2021-02-04
Psicodramma grillino. No a Draghi al 90% ma pronti a cambiare se c’è aria di elezioni
Luigi Di Maio non vuole restare fuori dalla spartizione dei 209 miliardi del Recovery. Alessandro Di Battista: «Non cedete, è una manovra contro il M5s».Poco prima dell'ora di cena, quando Luigi Di Maio non aveva ancora preso la parola, la conta dei deputati a 5 stelle contrari al governo Draghi era già intorno al 90% abbondante. Ci sarebbero più grillini tentati alla Camera, ma al Senato «non si contano sulle dita delle mani», dicono dai gruppi parlamentari. E visto che i vertici del Movimento sono convinti che all'ex presidente della Bce servano almeno venti senatori di M5s, in serata restano ottimisti sulla tenuta. «Dobbiamo davvero molto al presidente Mattarella», scherza un colonnello che ha parlato a lungo con Beppe Grillo, «perché martedì sera ha speso così tanto tempo a spiegare alla nazione come e perché non scioglierà mai il Parlamento, che a questo punto ha indebolito senza volere Draghi». Nel senso che se l'ex direttore del Tesoro non ce la facesse, si tornerebbe a provare qualunque alchimia pur di evitare le urne. E Di Maio, quando poi si è deciso a uscire dal guscio, ha detto chiaro e tondo che il Movimento pretende «un esecutivo politico».Dopo aver ascoltato il dibattito interno, l'ex ministro degli Esteri ha puntato secco contro l'esperimento tecnico-istituzionale di Draghi, quello che quando l'aveva conosciuto gli aveva fatto «una buona impressione» (scatenando le ironie del Web sulla indubbia differenza di peso dei rispettivi curriculum). «Le regole della democrazia sono molto chiare e credo che la via democratica alla ricostruzione dell'Italia, in virtù anche del lavoro svolto fino ad oggi, dell'impegno profuso, dei risultati ottenuti, sia quella di un governo politico», ha attaccato Di Maio. Per il quale, «la volontà popolare è rappresentata dalle forze parlamentari, il cui mandato ricevuto dagli elettori non è stato quello di un governo tecnico ma, lo ribadisco, è stato quello di proporre un governo politico al Paese che rispondesse alle esigenze degli italiani». Ciò detto, l'ex capo politico di M5s ha riconosciuto che «il punto non è attaccare o meno» la persona Draghi, che «è un economista di fama internazionale e che ha legittimamente e correttamente risposto a un appello del capo dello Stato».Al di là di un certo ottimismo sulla propria tenuta, però, in casa grillina i problemi restano e sono pesanti. La scissione auspicata da molti, specie sui giornaloni, ha avuto il consueto effetto di rinserrare un po' le fila e con i sondaggi che oggi darebbero il Movimento più che dimezzato, rispetto al 32% del marzo 2018, guadagnare altri due anni è comunque un bel colpo. Ma il governo potrebbe nascere lo stesso e con una ferita nella carne anche di M5s. I deputati che ieri pomeriggio hanno discusso per ore sulla gestione della crisi con accenti critici verso il reggente Vito Crimi («Pd e Italia Viva ci hanno portato a spasso per una settimana», dicono in parecchi) sono preoccupati che Giuseppe Conte torni al governo, invogliato da un ministero di prima classe come Esteri, Giustizia o Interni, e che si porti dietro una pattuglia di deputati che a quel punto sarebbe ben maggiore di quella che ieri sera sembrava pro-Draghi. Ma già martedì notte, Di Maio e Grillo si erano cautelati con l'ex premier, ovviamente per come ci si può cautelare con l'avvocato devoto a Padre Pio, il quale ha giurato e spergiurato che non andrà mai a fare il ministro in un altro governo. Ovviamente, si vedrà. Se parte il vento favorevole al banchiere centrale, molti cambieranno idea. E poi, come ammette lo stesso Di Maio con i suoi fedelissimi, chi resta fuori dalla spartizione dei 209 miliardi del Recovery rischia tantissimo. Sicuramente rischia l'irrilevanza. Tuttavia, anche l'ala più governista del Movimento teme che andare ad aiutare il governo «istituzionale» significhi, prima o poi, dover mettere la faccia su provvedimenti impopolari come patrimoniale, ritorno della tassazione sulla prima casa ed ennesimo taglio delle pensioni. Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, mette le mani avanti: «Se si fa macelleria sociale in nome del mercato non siamo affatto disponibili». E spera, come altri dell'ala fedele ad Alessandro Di Battista, «che almeno Leu non si presti». Un programmino lacrime e sangue che lo stato maggiore di M5s dà per altamente probabile e che fa infuriare Dibba. Il Che Guevara di Rona Nord calza il basco di Facebook e parte all'attacco: «Vi accuseranno di tutto. Di essere artefici dello spread. Di irresponsabilità. Di blasfemia perché davanti all'Apostolo Draghi non vi siete genuflessi. Voi non cedete. Questa “manovra" è stata pensata ad hoc per indebolire il Movimento».C'è un grande amaro in bocca. La base dei deputati è più che sconfortata. I soldati semplici ce l'hanno con i colonnelli e con gli ex ministri, che si sarebbero illusi di restare al governo dietro a Conte. E molti sono convinti che l'operazione Draghi fosse tutta già organizzata a tavolino «ben prima che Mattarella desse l'incarico a Roberto Fico». Alcuni sono persino sicuri che Matteo Renzi fosse della partita e che si sia prestato come ariete per scassare la maggioranza giallorossa. Tutte discussioni ormai inutili, specie se il Movimento si dovrà preparare a due anni di opposizione «contro tutto e contro tutti». Lo stesso Crimi, sapendo che la scelta sul governo è comunque lacerante, ieri non ha escluso che alla fine si ricorra al voto sulla piattaforma Rousseau, ovviamente a patto di «votare su un eventuale programma e non sulla persona» Draghi.