2021-01-27
Renzi costretto a rientrare di corsa dalla sua visita a pagamento a Riad
Matteo Renzi (Getty images)
Le dimissioni di Giuseppe Conte hanno spiazzato il leader di Italia viva, impegnato in una conferenza in Arabia Saudita. L'ex Rottamatore non farà nomi a Sergio Mattarella: per lui un presidente vale l'altro, basta che Iv resti determinante.Nossignore, non faranno nomi. Dopo settimane passate a strepitare, rimestare e finalmente terremotare il governo, Italia viva resta in rispettoso silenzio. Durante le consultazioni al Quirinale, il partito di Matteo Renzi esporrà solamente il suo folgorante piano per rilanciare il Paese. Coloro che hanno determinato la crisi non si curano d'altro, sia chiaro. E l'hanno giù dimostrato con le dimissioni di due ministre e del sottosegretario all'Economia, Ivan Scalfarotto, che interpellato sul da farsi ha dunque assicurato: al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il suo patriottico partito «non farà un nome in particolare». Chiederà, piuttosto, «un governo all'altezza». E quindi senza l'odiato Giuseppi, che tornerebbe a dividersi tra l'avviato studio legale e l'insegnamento universitario. Il Conte ter, al di là degli equilibrismi verbali, per Renzi sarebbe la disfatta. Restare in maggioranza rimane la stella polare. Evitare le elezioni appare l'imperativo categorico: i sondaggi, a differenza di quanto sperava, non premiano le sue ultime imprese. Tre per cento. O giù di lì. Anche perché, se le cose dovessero precipitare, il Jep Gambardella di Rignano, fautore di ubiqui fallimenti, diventerebbe il solo e unico colpevole del reiterato caos. Colui che manda a catafascio e poi allo sbaraglio. Una situazione opposta quella dell'estate del 2019, quando si adoperò per l'alleanza giallorossa e salvare la poltrona a Conte. Adesso invece il pokerista, giunto alla mano decisiva, bussa. Non vuole Conte, certo. Vuole invece restare in maggioranza e determinare le sorti di un eventuale esecutivo. Anche perché il momento è cruciale. Da adesso alla primavera inoltrata, si libereranno più di 550 poltrone nelle società pubbliche. Piatto ricco. Una di quelle poste che ha sempre ingolosito l'ex premier, fin da quando era un giovanissimo e arrembante presidente della provincia di Firenze. Ci sono più di 360 incarichi da spartire nelle più importanti controllate statali. Si aggiungono altri 190 posti nei Cda: dalla sempre più strategica Cassa depositi e prestiti alla compagnia petrolifera Saipem. Senza dimenticare i trenta nuovi commissari straordinari, chiamati a sbloccare 59 opere pubbliche strategiche: strade, ferrovie, dighe, porti e caserme. Sul via libera ai lavori si è consumato uno degli scontri più aspri con il primo ministro. E Renzi non vuole di certo tirarsi indietro adesso che viene il bello. Meglio un posticino caldo al governo, ovvio. Ma la partita ormai è nelle mani di Giuseppi. O meglio dei suoi responsabili. Clemente Mastella è il nocchiero della scialuppa pronta a salpare: «Conte senza i responsabili era fottuto» conferma a Stasera Italia. «Al voto non si tornerà, perché i responsabili non saranno dieci o quindici ma 180, ossia tutti i parlamentari che non saranno rieletti». Ed ecco dunque materializzarsi, al cospetto dell'indomabile ex Rottamatore, lo scenario più apocalittico: Conte ter, robusta maggioranza, Italia viva marginale. Sconfessare un gigante come Mastella è sempre antipatico. Il suo calcolo, però, al momento sembra decisamente ottimistico. Nel nuovo gruppo i «costruttori» sarebbero appena una decina: i minimi termini. Qualcuno magari si aggiungerà. A quel punto, si potrebbe forse anche fare a meno dei renziani, nella sconsolante certezza che qualsivoglia assenza a Palazzo Madama farebbe barcollare tutto. Prospettiva non esaltante, tranne che per Renzi: essere l'ago della bilancia gonfierebbe a dismisura il suo ego, da sempre in cerca d'azzardo. Terza ipotesi. Il leader di Italia viva rientra trionfalmente in maggioranza. In un governo istituzionale, magari. Del resto ha già paventato un esecutivo guidato dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese. Potrebbe dare agevolmente il via a qualsiasi nome suggerito dal Quirinale: l'economista Carlo Cottarelli o l'ex presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia. Insomma, quella maggioranza Ursula di cui potrebbe far parte anche Forza Italia o almeno i berlusconiani delusi. Renzi, all'idea, si frega le mani. Vincitore assoluto: Conte fuori, lui dentro. Per realizzare l'impresa, avrebbe addirittura aperto a un governo guidato dal ministro degli Esteri, ed ex capo politico del Movimento, Luigi Di Maio. Il Conte ter resta però l'obiettivo del premier e, almeno ufficialmente, di Pd e 5 stelle. Così, anche ieri, i democratici hanno tentato di placare gli animi. L'ultimo ramoscello lo tende la vicepresidente del partito, Deborah Serracchiani: «Prendiamo atto che lo stesso Renzi ha detto che non ci debbano essere veti su Conte». L'interessato tace. Le dimissioni di Conte, scrive Domani, l'avrebbero colto di sorpresa. Il senatore sarebbe stato costretto a rientrare rocambolescamente da Riad, dove stava partecipando a una conferenza. A quanto risulta alla Verità, l'aereo è decollato da Riad alle 22,27 per atterrare a Fiumicino alle 02.06. E si tratterebbe di un velivolo governativo. Membro del comitato consultivo dello FII Institute, controllato dalla famiglia reale, prosegue dunque la campagna di Renzi in Arabia Saudita già rivelata per la prima volta dalla Verità il 29 aprile 2019: nei giorni precedenti, festa della Liberazione compresa, il senatore semplice di Scandicci era riverito e ben pagato ospite del regime. Il primo indizio dell'attività di consulenze all'estero, che prosegue proficua. Tanto da farlo improvvisamente disinteressare a ogni, incompatibile, poltrona. Compresa quella di ministro degli Esteri.