2022-04-12
Putin ha un’arma: l’export di grano
Abdelmadjid Tebboune (Ansa)
Tutti i Paesi africani, possibili fornitori di energia all’Italia, per sfamarsi dipendono da Mosca. Che non soltanto può regolare i rubinetti del gas, ma anche il forno del pane.Alla ricerca del gas perduto Mario Draghi potrebbe inciampare su un sacco di farina. Gioacchino Rossini duecento anni fa aveva musicato L’Italiana in Algeri, un’opera buffa appunto. Tra i tanti proclami che si sono fatti sulla possibilità di staccarsi da Mosca andando a cercare altrove un fil di metano non si è tenuto conto del fattore fame. L’Algeria è uno dei Paesi del Maghreb dove la carenza di frumento e semola sta assumendo contorni drammatici. La repubblica guidata da Abdelmadjid Tebboune è il secondo importatore africano di cereali dopo l’Egitto. Ne comprava gran parte dalla Francia, ma dal 2018 tra i fornitori c’è Vladimir Putin. Oggi la Russia dà all’Algeria metà del suo fabbisogno: circa 5 milioni di tonnellate di grano e Putin potrebbe sempre chiedere ad Algeri di non venderci il gas se vuole ancora mangiare. Nell’imminenza dell’incontro con Draghi le autorità algerine hanno cercato di nascondere questa «crisi della farina», per non destare eccessivi allarmi sui loro rapporti con Mosca. A Tizi Ouzou e Bejaïa, in Kabylie (nell’est del Paese), però le riserve di semola sono state azzerate e si sa che al porto di Algeri le navi che portano grano si sono rarefatte con un innalzamento del 300% dei prezzi di semola e frumento. La tensione sui cereali che mancano è peraltro il primo elemento di instabilità dell’area (per cui non è detto che le forniture di gas siano pacifiche) visto che in Tunisia il prezzo del pane è bloccato con sempre maggiore fatica e che in Marocco non si trova più semola. L’Algeria voleva cessare il calmiere dei prezzi attraverso il bilancio pubblico, ma ha dovuto ripensarci e intanto ha chiesto aiuto ai militari del gruppo Wagner - truppe d’assalto al soldo di Putin - che vigilano oggi in Mali al posto della missione euro-francese sulle formazioni jahidiste, ha rafforzato il pattugliamento al confine col Marocco e nella zona abitata dai Sharawi che occupano il Sahara occidentale. Il rischio è che scoppi la guerra del grano. Del resto le primavere arabe, salutate dai sinceri democratici come rivoluzioni salvifiche salvo poi insediare nell’area regimi militarizzati, scoppiarono per l’aumento del prezzo del pane. La situazione è a quel livello anche perché l’Algeria causa siccità ha perso il 38% dei sui raccolti, Tunisia e Marocco sono sotto il 40% di produzione propria. Lo spettro della fame peraltro è evocato dalla Fao che continua a dare l’allarme. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite i prezzi dei prodotti alimentari hanno raggiunto, in marzo, livelli mai così alti (+12,6% rispetto a febbraio 2022 e +33,6% rispetto a marzo 2021). Mosca dunque non solo può regolare il rubinetto del gas, ma anche il forno del pane. Russia e Ucraina rappresentano circa un terzo della produzione globale di cereali e il 60% di semi oleosi. Putin blocca i porti e non c’è modo di avere forniture ucraine e per contro la Russia sta usando il grano come «strumento diplomatico». Il perdurare del conflitto compromette i raccolti con un ulteriore incognita: la possibile contaminazione nucleare dei grani ucraini allungando di un altro anno la dipendenza dei Paesi africani. La partita del gas si decide anche a tavolino: se non si apparecchia il pasto gli accordi sono fragili. Mario Draghi e Roberto Cingolani, ministro della Transizione energetica, sperano di stringerne altri con altri Paesi africani. Per spremere gas si guarda ad Angola e Congo. Anche lì si rischia d’inciampare sui sacchi di farina russi. Il Congo importa da Mosca il 50% del grano di cui ha bisogno che è oltre la metà del suo consumo, l’Angola importa il 60% del suo fabbisogno alimentare anche perché solo un decimo dei 50 milioni di ettari di terreno disponibile è coltivato. La Russia è il primo fornitore di grano dell’Angola. Il «controllo» per via alimentare di Mosca si è palesato anche all’Onu: 17 Paesi africani si sono astenuti sulle mozioni di condanna di Putin per l’invasione dell’Ucraina. Tra questi ci sono tutti i potenziali fornitori di gas che l’Italia va elemosinando in giro. Con il paradosso di pagare il metano in dollari per consentire ai Paesi africani di comprare in rubli il grano che a quelle latitudini è assai più necessario del riscaldamento. Come si sa la strategia monetaria di Mosca per aggirare le sanzioni finanziare che proprio Mario Draghi ha messo a punto è quella di far decadere il dollaro come moneta di riferimento delle transazioni sia energetiche che alimentari. Così se il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si vanta: «Contro il ricatto russo prendiamo il gas dall’Algeria», qualcuno dovrebbe avvisarlo che potrebbe scattare il contro-ricatto sul grano da parte di Mosca. E noi, grazie all’Europa che ha distrutto i nostri campi, su quel piatto non abbiamo nulla da mettere.