2020-08-28
Quando è di sinistra, la censura non esiste
Dario Fo (MIcheline Pelletier/Corbis/Getty Images)
La giunta progressista di Massa Martana, in Umbria, cancella la rappresentazione di uno spettacolo scritto da Dario Fo e mezza Italia (giustamente) s'indigna. Se però la scure cala su autori e idee «di destra», le reazioni sono molto diverse. Sentite un po' come ragionano: «Siamo una delle rare giunte di centro sinistra umbre, chi può pensare che utilizziamo la censura?». Lo dice Francesco Federici, sindaco di sinistra di Massa Martana, in Umbria. È finito sui giornali perché nel suo Comune è stata bloccata una rappresentazione del Primo miracolo di Gesù Bambino, giullarata di Dario Fo tratta dal celeberrimo Mistero Buffo. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Stabile di Torino, per la regia di Eugenio Allegri, con Matthias Martelli a fare da protagonista. Sono stati proprio attore e regista a dichiarare che l'amministrazione di Massa «si è opposta alla realizzazione dello spettacolo in quanto non lo ritengono adeguato - per i temi attinenti alla religione cattolica- alla loro popolazione». Ovviamente, dopo che la notizia ha fatto il giro d'Italia, il primo cittadino ha tentato di giustificarsi. Sostiene che ci sia stata un'incomprensione, che la religione non c'entri nulla. Ripete che avrebbe voluto iniziare la stagione «con uno spettacolo un po' più leggero e alla portata di tutti». Gli avevano proposto «La gabbianella e il gatto e il concerto dei Carmina Burana, poi non so per quali motivi ci è stato detto che non potevano essere realizzati». Ora, che i Carmina Burana siano «leggeri» è tutto da dimostrare. In ogni caso, il sindaco deve avere una considerazione piuttosto scarsa dei suoi concittadini se non li reputa in grado di apprezzare la giullarata di Fo. Il quale avrà senz'altro avuto tanti difetti (a partire dall'arrogante piglio da tribuno), ma quando si trattava di strappare grasse risate ci sapeva fare eccome. L'aspetto più interessante - a livello sociologico - di tutta la faccenda è però la succitata frase del Federici. Il quale, per scagionarsi, dichiara: «Non posso aver censurato, perché sono di sinistra». Ecco, questo è uno dei più odiosi ritornelli che capita spesso di udire dalle nostre parti. È una sorta di incrostazione mentale, una falsità patente che però non si riesce a grattar via. Tanto che - persino quando c'è la prova lampante dell'atteggiamento censorio messo in campo dai progressisti - si tirano in ballo i «fascisti rossi», come se le ideologie comuniste e post comuniste non fossero state maestre di mordacchia come e più dei regimi neri. Sembra che in Italia la censura non possa essere «una cosa di sinistra». Sapete perché succede? Perché sulla cultura di destra grava ancora lo stigma del «fascismo eterno». I nostri illustri intellettuali e politici ritengono che ci siano idee che è bene cancellare, perseguitare, screditare, oscurare. Certo, i discorsi dei censori non sono mai così espliciti. Ad esempio ieri, sulla Stampa, Vladimiro Zagrebelsky - proprio partendo dalla rimozione dal cartellone dello spettacolo di Fo - ha scritto un bell'editoriale sulla libertà di espressione. La quale, dice la firma del giornale torinese, dev'essere sempre garantita. Tranne che per le «espressioni di razzismo, odio verso gli altri incitazione alla violenza». Pensiero sacrosanto, sulla carta. Il problema è che poi, alla prova dei fatti, per diventare «razzisti» basta mostrarsi critici verso l'immigrazione di massa; per essere «violenti e incitare all'odio» basta non apprezzare la retorica Lgbt, e via di questo passo. Dunque se lo spettacolo di Dario Fo viene censurato, tutti gli illuminati si stracciano (giustamente) le vesti. Ma se un editore «di destra» viene cacciato impunemente dal Salone del libro di Torino, sono davvero in pochi a fiatare, e sempre con un filo di supponenza. Se poi viene impedita la presentazione di un libro «di destra», a nessuno importa. Quando un gruppo di autori liberal - tra cui J. K. Rowling - contesta gli eccessi iconoclasti degli antagonisti, i commenti favorevoli si sprecano. Se scrittori di altro orientamento fanno lo stesso, sono trattati come odiatori che piagnucolano. Se viene insultato un giornalista o una giornalista «sovranista» - comedi frequente accade - i sinceri democratici festeggiano, perché bastonare un fascista non è reato. Ma guardate che cosa è accaduto nei giorni scorsi, quando un giornalista di Repubblica ha pubblicato un tweet da sciacallo sul nubifragio di Verona: lo hanno difeso a spada tratta, presentandolo come la vera vittima, per via di qualche insulto ricevuto sui social network. Curiose giravolte, non trovate? Dispiace anche a noi che in Umbria non possa andare in scena il Mistero Buffo. Ma l'Umbria è pure la regione a cui il ministro della Salute vuole imporre di distribuire la pillola abortiva in day hospital anche se la governatrice regolarmente eletta è contraria, e in quel caso a difesa della libertà, da sinistra, non si è levato nessuno. Gli stessi alfieri del pluralismo che piangono per il Fo proibito, per giunta, non emettono un fiato sulla legge bavaglio sull'omotransfobia, il ddl Zan-Scalfarotto. Cioè una norma pensata esclusivamente per togliere spazio e visibilità (e libertà) a chiunque non condivida le posizioni politiche degli attivisti Lgbt. Intanto la responsabile dei diritti del Pd, Monica Cirinnà, ancora in questi giorni insiste a dire che a settembre la mordacchia arcobaleno dovrà a tutti i costi essere approvata. Ma che volete, in fondo parliamo di gente sinistra, che con la censura non ha nulla a che spartire...
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.