2020-09-08
Processo Nigeria. Mistero sugli anonimi che scommettono sulla condanna Eni
Abuja chiederà i danni. In caso di vittoria 400 milioni di dollari potrebbero finire a società offshore che finanziano la causa.Domani nell'aula bunker di San Vittore riprende il processo Opl 245, dove Eni e Shell sono indagate per corruzione internazionale insieme con i rispettivi vertici, tra cui il numero uno di San Donato Claudio Descalzi. Per la prima volta il governo federale della Nigeria, rappresentato in Italia dall'avvocato Lucio Lucia, uscirà allo scoperto e chiederà in quanto parte civile i danni che a suo dire sarebbero derivati dalla presunta corruzione intorno alla cessione del giacimento nel 2011, per una cifra intorno agli 1,3 miliardi di dollari. La Nigeria si appresterebbe a chiedere indietro il pagamento degli 1,1 miliardi versati da Eni e Shell, a Malabu, la società di Dan Etete, all'epoca proprietaria di Opl. Si tratterebbe secondo i pm della cifra della presunta tangente per ottenere senza gara i diritti di esplorazione.A lato del cuore del processo, però, sui singoli casi di corruzione o sulle prove in mano all'accusa, l'attenzione dei media nigeriani è negli ultimi mesi incentrata su un altro tema, ovvero quello che riguarda proprio le richieste dei danni da parte del governo nigeriano. Ci sono infatti diversi punti oscuri dietro gli studi legali che hanno in mano la pratica, tanto che nei giorni scorsi alcune associazioni della società civile nigeriana hanno chiesto spiegazioni ad Abubakar Malami, il procuratore generale, sulle ultime mosse di Johnson & Johnson, il pool di avvocati che segue Abuja nella vicenda. Del resto, a quanto raccontano i media nigeriani, una percentuale molto alta dei soldi incassati in caso di condanna non andrà nelle casse del governo, ma in società offshore che stanno finanziando gli studi legali nel processo. Le cifre sono molto alte. Perché, secondo le stime, si parla di oltre 400 milioni di dollari da sottrarre agli 1,1 miliardi di richiesta dei danni.Malami, non va dimenticato, è anche il protagonista del recente scontro con Ibrahim Magu, il super poliziotto dell'Efcc (Economic and financial crimes commission) che ha condotto le indagini di Opl. Magu è stato da poco costretto alle dimissioni proprio su decisione dello stesso procuratore federale. Non solo. È sempre lo stesso Malami - su diretta indicazione dell'attuale presidente nigeriano Muhammadu Buhari (in carica dal 2015) – ad aver scelto i legali di J&J. Lo studio incaricato, dove il titolare è Babatunde Olabode Johnson, si fa coprire le spese legali dalla società anonima americana Poplar Falls Llc, fondata nel 2016 nel Delaware dal fondo Drumcliffe partners, del Maryland. A oggi si calcola che siano stati spesi in totale circa 2 milioni di dollari per coprire le spese, un vero e proprio affare perché il ritorno in caso di successo sarebbe quasi 40 volte superiore. In Nigeria non si sa molto né di Poplar Falls né di Drumcliffe Partners. Di sicuro il Delaware è sede di società offshore che portano nei paradisi fiscali. I siti internet non forniscono informazioni né sui manager né sulla governance. Da documenti Sec risulta che il fondatore e direttore di Drumcliffe sia James Christian Little, detto Jim, esperto nel settore. Gli accordi di Poplar e di Drumcliffe con il governo nigeriano sulle percentuali sono al centro delle polemiche. Tanto che le Ong nigeriane hanno stilato un lungo elenco di 25 domande con cui chiedono conto dei contratti stipulati da J&J con Poplar, dei rendimenti di Drumcliff e di quanto le stesse società hanno speso fino adesso nelle cause di Londra e alla Sec americana. Come è noto, la Nigeria aveva proposto una causa civile per danni davanti a un giudice inglese nel 2018, sostenendo che era una richiesta diversa da quella avanzata a Milano. La richiesta è stata respinta, spiegando che tutto il procedimento dipende solo da quello in corso nel capoluogo lombardo. Anche il processo statunitense si è concluso in un nulla di fatto. A fronte di una lunga scia di insuccessi, alla fine di agosto, il quotidiano Sahara Reports ha scoperto che è stato firmato un nuovo accodo tra J&J e Poplar. La società del Delaware incasserà infatti il 35% in caso di successo sugli 1,1 miliardi richiesti. Stiamo parlando di una cifra che dovrebbe toccare i 382 milioni di euro solo per Polar, senza dimenticare quella che spetterebbe a Dumcliffe, intorno ai 55 milioni, perché alla base ci sarebbe una percentuale più bassa. Ma l'aspetto più grave, evidenziato da Sahara Reporters, è che i soldi invece di andare subito al governo finiranno in un conto vincolato controllato da un avvocato nominato sempre da Poplar. Per di più gli accordi sono particolarmente vincolanti. Perché se la Nigeria o il suo studio legale guidato da J&J decidessero di rescindere l'accordo, paradosso dei paradossi, i nigeriani si ritroverebbero a pagare di tasca loro una penale. L'importo di risoluzione del contratto, sarebbe pari al 50 per cento dei «pagamenti dovuti al finanziatore in relazione ai beni già congelati o ai reclami in corso di recupero o l'importo totale del pagamento di tutti i sinistri effettuato fino alla data di risoluzione moltiplicato per due». Insomma, Poplar si è blindata. Il processo milanese è alle battute finali. Ma bisognerebbe capire quali sono i veri interessi sottostanti. Prima dell'estate il pm Fabio De Pasquale ha chiesto le condanne, tra cui 8 anni per Descalzi e l'ex presidente Paolo Scaroni. Mancano le repliche delle difese che arriveranno entro la fine del 2020, emergenza sanitaria permettendo.