2022-06-23
Pure Confcommercio si sveglia dal letargo: «Rifare i protocolli»
Donatella Prampolini, vicepresidente e fan delle mascherine, si è accorta che l’emergenza è finita: «Ora regole più snelle».In Confcommercio si sono finalmente accorti che lo stato di emergenza è finito lo scorso 31 marzo. La vice presidente con incarico al lavoro e welfare, Donatella Prampolini, ha dichiarato che «si è aperta una nuova fase e occorrono indicazioni da parte dei ministeri e delle istituzioni preposte. Bisogna lavorare a nuovi protocolli molto più snelli e concentrati sulla prevenzione dei lavoratori fragili, e sulla raccomandazione di mantenere forme di distanziamento in situazioni critiche». Benvenuta nella ritrovata normalità. Peccato che il decreto legge del Consiglio dei ministri che introduceva disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto al Covid-19, fosse stato approvato in data 17 marzo e che da lì a pochi giorni non venisse più prorogata l’emergenza sanitaria. Nonostante il parziale giro di boa, a maggio Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria e le associazioni del mondo datoriale, presenti pure Confcommercio e Confesercenti, confermarono, invece, il protocollo condiviso del 6 aprile 2021. Quando ancora c’era emergenza Covid. Prima dell’incontro, la Prampolini, imprenditrice emiliana titolare di una catena di supermercati, annunciava che avrebbe chiesto «al governo l’uso della mascherina per i lavoratori almeno fino al 15 giugno, in particolare per tutti quelli a contatto con il pubblico, come i supermercati e negozi con grande affluenza di persone». Protocolli «semplificati ma non aboliti, vanno dismessi gradualmente. Riscontriamo ancora molti casi di positività tra i nostri collaboratori», spiegava. Al termine di un tavolo di lavoro, grazie alla complicità dei sindacati, le mascherine rimanevano ancora obbligatorie al chiuso come pure all’aperto, quando non è possibile rispettare la distanza di sicurezza. Un protocollo che sta vessando centinaia di migliaia di lavoratori in bar, ristoranti, fabbriche, cantieri edili, in un quadro epidemiologico completamente mutato anche se i contagi di Omicron si moltiplicano (soprattutto tra i vaccinati), però senza stress per il sistema sanitario. «I protocolli Covid concordati in pieno lockdown hanno funzionato affinché i luoghi di lavoro fossero luoghi sicuri», commentò soddisfatta la numero due della confederazione che rappresenta il commercio, il turismo, i servizi, i trasporti e il lavoro autonomo professionale. Aveva poi aggiunto di che si era deciso «di prorogare la vigenza dei protocolli sottoscritti a marzo e aprile 2020, in attesa di segnali chiari di abbassamento della curva dei contagi e in questo periodo di transizione verso l’uscita definitiva dalle restrizioni». Però, se il virus circola ancora molto e «si è adattato all’ambiente, non solo variando e diventando più contagioso ma anche adattandosi alle temperature», come ha sottolineato l’infettivologo Matteo Bassetti, e Omicron 5 è così contagiosa che, «se entra in una comunità, che si tratti di famiglia, un congresso o una cena, si contagiano praticamente tutti», perché mai la Prampolini ,adesso, invoca una strategia diversa? Nemmeno una riga sostanziale venne cambiata nel documento approvato all’unanimità, e che senza un supporto scientifico applicava le stesse regole di un anno fa. Un protocollo con misure «che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’autorità sanitaria», si volle far credere, imponendo le chirurgiche o addirittura le Ffp2 mentre negli altri Paesi europei rimaneva l’obbligo di mascherina solo sui trasporti pubblici e nelle strutture sanitarie. Addirittura Confcommercio indicava che «rimane ferma la facoltà per ciascun datore di lavoro di integrare le misure di sicurezza e prevenzione indicate dai suddetti protocolli con altre misure equivalenti o più incisive in relazione alla specificità della propria organizzazione». Lo scorso settembre, l’imprenditrice dichiarò che «il costo dei tamponi per ottenere il green pass non può essere a carico delle imprese, che hanno già sostenuto costi ingenti di adeguamento dei luoghi di lavoro alle discipline concordate nei protocolli vaccinali», in risposta a quanto invece auspicava il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, per il quale era «un errore che una persona per lavorare debba pagarsi il tampone». Confcommercio non voleva farsi carico delle spese e per la Prampolini «mettere in sicurezza i lavoratori significa chiaramente anche prevedere l’obbligo di vaccino o green pass». Aggiunse che «per questo si può ritenere applicabile quest’obbligo a tutti i lavoratori, iniziando dal personale che lavora a diretto contatto con il pubblico, ad esempio nei supermercati, nei negozi alimentari di prossimità e nei pubblici esercizi». Oggi ha cambiato idea.