In audizione, Via Nazionale conferma dati più critici rispetto a quelli contenuti nel Def, che è nato già vecchio. Nonostante la crisi, torna l’austerità. Frecciatine pure dall’Ufficio parlamentare di bilancio.
In audizione, Via Nazionale conferma dati più critici rispetto a quelli contenuti nel Def, che è nato già vecchio. Nonostante la crisi, torna l’austerità. Frecciatine pure dall’Ufficio parlamentare di bilancio.Sono passati solo dieci giorni dalla presentazione da parte del governo del Documento di economia e finanza (Def) e già quel piano non vale più nemmeno la carta su cui è stato scritto.Dapprima, dopo soli due giorni, è arrivato il bollettino economico di Bankitalia a dimostrare che le previsioni del governo sono state fatte guardando lo specchietto retrovisore, cioè basandosi su presupposti - come la rapida conclusione della guerra in Ucraina - la cui probabilità appare oggi davvero modesta.Ma sono state le audizioni parlamentari avvenute nella giornata di giovedì ad assestare il colpo finale a uno scenario di politica economica che sembra descrivere un’altra era geologica. Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) e Corte dei conti si sono succeduti davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato per esprimere le loro rispettive valutazioni sul Def, manifestando significative perplessità sul sentiero di crescita (o di decrescita) previsto dal governo.Tutti i soggetti intervenuti hanno premesso che si tratta di valutazioni soggette a un’incertezza «elevatissima», ma la scelta del governo di posizionarsi nella parte più favorevole della forchetta delle previsioni costituisce un’ipoteca pesantissima sugli spazi di manovra disponibili in presenza di un’emergenza che appare già in atto.Serve a poco dichiararsi pronti a fare tutto il necessario, quando si parte già con il piede sbagliato, ancorati a uno scenario tra l’ottimistico e l’irrealistico.È Bankitalia, in particolare, a evidenziare che le previsioni di crescita del Pil riportate dal Def (+3,1% nel 2022) «presuppongono che gli effetti più rilevanti della guerra in Ucraina si manifestino nella prima metà dell’anno e che il prodotto torni a espandersi rapidamente già dopo l’estate, quando recupererebbe i livelli pre pandemia». Da Via Nazionale sottolineano che questo quadro tracciato dal governo è simile allo scenario «favorevole» presentato pochi giorni prima nel Bollettino economico della Banca d’Italia, e fanno notare che nella stima del governo «i rischi sono orientati considerevolmente al ribasso». Insomma, una manica di pericolosi ottimisti. È pur vero che anche nel Def sono indicati degli scenari alternativi in cui la crescita del Pil è vista comprimersi fino a una media di mezzo punto percentuale nel biennio 2022/2023. Si tratta del caso «in cui la carenza di gas rispetto alle importazioni complessive fosse pari a circa il 18% nel 2022 e al 15 nel 2023». Ma siamo comunque in presenza di una, sia pur modesta, crescita che invece è totalmente assente nello scenario più severo previsto da Bankitalia (interruzione delle forniture di gas russo a partire da maggio/giugno per un anno, con compensazione solo parziale di altri fornitori) in cui il Pil decresce di circa mezzo punto percentuale sia nel 2022 e 2023.A parità di scenario, il governo nel Def è comunque un punto percentuale più alto di Bankitalia che, con evidente imbarazzo, evidenzia lo scostamento, osservando che «qualitativamente queste valutazioni (del governo, ndr) sono non dissimili da quelle contenute negli altri scenari ipotizzati nel Bollettino economico, che pure se ne discostano per stime puntuali che non escludono sviluppi ancora più sfavorevoli».L’eccessivo ottimismo dei numeri del Def risalta nel confronto con le previsioni emesse mercoledì dai cinque maggiori centri di ricerca economica tedeschi: in caso di interruzioni delle forniture di gas russo, il Pil tedesco calerebbe del 2,2% nel 2023 e ci sarebbe la perdita di 400.000 posti di lavoro. Considerando che la Germania è solo leggermente più esposta dell’Italia verso la Russia, forse al Mef dovrebbero dare un’occhiata ai calcoli dei loro colleghi tedeschi.Non risparmia qualche frecciatina pure l’Upb che ha validato le previsioni del governo «pur situandosi in prossimità del limite superiore dell’intervallo di previsione» e non esita ad affermare che l’accresciuta incertezza delle ultime settimane «allo stato non appare ancora tale da respingere lo scenario ipotizzato nel Def». All’Upb hanno dovuto ricorrere alla doppia negazione per far capire che sono stati a un passo dal cestinare tutto e hanno anticipato che, in base a loro studi di prossima pubblicazione, il protrarsi del conflitto avrebbe «un impatto per l’economia italiana non trascurabile».Di fronte a tali prospettive, scarseggiano le risorse da mettere in campo per fronteggiare un’emergenza ormai conclamata.Veniamo infatti da un anno in cui la pressione fiscale è aumentata di oltre mezzo punto al 43,5%, superando di qualche decimale perfino i livelli del governo Monti. Il piano è quella di ridurla al 43,1% nel 2022 e scendere fino al 42,2% nel 2025. Tagli così modesti da non essere nemmeno percepibili dalle famiglie e dalle imprese. L’obiettivo di deficit/Pil fissato al 5,6% per il 2022 consente un modesto intervento di circa 10,5 miliardi, metà dei quali già impegnati con i decreti legge del primo trimestre. Restano circa 5/6 miliardi. Poco più di nulla. Per il resto si procede con il pilota automatico, come se la sospensione del Patto di stabilità fosse già terminata. L’avanzo primario di antica memoria e il deficit/Pil entro il 3% sono già previsti per il 2025, così come il rientro del debito/Pil sul livello pre pandemico entro il 2030. È proprio Bankitalia a chiamare la fine della ricreazione, evidenziando che «al fine di contenere le ripercussioni sui conti pubblici occorrerà rendere i prossimi interventi di sostegno all’economia più selettivi». Anche se poi si tiene la porta aperta, precisando che «escludendo misure straordinarie eventualmente imposte dall’emergenza, la situazione dei conti pubblici richiede che qualsiasi altro nuovo intervento trovi adeguata copertura». Ci permettiamo di osservare che quelle «misure straordinarie» sono già in ritardo e che fondare tutte le speranze di crescita sugli investimenti del Pnrr, la cui spesa peraltro non decolla, potrebbe riservare brutte sorprese.D’altronde se il ministro Daniele Franco, sempre in audizione, ha ammesso di non volere lo scostamento «per non avere problemi sui mercati finanziari» - fornendo così un incredibile assist a chi in futuro vorrà picchiare duro sui Btp - significa che il governo ha un solo piano, quello di sperare nello stellone italico.Come se non bastassero tutte le incertezze sul piano della politica fiscale, giovedì non ha brillato per chiarezza e autorevolezza nemmeno il presidente della Bce Christine Lagarde. È stata molto vaga, parlando di «settimane o mesi» per il rialzo dei tassi, dopo il termine degli acquisti di titoli del Qe previsto nel terzo trimestre. I mercati hanno reagito a questo messaggio, relativamente tollerante nei confronti dei rischi di inflazione, vendendo Btp e Bund con l’euro in picchiata ai minimi da cinque anni. Qualche ora dopo, la solita fonte «anonima» ha rimediato facendo sapere alla Reuters che non è comunque escluso un rialzo dei tassi già a luglio, riportando l’euro appena sopra i minimi.Non è proprio confortante constatare che stiamo attraversando a fari spenti una notte davvero buia e che il condizionatore spento sarà davvero l’ultimo dei problemi.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.