
Si sono svolti ieri i funerali di undici dei dodici bambini e adolescenti morti dopo che sabato pomeriggio un razzo (di fabbricazione iraniana) lanciato da Hezbollah ha colpito un campo da calcio nella città drusa di Majdal Shams, nel nord di Israele. I ministri israeliani che era presenti sono stati contestati da alcuni partecipanti che secondo il quotidiano israeliano Times of Israel hanno gridato: «Ci avete abbandonato per nove mesi e ora siete qui!». I drusi rappresentano un gruppo etnoreligioso arabo che segue una dottrina monoteista derivata dal ramo ismailita dello sciismo musulmano. Questa comunità è principalmente presente in Siria, Libano, Israele e Giordania. Il gruppo terroristico sciita, armato e finanziato dall’Iran, ha smentito il proprio coinvolgimento. Tuttavia, una fonte vicina ai funzionari dell’intelligence americana ha affermato all’Associated Press di non avere dubbi sulla responsabilità di Hezbollah nell’attacco sulle alture del Golan. Ma non è certo se il gruppo terroristico mirasse intenzionalmente all’obiettivo o se si sia trattato di un tragico errore. In ogni caso le comunità druse del nord di Israele hanno diffuso un video che avverte: «Cari Hezbollah, avete aperto le porte dell’inferno su di voi». E quale è stata la reazione dell’Iran, che ha scatenato questa guerra attraverso i jihadisti palestinesi? Su X l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, ha affermato che «l’Iran non prevede e non desidera un’espansione delle operazioni militari in Libano e nella regione». Parole che si commentano da sole, dato che Teheran esporta il terrorismo in tutto il mondo e non solo nella regione. E ora Israele che farà?
Nella notte tra sabato e domenica aerei da combattimento israeliani hanno colpito una serie di obiettivi di Hezbollah in tutto il Libano e le Forze armate israeliane (Idf) hanno confermato l’attacco, specificando che «tra gli obiettivi colpiti vi sono infrastrutture terroristiche nelle aree di Shabriha, Burj a-Shamali, Bakàa, Kfar Kila, Rab a-Taltin, al-Khyam e Tir Harfa». Ma di sicuro la rappresaglia vera e propria non tarderà ad arrivare e sono gli stessi miliziani di Hezbollah a dirlo a un’agenzia di stampa tedesca: «Ci aspettiamo un pesante attacco». Israele però non deve commettere l’errore di cascare nella trappola iraniana condivisa con il leader di Hamas, Yaya Sinwar, che mira a far ampliare il conflitto in modo da consentire ad Hamas di potersi salvare dalla distruzione definitiva. In tal senso fonti diplomatiche a Washington e Beirut hanno riferito al canale di notizie libanese Lbci che un attacco israeliano è inevitabile, ma sono in corso trattative per cercare di limitare i danni. Le fonti affermano che «si sta lavorando per ridurre l’entità e l’area dell’attacco, evitando le grandi città densamente popolate, inclusa Beirut». Secondo le stesse fonti ciò potrebbe prevenire una grande risposta da parte di Hezbollah, che scatenerebbe un conflitto che va evitato ad ogni costo. Tutto questo Benjamin Netanyahu, tornato in Israele dopo il viaggio negli Usa, lo sa benissimo; tuttavia, è incalzato dai suoi ministri della destra religiosa che vogliono la guerra totale. Appena rientrato, Netanyahu si è recato nel Quartier generale dell’Idf a Tel Aviv per discutere con i vertici della sicurezza dello Stato d’Israele sui prossimi passi.
A Gaza, intanto, si combatte sempre e ieri le Idf hanno chiesto ai cittadini palestinesi di evacuare alcuni quartieri ad Al-Bureij e Al-Shuhada nel centro della Striscia di Gaza per via «di attività terroristica nella zona». L’attacco nella città drusa di Majdal Shams arriva mentre ieri c’è stato un rapido colloquio a Roma tra il direttore della Cia William Burns, il capo del Mossad David Barnea (che alle 16 era già in Israele), il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdel Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal per discutere del cessate il fuoco a Gaza e del rilascio degli ostaggi.
Sabato, gli Stati Uniti hanno ricevuto l’ultima proposta israeliana per un accordo. A Roma, come riporta Walla, si doveva discutere di questa proposta aggiornata con le nuove richieste di Netanyahu. In particolare, il premier israeliano ha chiesto l’istituzione di un meccanismo straniero di controllo che impedisca il trasferimento di armi dal sud al nord della Striscia di Gaza. L’ufficio del primo ministro ha fatto sapere che «i colloqui sul cessate il fuoco a Gaza e sull’accordo sugli ostaggi proseguiranno nei prossimi giorni» tuttavia, alla vigilia alti funzionari del gruppo negoziale e organi di sicurezza hanno filtrare che Hamas non accetterà questa condizione, circostanza che potrebbe far naufragare per l’ennesima volta la trattativa. Inoltre, Hamas insiste sul ritiro completo dell’Idf dalla Striscia di Gaza per la liberazione di tutti gli ostaggi. Inoltre il gruppo jihadista ha chiesto che il ritiro includa i corridoi di Netzarim e Filadelfia. Per di più, incredibile ma vero, il gruppo jihadista afferma che «non è contrario ad assumere temporaneamente l’amministrazione governativa della Striscia con un consenso nazionale, qualora non si raggiungesse un accordo sulla governance di Gaza e della Cisgiordania». Infine, in serata il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres ha collezionato l’ennesima «perla» del suo mandato: in una nota ha condannato la strage di di Majdal Shams senza però menzionare gli Hezbollah.





