2023-02-09
Re Sergio s’è preso il festival per comandare l’opposizione
Dietro la manfrina della «pedagogia costituzionale» il messaggio chiaro: Sergio Mattarella occupa il vuoto di un Pd in disarmo, domina la tv pubblica a dispetto del cda e blinda la Carta contro il presidenzialismo di Meloni & C.Ho una proposta: aboliamo il 2 giugno, Festa della Repubblica, e anche il 25 aprile, Festa della Liberazione, e sostituiamole con il 7 febbraio, Festival di Sanremo. Ne guadagneremmo in produttività, perché invece di due giorni di vacanza ne rimarrebbe uno solo. E poi, come ci ha spiegato ieri il Corazziere della Sera a commento della presenza del capo dello Stato all’inaugurazione della rassegna canora, «il Festival è il più interclassista degli eventi, in cui l’Italia si riconosce e si riscopre unita dal 1951». Cosa che non si può dire per il 2 giugno, data che ancora oggi suscita i rigurgiti in una minoranza che si ritiene truffata dal referendum tra monarchia e Repubblica. Inoltre, diciamoci la verità: la parata celebrativa nazionale, con il suo tripudio di bandiere e di frecce aeree, in tv non ha mai ottenuto uno share del 64 per cento. Quanto poi all’anniversario della sconfitta dai nazifascisti, ogni anno è la solita fiera, con sfilate di bandiere rosse e contestazioni di fiamme tricolori, con il risultato che metà del Paese si sente esclusa. Dunque, diamoci un taglio: cancelliamo il 2 giugno e pure il 25 aprile e inseriamo in Costituzione il Festival nazionale di Sanremo, data simbolo dell’unità nazionale davanti al piccolo schermo.Qualcuno potrebbe obiettare che la kermesse canora sia troppo popolare e poco istituzionale. Ma questo problema è già stato risolto dal presidente della Repubblica, il quale lunedì sera ha sdoganato la rassegna canterina con la sua presenza. Non era mai accaduto che un capo dello Stato varcasse il portone dell’Ariston. Al massimo, gli inquilini del Quirinale si concedono al palco reale della Scala, tempio della musica lirica, non certo a quello plebeo di Sanremo, tempio delle canzonette. Con la sua mossa, Sergio Mattarella, che quanto a empatia e capacità di conquistare gli italiani non si può certo paragonare a Sandro Pertini, ha dunque inaugurato una nuova era, quella della pedagogia costituzionale, non più declinata tra le stanze rococò dell’ex reggia papale, ma tra la scenografia scintillante dell’arena musicale. Con il che si completa anche la trasformazione politica di quello che nel passato era l’appuntamento con la migliore canzone italiana. Il palcoscenico dell’Ariston da anni è scambiato per la ribalta degli sconfitti, con la partecipazione di tipi come Rula Jebreal, la quale non perde occasione per fare la vittima, o come Roberto Saviano il quale, essendo da anni chiusa Lotta continua, è stato iscritto ad honorem a Lagna continua. Sì, al Festival non si suona la musica italiana, ma si cerca di eseguire lo spartito della politica italiana, o meglio quella che una classe di mandarini composta da artisti, intellettuali e politici vorrebbe che gli elettori suonassero. Discende da qui la scelta di certe canzoni e dei loro interpreti, i quali devono essere progressisti, solidali, inclusivi e pure fluidi. Dunque, in un simile contesto, con una sinistra liquefatta che impiega un semestre pure per nominare il sostituto di un segretario dimissionario e ritrova l’unità solo in difesa di un anarchico al 41 bis, è ovvio che ha avuto gioco facile il presidente della Repubblica. Presentandosi all’Ariston, si è intestato il ruolo di capo dell’opposizione a qualsiasi cambiamento, in particolare a quello della Costituzione nella parte che lo riguarda. Sì, lo so che il guitto delle istituzioni, ovvero il premio Oscar per il cambio d’opinione (dopo aver definito la nostra Carta la più bella del mondo si accodò a Matteo Renzi per cambiarla) ha parlato dell’articolo 21 e non del numero 83, ovvero quello che regola l’elezione del capo dello Stato. Ma è evidente che se difendi il primo, criticando chiunque vi metta mano, poi il resto viene di conseguenza. Se la libertà è inviolabile e garantita da un’icona costituzionale come Mattarella, si può violare la norma che inchioda al suo posto il presidente della Repubblica? Ovvio che no. Alle battute di Roberto Benigni sui mandati, che mettevano a confronto i suoi con quelli di Amadeus, l’inquilino del Colle ha dunque sorriso contento. Come ci informano i quirinalisti, il capo dello Stato ha acconsentito alla trasferta in Liguria per una buona causa. Non ne abbiamo dubbi. Con un sol colpo, si è infatti intestato la difesa della Costituzione contro qualsiasi stravolgimento in senso presidenzialista e ha mandato un messaggio sia al governo che all’opposizione, chiarendo che nei prossimi anni, a tenere a bada la nuova leadership di Palazzo Chigi ci penserà lui. In sovrappiù, per bocca di uno che la vita bella l’ha incontrata prima dell’Oscar, ha messo in chiaro che l’Italia ripudia la guerra, ma a discrezione del Quirinale. Anche per questo, insisto per istituire la giornata del Festival nazionale di Sanremo. Anzi, visti i commenti sulla maggior parte della stampa, propongo di cambiare il nome alla kermesse ligure e di chiamarla Sansergio. Mi pare più appropriato per definire non i fiumi di parole (canzone con cui i Jalisse 26 anni fa vinsero il Festival), ma il fiume di saliva che ho visto scorrere ieri sulle pagine dei giornali.