True
2024-11-15
Record di domande per avere l’asilo dai Paesi «insicuri» (secondo le toghe)
Getty Images
Pare che la crociata dei magistrati, specie di quelli «democratici», proceda di pari passo con l’evoluzione del fenomeno migratorio. Bengalesi ed egiziani prendono d’assalto le nostre coste, mentre i giudici si prodigano affinché non siano rimpatriati. Almeno, non con le procedure d’urgenza che consentirebbero di portarli nel Cpr in Albania.
È un duetto perfetto. Come ha certificato ieri l’Ocse, in Italia si registra un vero e proprio boom di richieste d’asilo. La maggior parte, da persone che arrivano da Bangladesh ed Egitto. Si tratta proprio dei due Paesi che, secondo le nostre toghe, non sono sicuri e dunque non possono diventare mete dei respingimenti rapidi. Risultato: i tribunali non convalidano i provvedimenti dei questori; adesso si rivolgono alla Corte di giustizia europea; e intanto gli immigrati sono liberi di entrare e uscire dai Centri di accoglienza, nei quali li dobbiamo alloggiare. Liberi di circolare. Liberi pure di prendere il treno, magari senza biglietto, magari con una lama in tasca. Non sia mai che capiti un alterco con il controllore.
È successo, ad esempio, in Liguria, dove un ventunenne egiziano ha pensato bene di accoltellare il capotreno, a causa di un «fraintendimento», perché «non parlo bene l’italiano». Un suo connazionale di 19 anni, il 27 luglio, su un regionale diretto a Ferrara, aveva malmenato un ferroviere. Quattro giorni prima, il controllore invece le aveva prese da un pakistano. Coincidenza istruttiva: la Repubblica islamica è il terzo Paese per numero di richieste d’asilo in Italia.
Le cifre le ha presentate ieri, a Parigi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Fanno riferimento al 2023, anno in cui le domande per ottenere asilo qui sono aumentate del 69% a paragone con l’anno precedente, toccando quota 131.000. La maggioranza degli stranieri giungeva dal Bangladesh (23.000 persone, +59% rispetto al 2022), dall’Egitto (18.000, +106%, l’incremento maggiore su base annua) e dal Pakistan (17.000, +47%). Né si può insinuare che l’Italia maltratti i suoi ospiti: al 48% dei richiedenti asilo ha risposto spalancando le porte. Nel 2022, aveva già accolto 235.000 nuovi immigrati, il 15% in più del 2021. Un crescendo forse rossiniano, sicuramente rosso: il colore delle toghe che proibiscono di sottoporre all’iter veloce per i rimpatri chi giunge da Dacca e dal Cairo, in nome della direttiva Ue e della sentenza della Corte del Lussemburgo. Eppure, Bruxelles giura - lo ha fatto di nuovo ieri una funzionaria della Commissione - che continua a guardare «con interesse al modello introdotto» da Giorgia Meloni. Ovvero, il trasferimento al di là dell’Adriatico di uomini adulti, non vulnerabili, partiti da Stati che il governo considera sicuri. Peccato che la magistratura la pensi diversamente.
Secondo i tribunali, c’è ben poco da fare per arginare l’esodo da Bangladesh ed Egitto. Quelli non sono Paesi sicuri, quindi è impossibile sveltire le pratiche per il rimpatrio: lorsignori devono essere sottoposti all’iter ordinario e, giacché aspettano un verdetto, sono autorizzati ad andarsene a spasso per l’Italia. Se non sono brava gente, picchieranno, scipperanno, spacceranno. Si vede che solo i migranti sono titolari di inalienabili diritti umani, che verrebbero violati in caso di trasloco a Gjadër. I giudici sono loro paladini infaticabili. Il diritto degli italiani a vivere in sicurezza non è argomento altrettanto umanitario e chic.
Certo, nell’Ue si sono resi conto che i confini colabrodo sono un problema. Se n’è accorta persino Lilli Gruber. L’Ocse l’ha messo nero su bianco: per il secondo anno consecutivo, nel 2023, i flussi verso l’Europa hanno raggiunto «livelli record», anche se non sarebbero «fuori controllo». Stiamo comunque parlando di 6 milioni e mezzo di nuovi immigrati permanenti, distribuiti tra i vari Stati membri dell’organizzazione. Per rimediare, l’Europa ha varato un regolamento più severo, capace di superare pure i limiti imposti dalla recente sentenza della Corte di giustizia. Dal 2026, sarà possibile considerare sicuro un Paese d’origine escludendo parti del suo territorio o alcune categorie di persone. Per capirci: se in Bangladesh perseguitano gli omosessuali e tu sei etero, possono rimandarti a casa in quattro e quattr’otto. Ciò sbloccherà, ancorché in clamoroso ritardo, i trasferimenti dall’Italia all’Albania? Non è detto.
Nel loro ricorso al tribunale dell’Ue, le toghe di Roma chiedono che il governo reintroduca il decreto interministeriale con la lista dei Paesi sicuri. Una fonte del diritto secondaria, esposta alle picconate dei giudici. I quali, in aggiunta, vogliono l’ok a servirsi di «fonti proprie» per verificare se la designazione degli Stati di provenienza sia compatibile con il diritto europeo. Sono mosse che potrebbero prolungare il sindacato giuridico sulle nostre politiche migratorie ben oltre il 2026. Con buona pace della nave Libra, dell’accordo con Edi Rama e delle eloquenti statistiche sugli sbarchi. Tanto, cari italiani, alla fine sui treni ci salite voi.
Veneto contro i violenti sui treni: viaggi gratis ai militari con la divisa
Una divisa per garantire maggiore sicurezza sui treni. Dopo le oltre 250 aggressioni sui treni regionali registrate nell’ultimo anno in Italia, di cui una trentina in Veneto, si spera che la divisa garantisca un’azione di deterrenza contro la violenza, vandalismo e microcriminalità. È con questo spirito che la Regione Veneto ha siglato ieri a Palazzo Balbi a Venezia un accordo con Esercito italiano, Aeronautica, Marina militare e Trenitalia per permettere alle forze armate in divisa di circolare gratuitamente nei treni regionali del territorio. «È una giornata storica» ha detto il presidente il presidente Luca Zaia «perché garantiamo il trasporto gratuito da casa a lavoro ai militari, con una conseguente maggior percezione di sicurezza bordo per i pendolari». Un accordo necessario per il governatore leghista, che ha precisato: «I militari si identificheranno e avranno obbligo della divisa a bordo, per garantire un’azione di deterrenza».
I militari disponibili a questa sperimentazione, che inizierà tra 15 giorni e terminerà il 31 dicembre 2025, si registreranno a bordo e contatteranno il capotreno per comunicare il posto a sedere. Le spese dei biglietti saranno a carico della Regione.
Dell’iniziativa che potenzialmente potrebbe interessare circa 9.000 militari ha espresso soddisfazione anche il comandante delle Forze operative Nord dell’Esercito, generale di Corpo d’Armata Maurizio Riccò, che ha posto l’accento sugli effetti indiretti dell’accordo, in grado di «offrire una maggiore situazione di sicurezza agli utenti. Ai militari si offre di fare il pendolare in una maniera collaborativa».
Un accordo-esperimento che potrebbe interessare anche le altre Regioni, considerate le recenti aggressioni. L’ultima in ordine di tempo quella del nordafricano che su un vagone della linea Milano-Mortara (Pavia) ha preso a schiaffi e a spintoni una capotreno che gli aveva chiesto di spegnere la sigaretta, ricordandogli che sulle carrozze c’è il divieto di fumare.
È andata invece peggio a Rosario Ventura, il capotreno di 44 anni accoltellato sul treno Genova-Busalla dal ventunenne egiziano Alshahhat Fares Kamel Salem, che viaggiava senza biglietto. Con lui un’amica di 15 anni, di madre italiana e padre egiziano, che ha preso a schiaffi e sputi il capotreno. L’egiziano, irregolare e con precedenti, è arrivato in Italia con un barcone, ma siccome è originario dell’Egitto, Paese considerato dai giudici non sicuro, è uno di quei migranti che non possono essere trasferiti nel centro in Albania. Vicenda simile a quella di un suo connazionale che lo scorso 27 luglio, su un regionale diretto a Ferrara, aveva prima dato del «razzista» al controllore e poi l’aveva malmenato. E quattro giorni prima, il pubblico ufficiale in servizio a Crevalcore, nel Bolognese, era stato preso a calci e spintoni da un ventitreenne pakistano.
Come dicono sommessamente il personale sui treni e gli agenti di polizia, «sono individui che vengono presi, denunciati e poi il giorno dopo li incontri di nuovo in giro o sul treno».
Ma ci sono altri casi assurti alla cronaca nazionale. Una settimana fa a Varese un’operatrice di assistenza e controllo di Trenord è stata aggredita, insultata e strattonata per i capelli da due ragazzine, fermate poi dalla polizia. Senza dimenticare il capotreno aggredito con il machete da un immigrato della Costa d’Avorio nel 2019.
Dai dati di Trenitalia la tipologia di aggressione più diffusa è quella fisica (nella metà dei 253 casi segnalati quest’anno) seguita da quella verbale. Che è pure violenza.
Continua a leggereRiduci
Boom di richieste da Egitto (+106%) e Bangladesh (+59%), le mete che la magistratura ha interdetto ai rimpatri rapidi.Veneto contro i violenti sui treni: viaggi gratis ai militari con la divisa. Un’azione di deterrenza dopo le recenti aggressioni dei clandestini sulle carrozze.Lo speciale contiene due articoli.Pare che la crociata dei magistrati, specie di quelli «democratici», proceda di pari passo con l’evoluzione del fenomeno migratorio. Bengalesi ed egiziani prendono d’assalto le nostre coste, mentre i giudici si prodigano affinché non siano rimpatriati. Almeno, non con le procedure d’urgenza che consentirebbero di portarli nel Cpr in Albania. È un duetto perfetto. Come ha certificato ieri l’Ocse, in Italia si registra un vero e proprio boom di richieste d’asilo. La maggior parte, da persone che arrivano da Bangladesh ed Egitto. Si tratta proprio dei due Paesi che, secondo le nostre toghe, non sono sicuri e dunque non possono diventare mete dei respingimenti rapidi. Risultato: i tribunali non convalidano i provvedimenti dei questori; adesso si rivolgono alla Corte di giustizia europea; e intanto gli immigrati sono liberi di entrare e uscire dai Centri di accoglienza, nei quali li dobbiamo alloggiare. Liberi di circolare. Liberi pure di prendere il treno, magari senza biglietto, magari con una lama in tasca. Non sia mai che capiti un alterco con il controllore.È successo, ad esempio, in Liguria, dove un ventunenne egiziano ha pensato bene di accoltellare il capotreno, a causa di un «fraintendimento», perché «non parlo bene l’italiano». Un suo connazionale di 19 anni, il 27 luglio, su un regionale diretto a Ferrara, aveva malmenato un ferroviere. Quattro giorni prima, il controllore invece le aveva prese da un pakistano. Coincidenza istruttiva: la Repubblica islamica è il terzo Paese per numero di richieste d’asilo in Italia.Le cifre le ha presentate ieri, a Parigi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Fanno riferimento al 2023, anno in cui le domande per ottenere asilo qui sono aumentate del 69% a paragone con l’anno precedente, toccando quota 131.000. La maggioranza degli stranieri giungeva dal Bangladesh (23.000 persone, +59% rispetto al 2022), dall’Egitto (18.000, +106%, l’incremento maggiore su base annua) e dal Pakistan (17.000, +47%). Né si può insinuare che l’Italia maltratti i suoi ospiti: al 48% dei richiedenti asilo ha risposto spalancando le porte. Nel 2022, aveva già accolto 235.000 nuovi immigrati, il 15% in più del 2021. Un crescendo forse rossiniano, sicuramente rosso: il colore delle toghe che proibiscono di sottoporre all’iter veloce per i rimpatri chi giunge da Dacca e dal Cairo, in nome della direttiva Ue e della sentenza della Corte del Lussemburgo. Eppure, Bruxelles giura - lo ha fatto di nuovo ieri una funzionaria della Commissione - che continua a guardare «con interesse al modello introdotto» da Giorgia Meloni. Ovvero, il trasferimento al di là dell’Adriatico di uomini adulti, non vulnerabili, partiti da Stati che il governo considera sicuri. Peccato che la magistratura la pensi diversamente.Secondo i tribunali, c’è ben poco da fare per arginare l’esodo da Bangladesh ed Egitto. Quelli non sono Paesi sicuri, quindi è impossibile sveltire le pratiche per il rimpatrio: lorsignori devono essere sottoposti all’iter ordinario e, giacché aspettano un verdetto, sono autorizzati ad andarsene a spasso per l’Italia. Se non sono brava gente, picchieranno, scipperanno, spacceranno. Si vede che solo i migranti sono titolari di inalienabili diritti umani, che verrebbero violati in caso di trasloco a Gjadër. I giudici sono loro paladini infaticabili. Il diritto degli italiani a vivere in sicurezza non è argomento altrettanto umanitario e chic.Certo, nell’Ue si sono resi conto che i confini colabrodo sono un problema. Se n’è accorta persino Lilli Gruber. L’Ocse l’ha messo nero su bianco: per il secondo anno consecutivo, nel 2023, i flussi verso l’Europa hanno raggiunto «livelli record», anche se non sarebbero «fuori controllo». Stiamo comunque parlando di 6 milioni e mezzo di nuovi immigrati permanenti, distribuiti tra i vari Stati membri dell’organizzazione. Per rimediare, l’Europa ha varato un regolamento più severo, capace di superare pure i limiti imposti dalla recente sentenza della Corte di giustizia. Dal 2026, sarà possibile considerare sicuro un Paese d’origine escludendo parti del suo territorio o alcune categorie di persone. Per capirci: se in Bangladesh perseguitano gli omosessuali e tu sei etero, possono rimandarti a casa in quattro e quattr’otto. Ciò sbloccherà, ancorché in clamoroso ritardo, i trasferimenti dall’Italia all’Albania? Non è detto.Nel loro ricorso al tribunale dell’Ue, le toghe di Roma chiedono che il governo reintroduca il decreto interministeriale con la lista dei Paesi sicuri. Una fonte del diritto secondaria, esposta alle picconate dei giudici. I quali, in aggiunta, vogliono l’ok a servirsi di «fonti proprie» per verificare se la designazione degli Stati di provenienza sia compatibile con il diritto europeo. Sono mosse che potrebbero prolungare il sindacato giuridico sulle nostre politiche migratorie ben oltre il 2026. Con buona pace della nave Libra, dell’accordo con Edi Rama e delle eloquenti statistiche sugli sbarchi. Tanto, cari italiani, alla fine sui treni ci salite voi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/record-richieste-asilo-paesi-insicuri-2669885320.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="veneto-contro-i-violenti-sui-treni-viaggi-gratis-ai-militari-con-la-divisa" data-post-id="2669885320" data-published-at="1731664969" data-use-pagination="False"> Veneto contro i violenti sui treni: viaggi gratis ai militari con la divisa Una divisa per garantire maggiore sicurezza sui treni. Dopo le oltre 250 aggressioni sui treni regionali registrate nell’ultimo anno in Italia, di cui una trentina in Veneto, si spera che la divisa garantisca un’azione di deterrenza contro la violenza, vandalismo e microcriminalità. È con questo spirito che la Regione Veneto ha siglato ieri a Palazzo Balbi a Venezia un accordo con Esercito italiano, Aeronautica, Marina militare e Trenitalia per permettere alle forze armate in divisa di circolare gratuitamente nei treni regionali del territorio. «È una giornata storica» ha detto il presidente il presidente Luca Zaia «perché garantiamo il trasporto gratuito da casa a lavoro ai militari, con una conseguente maggior percezione di sicurezza bordo per i pendolari». Un accordo necessario per il governatore leghista, che ha precisato: «I militari si identificheranno e avranno obbligo della divisa a bordo, per garantire un’azione di deterrenza». I militari disponibili a questa sperimentazione, che inizierà tra 15 giorni e terminerà il 31 dicembre 2025, si registreranno a bordo e contatteranno il capotreno per comunicare il posto a sedere. Le spese dei biglietti saranno a carico della Regione. Dell’iniziativa che potenzialmente potrebbe interessare circa 9.000 militari ha espresso soddisfazione anche il comandante delle Forze operative Nord dell’Esercito, generale di Corpo d’Armata Maurizio Riccò, che ha posto l’accento sugli effetti indiretti dell’accordo, in grado di «offrire una maggiore situazione di sicurezza agli utenti. Ai militari si offre di fare il pendolare in una maniera collaborativa». Un accordo-esperimento che potrebbe interessare anche le altre Regioni, considerate le recenti aggressioni. L’ultima in ordine di tempo quella del nordafricano che su un vagone della linea Milano-Mortara (Pavia) ha preso a schiaffi e a spintoni una capotreno che gli aveva chiesto di spegnere la sigaretta, ricordandogli che sulle carrozze c’è il divieto di fumare. È andata invece peggio a Rosario Ventura, il capotreno di 44 anni accoltellato sul treno Genova-Busalla dal ventunenne egiziano Alshahhat Fares Kamel Salem, che viaggiava senza biglietto. Con lui un’amica di 15 anni, di madre italiana e padre egiziano, che ha preso a schiaffi e sputi il capotreno. L’egiziano, irregolare e con precedenti, è arrivato in Italia con un barcone, ma siccome è originario dell’Egitto, Paese considerato dai giudici non sicuro, è uno di quei migranti che non possono essere trasferiti nel centro in Albania. Vicenda simile a quella di un suo connazionale che lo scorso 27 luglio, su un regionale diretto a Ferrara, aveva prima dato del «razzista» al controllore e poi l’aveva malmenato. E quattro giorni prima, il pubblico ufficiale in servizio a Crevalcore, nel Bolognese, era stato preso a calci e spintoni da un ventitreenne pakistano. Come dicono sommessamente il personale sui treni e gli agenti di polizia, «sono individui che vengono presi, denunciati e poi il giorno dopo li incontri di nuovo in giro o sul treno». Ma ci sono altri casi assurti alla cronaca nazionale. Una settimana fa a Varese un’operatrice di assistenza e controllo di Trenord è stata aggredita, insultata e strattonata per i capelli da due ragazzine, fermate poi dalla polizia. Senza dimenticare il capotreno aggredito con il machete da un immigrato della Costa d’Avorio nel 2019. Dai dati di Trenitalia la tipologia di aggressione più diffusa è quella fisica (nella metà dei 253 casi segnalati quest’anno) seguita da quella verbale. Che è pure violenza.
Nicolò Zanon, ex presidente della Corte costituzionale (Imagoeconomica)
Nicolò Zanon, noto costituzionalista, oggi professore di diritto costituzionale alla Statale di Milano, con un passato da giudice e poi vicepresidente della Corte costituzionale, dal luglio 2010 al settembre 2014 è stato membro del Csm, su indicazione dell’allora Popolo della libertà. E in quegli anni ne ha viste e sentite di cotte e di crude. Ospite di Atreju, il professor Zanon ha raccontato alcuni aneddoti, risaputi, ma allo stesso tempo sconcertanti. Allora come oggi, al Csm era tutto lottizzato dalle correnti. I 20 giudici togati di Magistratura indipendente, Area, UniCost e Magistratura democratica si spartivano tutto. E per tutto si intende tutto, dagli autisti alle donne delle pulizie, fino ai tavoli della buvette dove pranzavano. I dieci membri laici eletti dal Parlamento dovevano solo rassegnarsi. «Il potere delle correnti era talmente forte da coinvolgere non solo i componenti togati, ma addirittura tutto l’ambiente di funzionari che lavoravano intorno a loro», spiega Zanon alla Verità.
Ad esempio, gli autisti che portavano i consiglieri da casa al Csm erano selezionati correntiziamente, ovvero, se tu eri l’autista di Magistratura democratica o di Area, quando cambiava la consiliatura, venivi assegnato ai nuovi componenti togati delle stesse correnti. «Era poi una prassi sedersi in plenum come se fosse un parlamentino», svela Zanon: «C’erano tutti quelli delle correnti da una parte e tutti i laici dall’altra. Su pressione del capo dello Stato e di un togato eletto come indipendente, Paolo Corder, si volle cercare di spezzare questa consuetudine e iniziammo a sederci in ordine decrescente per età. Quando non c’era Napolitano, al posto del presidente sedeva il più anziano e poi, a scorrere, i più giovani. Quando c’erano delle discussioni non previste che non avevano potuto concertare prima, diventava una baraonda, si telefonavano e si consultavano con il capogruppo. Un plenum disfunzionale e disordinato».
Zanon, che si occupava di ordinamento giudiziario, ammette che «in un ambiente così non era facile lavorare. Era complicato operare in maniera indipendente, bisognava volerlo fare e per riuscirci si doveva sgomitare. Il laico era sempre in minoranza, per contare di più dovevamo essere tutti insieme ma raramente accadeva ed è chiaro che con due terzi contro un terzo la partita era difficile in partenza, vincevano sempre loro. Ogni magistrato dovrebbe essere indipendente dagli altri e ragionare con la propria testa, avere una propria autonomia; invece, lì si sentiva forte il peso delle decisioni di gruppo. All’epoca l’alleanza era tra Area e UniCost».
In particolare, Zanon riferisce di un episodio del 2011 che lo scosse particolarmente «tanto che la pressione mi salì a 190 e da allora iniziai a soffrirne». Un caso emblematico. «Ci venne assegnata la pratica per un fuori ruolo. Era una magistrata che doveva essere assegnata alla Corte internazionale ma non era gradita alle correnti. Scrissi di mio pugno una relazione favorevole. Uno dei magistrati segretari scrisse a sua volta una relazione contraria. Cosa che di solito non succedeva mai. Mi sembrò una pratica scorretta e protestai in plenum. Ci fu una specie di rivolta dei magistrati segretari. Anziché valutare individualmente i casi, i magistrati seguivano gli input della corrente del proprio gruppo. Adesso c’è un concorso, ma allora i magistrati segretari venivano scelti dalle correnti ed erano alle loro dipendenze. E i laici erano nelle mani di questi magistrati».
Nemmeno per pranzare si era indipendenti. «In cima a Palazzo dei Marescialli c’è una terrazza molto bella», racconta Zanon, «dove è stata ricavata una buvette. Lì le correnti andavano a pranzo. Ne avevano diritto solo i togati, non noi laici che invece andavamo al ristorante, pagandocelo». E anche i tavoli della buvette erano lottizzati. «I tavoli più belli, che davano sulla piazza, erano quelli di Magistratura democratica e di Area, quello di UniCost era meno prestigioso. Quello di Magistratura indipendente, in minoranza, non aveva vista sull’esterno. Il clima era questo». Persino le donne delle pulizie erano divise in correnti. «Venivano assoldate dalle correnti per fare la spesa ai magistrati», rivela divertito Zanon, «e portavano il cibo in buvette per i togati così non avevano bisogno di andare al ristorante». Anche se guadagnavano 12.000 euro al mese.
Ecco perché il referendum sulla separazione delle carriere è così importante. «Questo è il Csm che questa riforma cerca di svellere», chiosa Zanon, «con la scelta del sorteggio dei togati molto contestata e temuta dalle correnti perché così perderebbero il loro potere».
Alla faccia della indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato.
Continua a leggereRiduci
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia riguardo il traffico di stupefacenti durante la sessione plenaria di Strasburgo.
(Arma dei Carabinieri)
Presso la Scuola Ufficiali Carabinieri l'evento è stato presentato da Licia Colò, alla presenza del Ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, e del Gen. C.A. Fabrizio Parrulli, Comandante del Cufaa(Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri). Nel corso dell’evento, anche il Segretario Generale della Convenzione delle Nazioni Unite Cites, Ivonne Higuero, ha rivolto un video-messaggio di saluto alla platea, elogiando l’impegno pluriennale profuso dai Carabinieri e dalle autorità italiane nel contrasto ai traffici di specie selvatiche protette.
La Convenzione Cites, ratificata dall’Italia con la legge n. 874 del 19 dicembre 1975, rappresenta oggi il più importante strumento internazionale per garantire un commercio sostenibile di oltre 40.000 specie di fauna e flora protette. Adottata dalle Nazioni Unite e ratificata da 185 Paesi, la Convenzione costituisce il pilastro normativo per impedire che mercati illegali, abusi e prelievi eccessivi compromettano la sopravvivenza delle specie più vulnerabili.
Il Calendario Cites 2026, realizzato dal Raggruppamento Carabinieri Cites del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità del Cufaa, ripercorre l’incessante lavoro svolto prima dal Corpo Forestale dello Stato e, dal 2017, dall’Arma dei Carabinieri attraverso i Nuclei Cites, nel contrasto ai traffici illegali e nella salvaguardia della biodiversità globale.
L’opera accompagna il pubblico in un viaggio attraverso 12 storie emblematiche, ognuna dedicata a una specie protetta che, grazie all’azione dei Carabinieri, ha trovato una nuova possibilità di vita. Tra queste, Edy e Bingo, due scimpanzé sottratti a gravi maltrattamenti in circhi e locali notturni; il leopardo rinvenuto in uno zoo privato illegale a Guspini (VS) e trasferito in una struttura idonea; Oscar, una rara tigre bianca recuperata da condizioni incompatibili con il benessere animale.
Il calendario racconta, inoltre, il ritorno alla libertà di centinaia di esemplari di Testudo graeca e Testudo hermanni, reimmessi nei loro habitat naturali dopo essere stati sequestrati ai traffici illegali, così come il delicato rimpatrio di numerose piante del genere Copiapoa nel deserto di Atacama, in Cile.
A chiudere il racconto, l’energia dei tursiopi, nuovamente liberi di nuotare in acque pulite e adeguate, testimonianza del successo delle attività di recupero e trasferimento operate dagli specialisti Cites.
Ogni storia rappresenta un simbolo del trionfo della legalità sulla sofferenza, sull’abuso e sul profitto illecito, e riflette l’impegno quotidiano dei Carabinieri nel difendere ecosistemi, specie rare e patrimoni naturali che appartengono all’intera umanità.
Nel corso dell’evento, sempre all’interno della Scuola Ufficiali Carabinieri, è stata allestita una mostra fotografica a cura del fotografo Marco Lanza, dal titolo: “Vite spezzate: dal contrasto al commercio illegale in Italia, i reperti confiscati del deposito centrale dei Carabinieri Cites”, con scatti realizzati nel Deposito di Magliano dei Marsi (AQ), gestito dal Raggruppamento Carabinieri Cites, dove viene custodita gran parte dei reperti confiscati durante le attività di contrasto al traffico illecito di animali e piante in via d’estinzione. Ogni fotografia riporta animali diventati oggetti tra oggetti, volutamente inseriti dall’autore in un contesto scarno ed essenziale, che quasi fanno percepire incredulità nel trovarsi in un luogo come questo; animali che interrogano l’osservatore mentre sembra vogliano uscire e riconquistare il proprio ruolo in natura.
Il cinquantesimo anniversario della Cites e il nuovo Calendario 2026 sono dunque l’occasione per riaffermare il valore della cooperazione internazionale e il ruolo determinante dell’Italia – e dell’Arma dei Carabinieri – nel contrasto alla criminalità ambientale e nella protezione della biodiversità mondiale.
Sul Calendario è riportata anche una personale dichiarazione del Gen. C.A. Salvatore Luongo, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri: «L’anniversario per i 50 anni dell’Atto di ratifica in Italia della Convenzione di Washington rappresenta un’occasione di riflessione sull’importanza della salvaguardia della biodiversità su scala planetaria e sulla necessità di affrontare sempre più efficacemente la criminalità che lucra senza alcuno scrupolo sullo sfruttamento della fauna e flora minacciate di estinzione. Conservazione attiva, educazione alla legalità, prevenzione e contrasto sono le direttrici che vedono l’Arma dei Carabinieri, nel suo insieme e con i propri assetti di specialità del Cufaa, sempre più impegnata per dare piena attuazione ai principi fondamentali della Carta Costituzionale su tutto il territorio nazionale e negli scenari di cooperazione internazionale».
Continua a leggereRiduci