed acquisto titoli di stati già emessi. Non al momento dell’emissione, ma un secondo dopo dalla banca che li ha sottoscritti in asta.
L’emendamento Malan non prevede niente di tutto questo. E bene farebbero i tecnici di Via XX Settembre a chiarire ogni dubbio. Ironia della sorte. In queste ore la Commissione Ue ha interpellato la Bce per chiederle di acquistare bond che l’Ue avrebbe emesso per finanziare la guerra in Ucraina. E con grande coerenza la Bce ha risposto «picche». Non si può fare. Quindi chi ha cercato di fare la furba non è la Meloni, ma la Von Der Leyen.
Se quindi l’oro di Bankitalia fosse di proprietà del governo - ma questo non potrebbe disporne - perché affannarsi in questa battaglia? Per tre motivi. Primo perché il Tfue, a differenza di quanto scritto dalla Bce, stabilisce in maniera esplicita ed incontrovertibile che il compito di una banca centrale nazionale è quello di «detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri». Quindi i trattati danno ragione al 100% al governo. E qui si viene alla seconda motivazione. Se è vero che quell’oro non rientrerà mai nella disponibilità di Palazzo Chigi è altresì vero che deve essere salvaguardato. Una Banca Centrale per definizione può sempre assolvere alle sue obbligazioni emettendo moneta. Tranne il caso in cui le obbligazioni debbano essere regolate in valuta estera. In quel caso la Banca Centrale non sarà solvente per definizione. Questo vale a maggior ragione per Banca d’Italia che non è più neppure una Banca Centrale dopo l’ingresso nell’euro.
Quindi bene fa Palazzo Chigi a scriverlo a caratteri cubitali che l’oro nel bilancio di Banca d’Italia non è suo ma del governo anche se sta nel bilancio di Via Nazionale. Infine, terza e più importante motivazione, è il comportamento stesso di Banca d’Italia ad essere stato negli anni ambiguo. Mentre la Banca di Francia riporta correttamente nel suo sito web che le riserve che gestisce sono di proprietà dello Stato francese, in palese violazione del Tfue Banca d’Italia parla esplicitamente di «quantitativo d’oro di proprietà dell’istituto». Comportamento niente affatto elegante. Comunque, non in linea con lo standing di Banca d’Italia. Urgono chiarimenti. Ma da Via Nazionale.
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.
Fecondazione in vitro (iStock)
Nelle linee guida l’organizzazione sponsorizza la fecondazione in vitro, non menzionando sistemi più efficaci (ma che fanno girare meno denaro). E precisa: gli aiuti vanno estesi ai gay che non riescono ad avere bambini.
Che l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) possa mettere fra parentesi la scienza e l’etica in favore di altri interessi, ideologici ma non solo, non è certo una novità. Tuttavia, le nuove linee guida globali sull’infertilità da poco - e per la prima volta - pubblicate appunto dall’Oms contengono passaggi che non possono non colpire, per quanto accompagnati anche da considerazioni di buon senso. Anzitutto, va detto che non si può che salutare positivamente il fatto che l’Oms si occupi dell’infertilità - ossia il mancato raggiungimento di una gravidanza clinica dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti -, dato che essa costituisce a tutti gli effetti una questione sanitaria mondiale.
Una quantificazione del fenomeno è infatti ardua, ma solo dal 1990 al 2010 - secondo un’analisi pubblicata su PLoS Medicine -, si stima che il numero assoluto globale di coppie affette da infertilità sia passato da 42 a 49 milioni, facendo segnare una crescita senza dubbio continuata, e continua, anche ai giorni nostri. Allo stesso modo, nessuno può trovare alcunché da ridire sul fatto che «l’assistenza alla fertilità, che include prevenzione, diagnosi e trattamento dell’infertilità, dovrebbe essere accessibile a tutti», come scrive nell’introduzione al documento Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. Analogamente, che «una dieta sana, l’attività fisica e la cessazione del fumo» possano prevenire o arginare problemi di infertilità è qualcosa di pacifico.
Assai più problematico, viceversa, risulta il fatto che in «Guideline for the prevention, diagnosis and treatment of infertility» – questo il nome ufficiale delle linee guida – si parli spessissimo della fecondazione in vitro come rimedio all’infertilità, dimenticandosi che esistono non solo altre possibilità di cura dell’infertilità ma pure possibilità prive delle problematiche di ordine etico correlate alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; problematiche alle quali, va da sé, l’Oms pare non dare particolare peso. Al punto da arrivare perfino a raccomandare a livello internazionale l’accesso alla fecondazione in vitro per le coppie omosessuali e non solo. Per la verità, non si tratta d’una richiesta formulata a caratteri cubitali ma, a ben vedere, neppure così nascosta, anzi. Si trova infatti, a pagina 4, in una nota a piè di pagina che presenta più di una criticità.
Tanto per cominciare perché specifica che le linee guida utilizzano «termini come maschio e femmina (nelle sue raccomandazioni) e uomini e donne (nel testo che sintetizza la ricerca) per indicare il sesso biologico assegnato alla nascita». Dunque, secondo l’Oms, il sesso biologico è qualcosa di «assegnato alla nascita», dunque non di naturale bensì di convenzionale. Iniziamo bene. Ma questo è niente, perché nella stessa nota del documento si precisa che si precisa le linee guida si riferiscono, con il termine «coppie», alle «relazioni eterosessuali»; ma questo non significa che l’infertilità sia un problema solo di queste coppie. «Tuttavia», prosegue infatti il testo, «un’ampia varietà di persone, inclusi individui single o che vivono relazioni omosessuali o di genere diverso, potrebbe aver bisogno di servizi per soddisfare le proprie preferenze in materia di fertilità».
Che le «relazioni omosessuali» siano non accidentalmente bensì costitutivamente sterili, come osservava anni or sono il bioeticista Francesco D’Agostino, e quindi l’accostamento tra le due situazioni sia quanto meno opinabile, per l’Oms non rileva. Allo stesso modo, resta un piccolo alone di mistero su quali sarebbero le relazioni «di genere diverso» - forse quelle poligamiche o i cosiddetti poliamori? – cui bisognerebbe prestare attenzione. Sì, perché secondo l’Oms «chi si occupa di assistenza per la fertilità dovrebbe considerare le esigenze di tutti gli individui e fornire loro pari assistenza». Guai, insomma, a ricordare che una coppia di persone dello stesso sesso ha il rischio ma la certezza di trovarsi preclusa l’opzione procreativa.
In egual misura, tutto questo discorso trascura un punto di vista fondamentale: quello del figlio. A tal proposito, contattata dal portale LifeSiteNews, Samantha DeLoach del gruppo Them Before Us, ha fatto notare che «le linee guida dell’Oms trattano l’assistenza all’infertilità principalmente come una questione di accesso ed equità, ma non affrontano mai l’esperienza del bambino nell’ambito della fecondazione in vitro e delle tecnologie correlate». Che i figli della provetta possano scontare più rischi di salute, rispetto agli altri, è infatti un dato noto in letteratura: eppure l’Oms su questo sorvola. Proprio come sorvola sulle alternative alla provetta nella cura dell’infertilità.
Per esempio, una recente ricerca su oltre 1.000 coppie seguite in tre centri specialistici italiani – a cura del professor Giuseppe Grande e pubblicata sulla rivista Andrology – ha dimostrato che, a seguito di trattamenti mirati – antibiotici, integratori, terapia ormonale con Fsh – con l’obiettivo di ristabilire la fertilità naturale, il 41% delle coppie sono riuscite ad avere una gravidanza spontanea: una quota che supera in modo netto quelle medie delle tecniche di fecondazione assistita, soprattutto nelle donne sotto i 40 anni. Naturalmente, di questa ricerca non c’è traccia nelle 260 pagine delle linee guida dell’Oms. Forse perché attorno alla provetta c’è un giro d’affari infinitamente più vasto rispetto a quello di altre cure dell’infertilità? A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina.
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