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2025-04-01
Prodi e Cgil nella piazza europeista. Ma Lepore non spiega chi pagherà
Matteo Lepore (Ansa)
Il sequel del Serra Pride, la manifestazione romana pro Europa del 15 marzo, è atteso a Bologna domenica prossima. Dopo lo scandalo dei soldi pubblici spesi dalla Capitale per il precedente raduno, il sindaco felsineo, Matteo Lepore, aveva inizialmente glissato su eventuali finanziamenti da parte del suo Comune. La piazza, sosteneva, non avrà colore politico, lasciando intendere che l’europeismo non abbia connotazione ideologica. Ieri, invece, ha precisato che si tratterà di un’iniziativa «senza costi» per le casse comunali, perché sono stati trovati «dei sostenitori». Per il momento, però, non è stato specificato di chi si tratti.
D’altra parte, l’Unione europea ci pensa già da sola a farsi pubblicità coi nostri soldi, quando tappezza di cartelloni le nostre città per pubblicizzare i suoi progetti (l’Italia, giova ricordarlo, dà all’Ue più soldi di quanti ne riceva). La piazza bolognese, che fa seguito a quella convocata da Michele Serra sulle pagine di Repubblica, arriva per iniziativa non solo del primo cittadino di Bologna, ma anche di quello di Firenze, Sara Funaro. Un momento di sano protagonismo: non potendo essere a Piazza del Popolo lo scorso 15 marzo, per via delle alluvioni che hanno colpito entrambi i territori, i due hanno pensato di riproporre l’evento in una delle loro città.
L’edizione locale di Repubblica, a tal proposito, dà conto della schiera di personaggi pronti a sventolare la bandiera blu stellata: «Comici, professori universitari, studentesse, imprenditori, sindaci, artisti, attori». Ce n’è per tutti i gusti. Il raduno comincerà con il filmato dell’intervento di Serra a Roma, il quale cercherà comunque di non mancare anche in Piazza Nettuno, a Bologna. Romano Prodi, dopo la tirata di capelli a Lavinia Orefici, tornerà a decantare il suo europeismo inviando un video di saluto. Poi sarà la volta dei sindaci: sono 55, secondo Repubblica, quelli che al momento hanno aderito. Tra questi anche il primo cittadino di Napoli e presidente dell’Anci, Gaetano Manfredi.
L’ordine di apparizione è stato coordinato dallo scrittore e autore Federico Taddia. Ci saranno i giornalisti Gad Lerner e Francesca Mannocchi, il comico toscano Paolo Hendel e il bolognese Alessandro Bergonzoni. Tra i nomi del cinema, figurano Giorgio Diritti, regista de L’uomo che verrà, Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, e Francesca Andreoli, produttrice di Vermiglio. Presente anche Maria Letizia Martorana, voce dei giovani del Movimento federalista europeo, mentre la tromba di Paolo Fresu intonerà l’Inno alla gioia, inno ufficiale dell’Ue.
Sul palco saliranno anche Paola Marani, vicepresidente delle Cucine Popolari, gli scrittori Marco Malvaldi e Alessandra Sarchi, il professore di Diritto europeo all’Università di Bologna, Pietro Manzini, una docente di fisica dello stesso ateneo, Beatrice Fraboni, due studentesse dell’Unibo e Victoria Karam, che parlerà di diritto alla cittadinanza in vista del referendum. A continuare la serie «Piazza senza colori politici», ci sarà anche Jacopo Bencini dell’Italian Climate Network, che, scrive Repubblica, è «uno degli italiani più esperti e meglio inseriti nei meccanismi negoziali delle Conferenze sul Clima». Sempre in nome della neutralità politica, aderiscono all’evento anche sindacati e associazioni come le Acli, la Cgil, la Legacoop e la Cisl. Presente, infine, anche Danila Mongardi, imprenditrice agricola che produce vino sulle colline di Marzabotto. Da capire se parlerà in quanto imprenditrice o per la località di provenienza, dove nel 1944 è stata perpetrata una delle peggiori stragi naziste: nel caso, sarebbe utile ricordare che il riarmo della Germania sta avvenendo, oggi, con il consenso dell’Ue.
A fronte di un simile programma, Matteo Lepore ha avuto il coraggio di ribadire, ieri in Consiglio comunale, che «non sarà una piazza di partito ma di un’istituzione come il Comune di Bologna». «La piazza di una città europea, aperta, solidale, che si batte per i diritti umani. Questa è politica con la P maiuscola, la politica delle istituzioni e non di parte», ha aggiunto, invitando «tutte le forze politiche a esserci e a lasciare stare polemiche» strumentali. Non è riuscito, però, a convincere il centrodestra. Il capogruppo di Fdi, Francesca Scarano, ha rimarcato come la piazza sia evidentemente di parte e ha sottolineato la «totale assenza di trasparenza», chiedendo maggiori informazioni sui costi e sui menzionati finanziamenti ricevuti per la manifestazione.
Stessa domanda posta dal capogruppo della Lega, Matteo Di Benedetto, il quale ha anche minacciato, qualora venissero usati fondi pubblici, di presentare un esposto alla Corte dei Conti. Il sindaco Lepore «torni a occuparsi di una Bologna paralizzata e insicura, sempre più allo sbando, invece di adoperarsi per proiettarsi su altri palchi», ha detto il leghista. Concetti ribaditi ai piani più alti anche dal senatore Marco Lisei e dal capogruppo in regione Marta Evangelisti, entrambi Fdi. «Verificheremo tutto e ci riserviamo ogni azione necessaria presso le autorità giudiziarie per la tutela degli interessi della collettività», ha annunciato il primo.
Finanzia la Funaro, poi vince l’appalto
Sara Funaro, sindaco di Firenze ed esponente del Partito democratico, ha speso per la sua campagna elettorale, che si è chiusa nel mese di giugno dello scorso anno, 250.281 euro, a fronte di contributi ricevuti pari a 250.536 euro. L’elenco dei finanziatori non è pubblico. Online, come spesso accade per molti esponenti politici finiti nelle istituzioni, è possibile rintracciare esclusivamente il dato complessivo di entrate e uscite, mentre i dettagli sono depositati in Corte d’Appello, dove il Comitato di garanzia elettorale registra i contributi ricevuti in dettaglio. Questo sistema di rendicontazione si basa sulle disposizioni della legge sul finanziamento ai partiti e sulle regole della trasparenza elettorale, che prevedono l’obbligo per i candidati di dichiarare i contributi ricevuti e di certificare le spese sostenute. Tra i finanziamenti di importo inferiore ai 5.000 euro compaiono diverse aziende. Dalla Achille srl, che ha sostenuto la candidatura con 3.000 euro, alla Ami con 2.000, fino a Casa Rex con 4.950 euro. Stesso importo elargito da un’azienda che ha un nome simile a quella precedente, la Domus Rex. Magic Train ha bonificato 4.500 euro, Redi 2.000 euro e F&F srl 2.500 euro. Poi ci sono i contributi personali. Alcuni sostenitori hanno donato 1.500 euro, altri hanno raggiunto la soglia massima di 5.000. Per un totale di otto supporter di Funaro. A 4.000 euro si è fermato Claudio Nardecchia. Questo contributo in particolare ha destato una certa curiosità nell’opposizione. E il vicepresidente del Consiglio comunale, esponente di Fratelli d'Italia, Alessandro Draghi, ha presentato un’interrogazione. Perché Nardecchia, ricostruisce il consigliere comunale, «è presidente e amministratore delegato» di una Spa, «la Avr», azienda appaltatrice del servizio di Global service, quello per la manutenzione delle strade del Comune di Firenze. Quando Nardecchia ha deciso di contribuire alle spese elettorali della candidata la sua azienda era in proroga tecnica. A novembre ha partecipato alla gara e ha ottenuto di nuovo l’incarico per i successivi tre anni, con possibilità di proroga per ulteriori tre. Non solo: «Avr spa», ricorda il consigliere nell’interrogazione, «è appaltatore per la Città metropolitana di Firenze per la Fipili (la Firenze-Pisa-Livorno, strada regionale tra le più importanti vie di comunicazione della Toscana, ndr)», altro ente presieduto dalla dem. «L’appalto del Global service della rete stradale del comune di Firenze», evidenzia Draghi, «è stato aggiudicato alla Rti (raggruppamento temporaneo di imprese, ndr) di cui capogruppo è Avr spa». L’importo complessivo è di 91 milioni di euro. E nell’interrogazione presentata, Draghi chiede proprio conferma rispetto ai finanziamenti. Una richiesta che tocca un nodo cruciale: esiste un legame tra il contributo ricevuto e la successiva assegnazione dell’appalto? Contattato dalla Verità, il consigliere spiega: «Trovo alquanto strano che il presidente e amministratore delegato di Avr spa, mentre la sua ditta, che ha in appalto il Global service di manutenzione delle strade del Comune di Firenze e la gestione della Fipili, mentre è in proroga tecnica, possa avere finanziato la campagna elettorale del sindaco Funaro. Parliamo di un appalto da diverse decine di milioni di euro che proprio Avr ha rivinto lo scorso gennaio». Insomma, una coincidenza straordinaria. Che ora il sindaco dovrà spiegare in Consiglio comunale.
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Il sindaco di Bologna giura che la manifestazione non è di parte: «È aperta a tutte le forze politiche». E assicura: «Niente costi per il Comune, ho trovato alcuni sostenitori». Il centrodestra: «Verificheremo».Interrogazione di Fratelli d’Italia sul contributo elettorale elargito alla dem dall’ad di un’azienda che gestiva le strade di Firenze. Il contratto (in proroga) fu riconfermato. Lo speciale contiene due articoli.Il sequel del Serra Pride, la manifestazione romana pro Europa del 15 marzo, è atteso a Bologna domenica prossima. Dopo lo scandalo dei soldi pubblici spesi dalla Capitale per il precedente raduno, il sindaco felsineo, Matteo Lepore, aveva inizialmente glissato su eventuali finanziamenti da parte del suo Comune. La piazza, sosteneva, non avrà colore politico, lasciando intendere che l’europeismo non abbia connotazione ideologica. Ieri, invece, ha precisato che si tratterà di un’iniziativa «senza costi» per le casse comunali, perché sono stati trovati «dei sostenitori». Per il momento, però, non è stato specificato di chi si tratti.D’altra parte, l’Unione europea ci pensa già da sola a farsi pubblicità coi nostri soldi, quando tappezza di cartelloni le nostre città per pubblicizzare i suoi progetti (l’Italia, giova ricordarlo, dà all’Ue più soldi di quanti ne riceva). La piazza bolognese, che fa seguito a quella convocata da Michele Serra sulle pagine di Repubblica, arriva per iniziativa non solo del primo cittadino di Bologna, ma anche di quello di Firenze, Sara Funaro. Un momento di sano protagonismo: non potendo essere a Piazza del Popolo lo scorso 15 marzo, per via delle alluvioni che hanno colpito entrambi i territori, i due hanno pensato di riproporre l’evento in una delle loro città.L’edizione locale di Repubblica, a tal proposito, dà conto della schiera di personaggi pronti a sventolare la bandiera blu stellata: «Comici, professori universitari, studentesse, imprenditori, sindaci, artisti, attori». Ce n’è per tutti i gusti. Il raduno comincerà con il filmato dell’intervento di Serra a Roma, il quale cercherà comunque di non mancare anche in Piazza Nettuno, a Bologna. Romano Prodi, dopo la tirata di capelli a Lavinia Orefici, tornerà a decantare il suo europeismo inviando un video di saluto. Poi sarà la volta dei sindaci: sono 55, secondo Repubblica, quelli che al momento hanno aderito. Tra questi anche il primo cittadino di Napoli e presidente dell’Anci, Gaetano Manfredi.L’ordine di apparizione è stato coordinato dallo scrittore e autore Federico Taddia. Ci saranno i giornalisti Gad Lerner e Francesca Mannocchi, il comico toscano Paolo Hendel e il bolognese Alessandro Bergonzoni. Tra i nomi del cinema, figurano Giorgio Diritti, regista de L’uomo che verrà, Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, e Francesca Andreoli, produttrice di Vermiglio. Presente anche Maria Letizia Martorana, voce dei giovani del Movimento federalista europeo, mentre la tromba di Paolo Fresu intonerà l’Inno alla gioia, inno ufficiale dell’Ue.Sul palco saliranno anche Paola Marani, vicepresidente delle Cucine Popolari, gli scrittori Marco Malvaldi e Alessandra Sarchi, il professore di Diritto europeo all’Università di Bologna, Pietro Manzini, una docente di fisica dello stesso ateneo, Beatrice Fraboni, due studentesse dell’Unibo e Victoria Karam, che parlerà di diritto alla cittadinanza in vista del referendum. A continuare la serie «Piazza senza colori politici», ci sarà anche Jacopo Bencini dell’Italian Climate Network, che, scrive Repubblica, è «uno degli italiani più esperti e meglio inseriti nei meccanismi negoziali delle Conferenze sul Clima». Sempre in nome della neutralità politica, aderiscono all’evento anche sindacati e associazioni come le Acli, la Cgil, la Legacoop e la Cisl. Presente, infine, anche Danila Mongardi, imprenditrice agricola che produce vino sulle colline di Marzabotto. Da capire se parlerà in quanto imprenditrice o per la località di provenienza, dove nel 1944 è stata perpetrata una delle peggiori stragi naziste: nel caso, sarebbe utile ricordare che il riarmo della Germania sta avvenendo, oggi, con il consenso dell’Ue.A fronte di un simile programma, Matteo Lepore ha avuto il coraggio di ribadire, ieri in Consiglio comunale, che «non sarà una piazza di partito ma di un’istituzione come il Comune di Bologna». «La piazza di una città europea, aperta, solidale, che si batte per i diritti umani. Questa è politica con la P maiuscola, la politica delle istituzioni e non di parte», ha aggiunto, invitando «tutte le forze politiche a esserci e a lasciare stare polemiche» strumentali. Non è riuscito, però, a convincere il centrodestra. Il capogruppo di Fdi, Francesca Scarano, ha rimarcato come la piazza sia evidentemente di parte e ha sottolineato la «totale assenza di trasparenza», chiedendo maggiori informazioni sui costi e sui menzionati finanziamenti ricevuti per la manifestazione. Stessa domanda posta dal capogruppo della Lega, Matteo Di Benedetto, il quale ha anche minacciato, qualora venissero usati fondi pubblici, di presentare un esposto alla Corte dei Conti. Il sindaco Lepore «torni a occuparsi di una Bologna paralizzata e insicura, sempre più allo sbando, invece di adoperarsi per proiettarsi su altri palchi», ha detto il leghista. Concetti ribaditi ai piani più alti anche dal senatore Marco Lisei e dal capogruppo in regione Marta Evangelisti, entrambi Fdi. «Verificheremo tutto e ci riserviamo ogni azione necessaria presso le autorità giudiziarie per la tutela degli interessi della collettività», ha annunciato il primo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-cgil-nella-piazza-europeista-2671649077.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="finanzia-la-funaro-poi-vince-lappalto" data-post-id="2671649077" data-published-at="1743502049" data-use-pagination="False"> Finanzia la Funaro, poi vince l’appalto Sara Funaro, sindaco di Firenze ed esponente del Partito democratico, ha speso per la sua campagna elettorale, che si è chiusa nel mese di giugno dello scorso anno, 250.281 euro, a fronte di contributi ricevuti pari a 250.536 euro. L’elenco dei finanziatori non è pubblico. Online, come spesso accade per molti esponenti politici finiti nelle istituzioni, è possibile rintracciare esclusivamente il dato complessivo di entrate e uscite, mentre i dettagli sono depositati in Corte d’Appello, dove il Comitato di garanzia elettorale registra i contributi ricevuti in dettaglio. Questo sistema di rendicontazione si basa sulle disposizioni della legge sul finanziamento ai partiti e sulle regole della trasparenza elettorale, che prevedono l’obbligo per i candidati di dichiarare i contributi ricevuti e di certificare le spese sostenute. Tra i finanziamenti di importo inferiore ai 5.000 euro compaiono diverse aziende. Dalla Achille srl, che ha sostenuto la candidatura con 3.000 euro, alla Ami con 2.000, fino a Casa Rex con 4.950 euro. Stesso importo elargito da un’azienda che ha un nome simile a quella precedente, la Domus Rex. Magic Train ha bonificato 4.500 euro, Redi 2.000 euro e F&F srl 2.500 euro. Poi ci sono i contributi personali. Alcuni sostenitori hanno donato 1.500 euro, altri hanno raggiunto la soglia massima di 5.000. Per un totale di otto supporter di Funaro. A 4.000 euro si è fermato Claudio Nardecchia. Questo contributo in particolare ha destato una certa curiosità nell’opposizione. E il vicepresidente del Consiglio comunale, esponente di Fratelli d'Italia, Alessandro Draghi, ha presentato un’interrogazione. Perché Nardecchia, ricostruisce il consigliere comunale, «è presidente e amministratore delegato» di una Spa, «la Avr», azienda appaltatrice del servizio di Global service, quello per la manutenzione delle strade del Comune di Firenze. Quando Nardecchia ha deciso di contribuire alle spese elettorali della candidata la sua azienda era in proroga tecnica. A novembre ha partecipato alla gara e ha ottenuto di nuovo l’incarico per i successivi tre anni, con possibilità di proroga per ulteriori tre. Non solo: «Avr spa», ricorda il consigliere nell’interrogazione, «è appaltatore per la Città metropolitana di Firenze per la Fipili (la Firenze-Pisa-Livorno, strada regionale tra le più importanti vie di comunicazione della Toscana, ndr)», altro ente presieduto dalla dem. «L’appalto del Global service della rete stradale del comune di Firenze», evidenzia Draghi, «è stato aggiudicato alla Rti (raggruppamento temporaneo di imprese, ndr) di cui capogruppo è Avr spa». L’importo complessivo è di 91 milioni di euro. E nell’interrogazione presentata, Draghi chiede proprio conferma rispetto ai finanziamenti. Una richiesta che tocca un nodo cruciale: esiste un legame tra il contributo ricevuto e la successiva assegnazione dell’appalto? Contattato dalla Verità, il consigliere spiega: «Trovo alquanto strano che il presidente e amministratore delegato di Avr spa, mentre la sua ditta, che ha in appalto il Global service di manutenzione delle strade del Comune di Firenze e la gestione della Fipili, mentre è in proroga tecnica, possa avere finanziato la campagna elettorale del sindaco Funaro. Parliamo di un appalto da diverse decine di milioni di euro che proprio Avr ha rivinto lo scorso gennaio». Insomma, una coincidenza straordinaria. Che ora il sindaco dovrà spiegare in Consiglio comunale.
Carlo Cottarelli (Ansa)
Punto secondo. I trattati europei prevedono che l’oro debba essere posseduto dalla banca centrale di ogni singolo Paese? No, basta che sia gestito dall’istituto, prova ne sia che in Francia è di proprietà dello Stato ma la Banque de France è autorizzata a inserirlo per legge nel proprio attivo.
Già qui si capisce che il punto numero uno non è un dogma, ma una scelta politica. Infatti, se a Parigi è stabilito che i lingotti custoditi nei caveau della banca centrale sono dello Stato e non dell’istituto, il quale può iscriverli a bilancio nello stato patrimoniale, è evidente che ciò che sta chiedendo il governo italiano non è affatto una cosa strana, ma si tratta di un chiarimento necessario a stabilire che l’oro non è di Bruxelles o di Francoforte e neppure di via Nazionale, dove ha sede la nostra banca centrale, ma degli italiani.
È così difficile da comprendere? La Bce, scrive Cottarelli, non capisce perché l’Italia voglia specificare che le riserve sono dello Stato e «solo» affidate in gestione alla Banca d’Italia. E si chiede: quali vantaggi ci sarebbero per il popolo italiano se diventasse proprietario dell’oro? «Gli effetti pratici», si risponde il professore, «almeno nell’immediato, sarebbero nulli». Provo a ribaltare la domanda di Cottarelli: quali svantaggi ci sarebbero se all’improvviso il popolo italiano scoprisse che l’oro non è suo ma della Banca d’Italia e un giorno la Bce decidesse di annettersi le riserve auree degli istituti centrali? La risposta mi sembra facile: gli effetti pratici non sarebbero affatto nulli per il nostro Paese, che all’improvviso si troverebbe privato di un capitale del valore di circa 280 miliardi di euro.
Cottarelli chiarisce che il timore della Bce è dovuto al fatto che l’emendamento alla legge di Bilancio, con cui si vuole sancire che la proprietà dell’oro è del popolo italiano, in teoria potrebbe consentire al governo, al Parlamento o al popolo italiano la vendita dei lingotti. «Sarebbe demenziale», sentenzia il professore, perché l’oro «è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze». È vero ciò che sostiene l’ex senatore del Pd. Peccato che nessuno abbia mai parlato di vendere le riserve auree (anzi, nel passato ne parlò Romano Prodi, che mi risulta stia dalla stessa parte politica di Cottarelli), ma soltanto di stabilire di chi siano, se della Banca d’Italia, e dunque vigilate dalla Bce, o del popolo italiano.
Il professore però fa anche un’altra affermazione assolutamente vera: l’oro è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze. Ma chi stabilisce quando è gravissima un’emergenza? E, soprattutto, chi può decidere di usare quella riserva strategica? Il governo, il Parlamento, il popolo italiano o la Banca d’Italia su ordine della Bce? È tutto qui il nocciolo del problema: se l’oro è nostro ogni decisione - giusta o sbagliata - spetta a noi. Se l’oro è della Banca d’Italia o della Bce, a stabilire che cosa fare della riserva strategica sarà l’istituto centrale, italiano o europeo. In altre parole: dobbiamo lasciare i lingotti italiani in mano alla Lagarde, che magari di fronte a un’emergenza decide di darli in garanzia per comprare armi da destinare agli ucraini?
Tanto per chiarire che cosa significherebbe tutto ciò, va detto che l’Italia è il terzo Paese al mondo per riserve auree. Il primo sono gli Stati Uniti, poi c’è la Germania, quindi noi. La Francia ne ha meno, la Spagna quasi un decimo, Grecia, Ungheria e Romania hanno 100 tonnellate o poco più, contro le nostre 2.400. Guardando i numeri è facile capire che il nostro oro fa gola a molti e metterci le mani, sottraendolo a quelle legittime degli italiani, sarebbe un affarone. Per la Bce, ovviamente, non certo per noi. Quanto al debito pubblico, che Cottarelli rammenta dicendo che se siamo proprietari dei lingotti lo siamo anche dell’esposizione dello Stato per 3.000 miliardi, è vero. Siamo tra i più indebitati al mondo: quinti in valore assoluto. Ma avere debiti non è una buona ragione per regalare 280 miliardi alla Lagarde, considerando soprattutto che circa il 70 per cento dei nostri titoli di Stato sono nelle mani di famiglie e istituzioni italiane, non della Bce.
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