2019-05-08
Ma finora a finire in tribunale sono i ras della parrocchietta
Spese pazze, bilanci truccati e appalti maneggiati. Sono ben 29 gli indagati fra i responsabili della kermesse torinese degli anni passati.Dopo giorni di efferate polemiche e accorate defezioni, domani il Salone del libro aprirà i suoi blasonati battenti. Migliaia di visitatori affolleranno gli stand. Dettagliatamente edotti sulle peripezie di Altaforte, casa editrice vicina a Casapound. E beatamente ignari del pandemonio giudiziario che aleggia sulla kermesse torinese. Un groviglio di inchieste, condanne e patteggiamenti. Che ruota intorno allo storico patron della manifestazione: Rolando Picchioni, ex sottosegretario ai Beni Culturali dal 1979 al 1981 e già alla guida del Consiglio regionale piemontese. Ma soprattutto presidente della Fondazione per il libro, che organizza l'imminente salone, dal 2005 al maggio 2015. Quando viene indagato dalla procura di Torino per peculato. Negli ultimi cinque anni della sua reggenza, avrebbe speso 850.000 euro: «Per finalità personali, e comunque estranee agli scopi della fondazione». Denari pubblici. Perché generosamente concessi dal comune di Torino e dalla Regione Piemonte.È il masso da cui nasce la valanga. Ovvero: l'inchiesta che s'è abbattuta sulla passata gestione di Librolandia. Il 17 gennaio 2019 i pm hanno inviato l'avviso di conclusione delle indagini a 29 persone. Sono accusate, a vario titolo, di falso in atto pubblico e turbativa d'asta. Nelle prossime settimane la procura potrebbe chiedere i rinvii a giudizio. Oltre a Picchioni e al suo successore, Giovanna Milella, in carica fino al 2016, rischiano il processo tanti bei nomi della politica torinese. Come l'ex sindaco Piero Fassino e l'assessore alla cultura della Regione, Antonella Parigi. Intanto Picchioni, lo scorso ottobre, è già stato condannato in appello per calunnia in un'altra inchiesta. Ancor più datata. Storiella un po' torbida. L'ex presidente della kermesse, nel 2014, denuncia per estorsione un giovane imprenditore: Stefano Buscaglia. I magistrati scoprono però che Picchioni avrebbe versato 7.000 euro volontariamente: per evitare che l'amico rivelasse le sue sconvenienti avance. E sono proprio le dichiarazioni di Buscaglia ad aprire il gorgo: «Mi disse che era una prassi quella delle fatture false, che lui praticava soprattutto nel periodo che precedeva il Salone». Le indagini, dunque, partono dal sospetto peculato del vecchio patron. Ma si allargano rapidamente. A luglio del 2016 vengono arrestate quattro persone per turbativa d'asta. Tra cui anche l'allora direttore generale della fondazione torinese, Valentino Macri. Sono accusati di aver pilotato il bando di gara per l'organizzazione del Salone. Tre degli indagati, a settembre del 2016, patteggiano a un anno. Nel mentre, l'inchiesta si trasforma in una maxinchiesta. Centinaia di atti, migliaia di pagine. Che svelano, sostengono i pm, il lato oscuro del decantato evento librario: spese pazze, bilanci truccati e appalti maneggiati. Infine, l'ultima mossa: lo scorso gennaio i pm firmano l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. «Bisognava trattare bene gli ospiti» fa mettere a verbale Picchioni. E ci mancherebbe… Mai sia che la meglio intellighenzia si cibi di paninacci e insalatine. Ci vuole ben altro per rifocillare menti brillanti. Così, degli 857.000 euro contestati, quasi 455 sono destinati al vitto. In media, farebbero 332 euro al giorno. Il munifico ex presidente avrebbe continuato a strisciare la carta di credito aziendale. Implacabile. Pasti caldi per tutti. A spese dei contribuenti, però. Perché Picchioni, chiariscono i pm, era un pubblico ufficiale. Che maneggiava, indirettamente, soldi di comune e regione. E però non di soli carboidrati e proteine vivono gli scrittori. Ci vuole, ogni tanto, pure qualche dolciume. E quindi, cosa volete che siano 23.000 euro spesi in cioccolato davanti al sorriso di un tormentato intellettuale? Dunque: scatole, praline, lingotti. Ordini da centinaia di euro alla volta. Ma anche l'aspetto non va trascurato. Certi vezzi sono necessari. Così un centinaio di foulard di seta vengono comprati il 20 dicembre 2010: 5.760 euro. Lo stesso dicasi per le cravatte blu scuro e bordeaux acquistate il 31 maggio 2011: 4.860 euro. E poi biglietti aerei, hotel, varie ed eventuali. Picchioni si difende: gli ospiti andavano vezzeggiati. Ogni spesa è stata ordinaria amministrazione. Ma l'inchiesta torinese è ben più corposa. Le gare d'appalto per le edizioni del 2015 e del 2016 sarebbero state bandite «con la fittizia motivazione dell'urgenza, così evitando di effettuare le procedure di evidenza pubblica». Ricorrendo a «collusioni e altri mezzi fraudolenti». Per questo, la Procura contesta la turbativa d'asta ad alcuni indagati: tra cui, appunto, Fassino. E pure il contratto triennale d'affitto da 1,16 milioni di euro del Lingotto, sede dell'evento, finisce nell'inchiesta. L'altro filone investigativo riguarda i bilanci della Fondazione, approvati tra il 2010 e il 2015. Tra le contestazioni c'è la sovrastima del marchio, valutato circa 2 milioni di euro. Un escamotage che, secondo i periti, avrebbe permesso di chiudere in attivo i rendiconti. Peccato che le successive valutazioni stabiliranno che il brand del Salone vale molto meno: appena 350.000 euro. Così, a fine 2017, la Fondazione viene liquidata. A staccare la spina è l'assemblea straordinaria dei soci, capitanata dalla sindaca, Chiara Appendino, e dal presidente della Regione, Sergio Chiamparino. Scelta veementemente criticata da Ernesto Ferrero, direttore editoriale del Salone del libro per 18 edizioni. Fino al 2016, quando al suo posto è nominato lo scrittore Nicola Lagioia. Regione e Comune, cannoneggia Ferrero a gennaio 2018, sono i veri responsabili delle difficoltà economiche e finanziarie della fondazione: «Non hanno versato per anni in misura adeguata e tempestiva i contributi necessari». E avrebbero architettato «una specie di annessione al Circolo dei lettori», fondazione subentrata nell'organizzazione, che «produce confusione e tensioni interne, e aumenta la possibilità di assalti clientelari».Capito l'ambientino? Eppure lo spettacolo va avanti. Domani apre lo sfavillante salone librario. La disputa tra fascismo e antifascismo continua a infuriare. Il resto della polvere, però, è ben nascosto sotto il tappeto.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco