2019-10-07
Parla Occhionero: «Quella trappola la conosco, la denunciai in Procura»
L'ingegnere condannato per spionaggio rivela il retroscena inedito dello scandalo internazionale. «Ma nessuno si è mosso».Da qualche giorno sui media di tutto il mondo si parla dell'ipotesi che il Russiagate e la caccia alla mail di Hillary Clinton fosse in realtà una trappola preparata per Donald Trump. Chi sostiene che le cose siano andate così è l'ingegnere romano Giulio Occhionero. Il suo nome, accanto a quello della sorella Francesca e del poliziotto Maurizio Mazzella, fece il giro del mondo nel gennaio 2017, quando la Procura di Roma ammanettò i due fratelli con l'accusa di aver spiato il gotha politico economico, pezzi di establishment internazionale, di magistratura e così via. Il processo ha visto la condanna in primo grado dei due fratelli per accesso abusivo a sistema informatico e intercettazione illecita di comunicazioni, la posizione di Mazzella invece è stata stralciata. A breve dovrebbe essere fissato l'appello. Oggi Occhionero lavora ad Abu Dhabi per il terzo fondo di investimenti mondiale.Cosa intende quando dice che il governo italiano si è prestato a manovre nella vicenda Trump-Clinton?«Il governo dell'epoca ha dato vita a una serie di attività che si sono svolte anche sul territorio italiano, come l'incontro di adescamento di George Papadopoulos all'università Link campus, nel quale lui dice di aver incontrato oltre a Joseph Mifsud anche l'ex direttore della polizia postale Roberto Di Legami e l'ex vice presidente del Copasir Giuseppe Esposito, poi entrambi comparsi anche nella vicenda Eyepyramid che mi ha visto coinvolto». Lei si rende conto del peso delle sue affermazioni?«Sì, e per questo ho fatto diversi esposti alla Procura di Perugia. Anche perché oltre a quanto detto sopra vi sono decine di attacchi informatici verso lo spazio cibernetico Usa che sono stati svolti da ufficiali della polizia postale su ordine della Procura di Roma».Come e quando ha iniziato a farsi questa idea?«I primi sospetti li ho avuti quando in seguito alla mia liberazione ho notato che le firme della stampa anglosassone sul caso Eyepyramid erano le stesse che avevano lanciato il Russiagate. Quando vidi l'intervista a Roberto Di Legami sul Guardian firmata da Stephanie Kirchgaessner capii che lo scopo dell'inchiesta non erano i fratelli Occhionero, ma qualcosa di molto più grosso».A chi ha detto queste cose? «A diversi rappresentanti istituzionali in più Paesi. L'Italia fu il primo con due Pec identiche ai ministri Marco Minniti e Roberta Pinotti successivamente al nostro arresto. Ma in Italia nessuno ha fatto nulla finché non è stato il governo Usa ad aprire le indagini». Ma perché l'Italia avrebbe dovuto sobbarcarsi una rogna tanto grande? «Come ho detto a Perugia per i ritorni politici e professionali che molti si aspettavano da un'inchiesta eclatante a favore del candidato vincente alla Casa Bianca. Ed è assolutamente ovvio che per un favore del genere ci si rivolga a un governo politicamente allineato. È anche il motivo per cui sono scettico su un coinvolgimento britannico. Mi aspetto piuttosto che emergerà che qualcuno avesse fatto credere all'intelligence britannica che Trump fosse realmente al servizio dei russi». Qualcuno potrebbe pensare che lei sia andato troppo in là con la fantasia«È libero di farlo. Però la coincidenza temporale tra l'acquisizione dei nostri server negli Usa con il licenziamento dell'ex direttore della Fbi James Comey già la dice lunga: probabilmente qualcuno aveva fatto credere alla polizia federale che sui nostri server fossero depositate le email della Clinton, e chi gli ha creduto ha perso il posto. Inoltre come vede dalle declassificazioni degli email recenti, anche la moglie di Bruce Ohr (il numero due del dipartimento di Giustizia Usa, ndr) parlava del caso dei fratelli Occhionero. Mi domando se qualcuno dall'Italia abbia fatto in modo che la nostra rogatoria finisse proprio sul tavolo di Bruce Ohr. Quando la Procura di Roma ci fornirà la corrispondenza della rogatoria con gli agenti Fbi, capiremo se ho ragione». Mazzella si era sentito dire durante la perquisizione «chi è il vostro contatto nella squadra di Trump?»«Fu un'eclatante conferma di quello che sospettavo e, per altro, l'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone non ha mai risposto alla mia richiesta di chiarimenti». A Roma risulterebbe ancora aperto un altro fascicolo a suo carico e a carico di Mazzella e addirittura di sua madre: di che si tratta?«Ci contestano l'acquisizione di informazioni sulla sicurezza nazionale. Io ho il dubbio che la Procura, in particolare il pm Eugenio Albamonte, temesse che io avessi capito cosa stava davvero accadendo».