2021-09-25
Quarantene fiduciarie senza fondi. Così il governo incentiva le bugie
Il Consiglio dei ministri non trova i 900 milioni di euro necessari per rimborsare le assenze dal lavoro di chi incrocia un positivo. Dire la verità significherà restare a casa e non prendere neanche lo stipendio.I 900 milioni di euro necessari per rimborsare le assenze dal lavoro dovute alle quarantene fiduciarie non si sono trovati. Il Consiglio dei ministri dello scorso giovedì ha varato un importante, sebbene insufficiente, stanziamento per calmierare le bollette: 3,5 miliardi. Ma nulla per i dipendenti costretti a rimanere a casa per aver incrociato un Covid positivo. La notizia è finita nel tritacarne della cronaca. Liquidata come fosse solo una questione di budget. D'altronde alcuni rappresentanti del governo hanno spiegato che prima o poi i fondi si troveranno. Peccato che il fatto stesso di non aver colto l'importanza del rifinanziamento sia indice di una enorme contraddizione in cui il mondo del lavoro è stato gettato prima dal lockdown e poi dai continui dpcm e decreti che hanno incrociato in modo convulso lotta alla pandemia e incapacità di cogliere gli aspetti reali del mondo produttivo. Le norme impongono a chiunque entri in contatto con un positivo di ritirarsi in quarantena fiduciaria. Se è possibile continuando a lavorare da casa, altrimenti chiudendosi in casa e assentandosi dal lavoro. L'onesto cittadino che si autodenuncia dallo scorso agosto è costretto alla quarantena senza stipendio. La paga viene pesantemente sforbiciata. Ovviamente così facendo si disincentiva l'intero meccanismo che nella testa del legislatore sarebbe stato virtuoso: traccio i positivi, raccolgo dati sui tempi di eventuale attivazione del virus ed evito ulteriori contagi. Invece già dal 2020 la burocrazia ha finito con il prevalere. Una volta segnalato dal positivo, la «vittima» di quarantena fiduciaria finisce nelle liste prefettizie. Alle Ats non importa che si tamponi (scelta che invece avrebbe aiutato a raccogliere importanti dati sulla trasmissione) ma si limita a far decorrere (almeno in Lombardia) i 15 giorni. Al termine dei quali il quarantenato può tornare in libertà. Se sia positivo, a quel punto alla burocrazia non importa nemmeno. Tale atteggiamento ha dunque reso agli occhi di molti l'applicazione della norma una mero atto punitivo e non certo un gesto utile alla scienza e alla battaglia contro il virus. Adesso che il malcapitato deve pure privarsi di mezzo stipendio possiamo dire che la norma è finita su un binario morto. Tanto più che nel frattempo il caos giuslavoristico si è arricchito pure della grande platea di follie e incongruenze che costellano il green pass. Basti pensare che il dipendente che non esibisce la carta verde non può - ovviamente - essere licenziato, ma viene di fatto sospeso senza stipendio. Il governo non ha previsto alcun tipo di contratto sostitutivo, un po' come con la maternità. Non l'ha fatto perché non è possibile. Solo questo dettaglio basterebbe per chiedere a gran voce l'abolizione immediata del green pass sui luoghi di lavoro. Purtroppo, invece, appare sempre più evidente la confusione politica attorno al mondo del lavoro. Da mesi si discute di reddito di cittadinanza e di mancate politiche attive, del divieto di licenziare e pure di interventi mirati contro la delocalizzazione. Le aziende scappano principalmente dalla burocrazia, ancor più che dalle tasse. Fino ad oggi i danni del governo e le continue sovrapposizioni normative non erano arrivati a violare l'interno delle aziende. Intendiamoci, pur restando ai cancelli d'ingresso l'influenza si è sentita, eccome. Adesso però il Rubicone sembra essere stato superato. Le imprese hanno bisogno di stabilità da un lato e libertà dall'altro. Con la prima programmano e con la seconda inventano nuove strade e sperimentano nuove strade di crescita. Certo, il fallimento è sempre contemplato. Con il Conte bis invece il mercato del lavoro è stato congelato. Licenziamenti bloccati e impossibilità nel ristrutturare le imprese. L'esecutivo ha sbloccato la situazione solo a parole. Nei fatti non si può licenziare. Lungi da noi tifare per questo. Ma il grave è che a bloccare il decreto c'è la burocrazia del ministero guidato da Andrea Orlando. La volontà del premier, per usare un eufemismo, non arriva a compimento. Sono i tanti paradossi che stravolgono il fare impresa. Adesso vittime degli stessi paradossi sono anche i dipendenti. Esattamente quelli travolti dalle quarantene fiduciarie. Possono capire l'inutilità dannosa della burocrazia. Peccato che mal comune non è mezzo gaudio. Ma totale fallimento.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.