2022-09-04
L’11 settembre della radio pubblica. La Rai manda in soffitta le onde medie
Tra una settimana l’azienda spegnerà il canale sulle frequenze AM. Una scelta per concentrarsi su Dab, digitale e Fm. In realtà, l’analogico è garanzia di affidabilità (vedi in Ucraina), inoltre si penalizzano gli italiani all’estero.La Rai spegne le onde medie lasciando l’Italia senza più canali radio trasmessi in modulazione d’ampiezza. Sul sito del nostro servizio pubblico, nella pagina dedicata alle «audiodescrizioni» per i non vedenti, da qualche mese si legge: «Dall’11 settembre 2022, causa cessazione delle trasmissioni radiofoniche Rai in modulazione onde medie, le audiodescrizioni dei programmi televisivi per i non vedenti saranno disponibili solo sui canali audio dedicati della televisione digitale terrestre e online». Ma nulla di più. Già il 15 maggio 2004 le emissioni in onde medie di Radio2 e Radio3 erano state unificate sotto Radio 1, mentre nel 2014 furono fermati alcuni degli impianti ritenuti secondari. Una scelta giustificata dalla riduzione delle spese di manutenzione e dalla volontà di digitalizzare ogni trasmissione, ma un errore strategico in tempi in cui dalla Bbc a Radio China, tutte le più importanti emittenti al mondo sono tornate all’analogico. Così l’11 settembre cadranno segnali storici della banda Am, verrà a mancare la base di quello che dovrebbe essere il servizio pubblico, ma la giustificazione del «risparmio e rinnovamento» non tiene: per smontare le postazioni esistenti si spenderanno soldi dei contribuenti, saranno rottamati trasmettitori che non sono affatto vecchi armadi a valvole come si potrebbe pensare, e la stessa fine potrebbero presto farla anche i canali in modulazione di frequenza (Fm), abbandonati a favore del Dab (trasmissione digitale), modalità che da poco tempo è comparsa nelle autoradio delle automobili. C’è un fattore tecnico che viene sottovalutato: la facilità di ricezione dell’analogico, sia esso in modulazione di ampiezza o frequenza, è superiore al digitale; ma esiste anche un fattore sociale, poiché come dice Emanuele Scatarzi, grande esperto delle radio, «ciò che più colpisce in questo processo male annunciato è l’assoluta noncuranza del fatto che la Rai è servizio pubblico a prescindere della convenzione in essere con lo Stato italiano, il suo compito è trasmettere anche per le minoranze etniche e religiose». Non a caso molte frequenze lasciate libere da emittenti italiane oggi sono occupate da segnali arabi e cinesi, anche nelle postazioni cittadine Fm di Milano, Firenze e Roma (Chinafmitalia.com). Dal febbraio scorso con la guerra in Ucraina c’è stata la riattivazione di emittenti a onde corte perché le caratteristiche di propagazione rendono semplice l’ascolto a grandi distanze.Le trasmissioni in streaming possono infatti risultare essere molto fragili, la millantata superiorità tecnologica e qualitativa del digitale è tale soltanto in condizioni ideali: senza reti, server, connessioni mobili, computer, tablet e telefonini non si riesce ad ascoltare, mentre la radio analogica necessita soltanto di trasmettitore e ricevitori. Perdere le trasmissioni analogiche significa non avere più quella ridondanza che distingue il servizio pubblico da quello commerciale. E quanto accade in Ucraina sta proprio dimostrando la fragilità del sistema digitale, poiché una trasmissione analogica, anche qualora non perfetta e disturbata, resta intellegibile, mentre quella digitale diventa muta. Mentre in molti Stati europei i canali Am vengono dotati di tecnologie aggiuntive, in Italia si pensa a fare cassa, magari anche al valore dei terreni sui quali sorgono le postazioni. Per canali come i 900 Khz di Rai Radio 1 che tramette da Siziano (a Sud di Milano), e che nelle ore serali raggiunge tutta l’Europa, sarà la fine. Niente più «suono di casa» per chi viaggia per lavoro, niente più riferimento tempo-campione con l’orologio esatto, dando per scontato che la connessione web sia sempre disponibile ovunque. In molte zone d’Italia sale la preoccupazione, specialmente nella zona appenninica, dove le onde radio nelle frequenze più alte (usate in Fm e Dab) faticano a superare gli ostacoli. La stessa preoccupazione viene espressa dalle comunità italiane in Croazia e Slovenia, dove talune aree geografiche rimarrebbero senza possibilità di ricevere trasmissioni in italiano. Intervistato da LaVoce il 26 agosto scorso, il presidente dell’Unione italiana Maurizio Tremul si è rivolto in al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al sottosegretario di Stato degli affari esteri e della cooperazione internazionale Benedetto Della Vedova, dichiarando: «Le trasmissioni in onde medie garantiscono alla nostra comunità una programmazione che offre informazione e intrattenimento in lingua italiana di altissima qualità e rappresentano anche uno strumento di tutela e divulgazione della lingua e cultura italiane all’estero, in particolare sulla sponda orientale dell’Adriatico». Si riferiva al programma La Voce della Venezia Giulia, molto seguito dai nostri connazionali. Puntualizza Tremul: «Il previsto trasferimento delle trasmissioni sulle piattaforme web, per quanto funzionale ed efficace per la fascia giovanile e per i nativi digitali, risulterebbe comunque escludente della popolazione anziana». Senza i canali a 981 Khz di Trieste e 936 Khz da Venezia, i connazionali perderanno ogni possibilità di ricevere informazioni senza un computer. E il 21 luglio a protestare fu anche la senatrice Tatiana Rojc, segnalando «un problema che attiene la concreta tutela dei diritti di una minoranza linguistica». Ma ancora non si è saputo nulla, mentre l’11 settembre (brutta data) si avvicina.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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