
A poco più di sei mesi dalla sua entrata in carica, è tempo di un primo bilancio per l'amministrazione guidata dal democratico. Un'amministrazione che, su numerosi fronti, si sta trovando sempre più in difficoltà. Indubbiamente uno dei fiori all'occhiello di questa presidenza è a lungo stata la campagna vaccinale: una campagna vaccinale che, fino a un certo punto, è effettivamente andata a ritmi spediti. Eppure qualcosa poi è iniziato ad andare storto. Innanzitutto lo stesso Joe Biden ha commesso l'errore di promettere, a inizio maggio, una copertura del 70% entro il 4 luglio: un traguardo ambiziosissimo che non è riuscito a conseguire. Segnali contraddittori da parte delle autorità e diffidenza verso i sieri in alcuni settori della popolazione hanno complicato ulteriormente le cose. Con il risultato che adesso il presidente si trova in una situazione poco felice e non priva di confusione: è passato dall'incolpare Facebook per i ritardi nella campagna a promettere cento dollari per chi si sottoporrà all'inoculazione. Insomma, quello che era un fiore all'occhiello di questa presidenza si sta progressivamente trasformando in un caos. E il danno politico per Biden rischia di essere significativo. Un problema strutturale profondo è poi quello che riguarda la gestione dell'immigrazione clandestina. Si è infatti trattato sin da subito di un nodo particolarmente delicato, viste le spaccature interne al Partito democratico americano. Se la sua ala sinistra ha sempre auspicato una rapida abolizione delle politiche stringenti di Donald Trump, le correnti centriste si sono storicamente collocate su posizioni più caute. Una situazione difficile, che ha costretto Biden a barcamenarsi tra istanze contraddittorie. Questo ha quindi portato il presidente ad un approccio cerchiobottista, eliminando alcune politiche del predecessore e lasciandone in vigore altre. Il che – come era prevedibile – ha scontentato tutti: se la sinistra accusa l'inquilino della Casa Bianca di aver tradito le sue promesse elettorali aperturiste in materia migratoria, i repubblicani lo tacciano di debolezza e contraddittorietà. Tutto questo, mentre il numero di arrivi al confine è iniziato a salire a partire da gennaio, raggiungendo numeri record, che non si registravano (almeno) dal 2006. Del resto, le fratture interne all'asinello non hanno ripercussioni esclusivamente sulla politica interna della Casa Bianca. Anche la strategia sul piano internazionale ne risulta infatti affetta. Basti pensare a quanto accaduto con la crisi di Gaza dello scorso maggio o alle proteste cubane di luglio. In entrambi i casi, il Partito democratico si è spaccato in due fazioni avverse, costringendo Biden a gestire quei dossier internazionali in modo irresoluto e ambiguo. Un problema, questo, che emerge - per quanto in modo più sfumato - anche sulla questione afghana, rispetto a cui non si registra affatto unanimità tra i dem: se la sinistra spinge da sempre per accelerare il ritiro delle truppe, l'establishment appare invece molto più cauto al riguardo. E' probabilmente anche alla luce di tali tensioni interne che l'abbandono americano del territorio sta avvenendo in modo non poco confuso, intaccando l'immagine internazionale degli Stati Uniti. In considerazioni di questi elementi, è forse più comprensibile il verdetto poco lusinghiero sull'operato presidenziale arrivato da due sondaggi a fine luglio: sia Gallup che Rasmussen danno infatti Biden in difficoltà, registrando un significativo calo della sua popolarità rispetto al mese di giugno. E attenzione: perché, pur nella differenza di valutazione e di dati, entrambe le rilevazioni concordano soprattutto su un punto. E cioè che il presidente stia perdendo consenso tra gli elettori indipendenti: una spina, questa, non di poco conto. Il rischio, per i dem, è che la crescente critica all'operato di Biden possa ripercuotersi sull'intero asinello: uno scenario da incubo in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno nel novembre del 2022. Eppure le difficoltà di questa amministrazione non arrivano soltanto da Biden. È infatti altamente probabile che anche Kamala Harris abbia le sue responsabilità. Il vicepresidente in questi mesi ha cercato di eclissarsi, finendo suo malgrado al centro dell'attenzione per l'incarico - ottenuto a marzo - di coordinatrice del dossier migratorio. Un incarico che, almeno finora, non ha condotto nel migliore dei modi e che le ha per questo attirato numerose critiche. Un problema significativo per lei che molto probabilmente nutre delle ambizioni presidenziali per il 2024.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






