2025-06-05
Sui referendum cala il «Non expedit» vaticano di Parolin: «Non vado alle urne»
Il cardinale Pietro Parolin (Imagoeconomica)
Schiaffo del Segretario di Stato alla Schlein, che corre contro la minoranza riformista interna. Per restare in sella al partito.Il referendum per il leader del Partito democratico, Elly Schlein, è «un’occasione per correggere leggi che hanno danneggiato il lavoro e per modificare quelle sulla cittadinanza». Questo è quello che il segretario dem spiega ai cittadini, quando in realtà sulla pelle e sulle tasche degli elettori si sta consumando una guerra intestina iniziata anni e anni fa tra correnti interne al partito erede dell’Ulivo. «Il Pd oggi è unito in questa battaglia», ha dichiarato dal palco di Bari ieri facendo finta di ignorare che buona parte dei dem, l’ala riformista legata all’ex segretario ed ex premier Matteo Renzi sui quesiti del lavoro ha dichiarato che voterà no. La posizione dei riformisti è chiara. Il Jobs act non si rinnega.Se Stefano Bonaccini «preferisce non parlarne», Michele de Pascale spiega: «Voterò due no e tre sì», intesi come cittadinanza, Jobs act e responsabilità negli appalti, dice il governatore dell’Emilia-Romagna, erede del presidente del Pd. Gli ex ministri Lorenzo Guerini, Graziano Delrio e Marianna Madia sono della stessa linea, così come i parlamentari Filippo Sensi, Lia Quartapelle e gli eurodeputati Pina Picierno e Giorgio Gori. Voteranno tutti due sì e basta su cittadinanza e infortuni sul lavoro, mentre non ritireranno le tre schede restanti. D’altra parte come si fa a dimostrare serietà andando a votare sì per l’abrogazione di una legge proposta, votata e divenuta bandiera di una stagione, appunto, quella renziana? La stessa Debora Serracchiani non ha saputo reagire, accusata durante la trasmissione di Bruno Vespa di aver cambiato idea su una legge che votò con convinzione quando era la fedelissima di Renzi. Insomma un modo per uscirne bene non c’è e Schlein lo sa perfettamente. Per questo mentre fa finta di attaccare Giorgia Meloni, il segretario dem fa campagna elettorale su sé stessa, per contarsi. Per arrivare al giorno del voto e poter dire: «Questi sono i miei voti, queste sono le persone che riesco a spostare». Il raggiungimento del quorum, impossibile da conquistare, evidentemente diventa una scusa per proseguire la sua personalissima campagna elettorale contro Matteo Renzi e ciò che ne rimane dentro al Pd. Eppure a Schlein conviene stare attenta, perché di vittime i referendum ne hanno fatte assai. Intanto a dichiarare l’astensione dal voto cominciano a essere in tanti. L’ultima illustre posizione in questo senso è quella del cardinale Pietro Parolin. Il segretario di Stato vaticano ha risposto con un «no» secco ai giornalisti che gli chiedevano se domenica andrà a votare ai referendum. Poi si è limitato a commentare: «Sono molti anni che non voto in Italia». Una bella batosta per Schlein. Ma il segretario dem va dritto per la sua strada e racconta una favola che non è fatta di spaccature interne: «Oggi la linea del Pd è questa (per i cinque sì, ndr) e nei sondaggi si vede che il 95% dei nostri elettori e militanti la sostiene», spiega. E aggiunge: «Abbiamo fatto una discussione democratica all’interno del partito, la direzione nazionale ha approvato senza voti contrari l’appoggio pieno ai cinque quesiti. Noi non abbiamo chiesto abiure personali a nessuno. Alcune di queste riforme le ha fatte il centrosinistra, io le contrastavo già allora». In qualche modo lo confessa lei stessa: è una vendetta interna al partito. D’altronde Schlein è in piena crisi di autorevolezza tra i suoi, lo si capisce quando durante Un giorno da pecora su Radio 1 le chiedono se si senta pronta o adatta a fare il premier. «Perché pensi che io non lo sia?», reagisce maldestramente mostrando evidente nervosismo. Segno che il tema c’è ed è scottante. Proprio durante la trasmissione ha poi accettato di farsi tingere una ciocca di rosso per rispettare la scommessa, fatta ormai più di due anni prima, sempre ospite dello stesso programma, ovvero tingersi di rosso se avesse vinto le primarie del Pd. Un test per Schlein ma un test anche per Landini, le cui ambizioni politiche sono ormai sempre più chiare, nonostante le smentite: «Questo referendum non è un test per la Cgil, ma una battaglia per estendere i diritti a chi non li ha». E poi: «Sento tante chiacchiere in giro, non abbiamo fatto questi referendum per partecipare, ma per cambiare le leggi e avere più tutele. Io non ho velleità politiche il nostro obiettivo è raggiungere il quorum». Si conferma infine la linea di tutto il centrodestra per l’astensione. «Come consigliò Napolitano nel 2016 e come fece il Pd nel 2003: non andrò a votare». Ha detto il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, ribadendo la linea del partito. Anche il vicepremier Antonio Tajani, leader di Forza Italia, ha spiegato che non andrà a votare: «Quando c’è un quorum è previsto anche il non voto, che nulla ha a che vedere con l’astensione per le altre scelte politiche. Questo», precisa ancora, «non è un referendum costituzionale, sono referendum abrogativi, e se uno vuole difendere le norme esistenti può anche dire di non andare a votare». «Io ripeto che sarò all’estero per lavoro, quindi non ritiro niente perché non sono in Italia». Così il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini.
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)