Appunto, le pare possibile che dal 2027 la difesa del continente sia solo in mano agli europei?
«Una sfida gigantesca, che oggi ci appare incredibile, un po’ come dare un Harley Davidson in mano a un ragazzino. Anche perché, soprattutto in Francia e Germania, oggi abbiamo a che fare con governi fragili e una classe dirigente non all’altezza. Ma una punta di speranza ce l’ho».
Speranza?
«Sì, spero che questa ultima mossa di Trump costituisca la scossa decisiva per varare quelle riforme che, colpevolmente, in Europa abbiamo sempre rimandato».
Vale a dire?
«Aggiornare il trattato di Maastricht, che ormai ha una certa età. Creare un direttorio europeo, cioè uno stretto collegamento tra i principali leader, per sfornare proposte da mettere sul tavolo dei grandi. Riformare finalmente il processo di decision making europeo».
In che modo?
«Fare in modo, insomma, che in questa Europa allargata si decida a maggioranza su tutte le questioni, perché l’alternativa è la palude. Insomma, diventare grandi, autorevoli, e avere fiducia in sé stessi. Una visione che in queste ore il premier Meloni ha saputo intuire con spregiudicato realismo».
E l’esercito europeo?
«Quella è un’utopia. Ma un coordinamento comune degli eserciti, in una Nato più europea, sarebbe certamente fattibile. In ogni caso, una partnership con gli Stati Uniti sarà comunque imprescindibile, soprattutto sul cyber e sulla tecnologia satellitare».
La Germania ha reagito malissimo al documento trumpiano: «Non ci servono consigli», ha detto Berlino rivolgendosi alla Casa Bianca.
«Questi arroccamenti non hanno molto senso. Non è con un tardivo orgoglio europeo che possiamo impostare un rapporto sano con gli Stati Uniti».
Sbaglia chi parla di un Trump che consegna gli Usa a un nuovo isolazionismo?
«Sbaglia di grosso. Unilateralismo non è sinonimo di isolazionismo. Tutte le iniziative portate avanti da Washington hanno come unico scopo quello di arginare la minaccia cinese. Dunque non è corretto dire che l’America si sta ritirando nel cortile di casa. È una proiezione globale, quella di Trump, nella consapevolezza che nel Pacifico si decide il destino del mondo».
L’Europa rischia di sparire entro 20 anni, come dice il presidente Usa?
«Quella è una dichiarazione di tipo ideologico che va oltre il tema sicurezza. Il modello Trump è poco esportabile, ma è chiaro che sul tema migratorio si stabilirà il futuro politico e sociale dell’Europa».
Anche Mario Draghi, recentemente, ha puntato il dito contro i passi falsi dell’Europa contro sé stessa.
«E ha ragione: gli auto-dazi, le costrizioni imposte alle aziende europee, sono proposte non in linea con i tempi, in questa fase geopolitica. Draghi però non ha fatto cenno al nanismo politico europeo: quando lui era a Palazzo Chigi, io ero a Mosca. Tutti i diplomatici attendevano proposte europee sull’Ucraina: non arrivarono. Né dall’Europa, né dal governo italiano».
Una paralisi?
«Non siamo stati in grado nemmeno di nominare un inviato speciale europeo in Ucraina, un gesto minimo di attenzione verso una crisi nel cuore dell’Europa».
Vladimir Putin rilancia le sue pretese sul Donbass. E si inaspriscono i bombardamenti. Siamo in alto mare con le trattative di pace?
«Gli Usa trattano separatamente con Kiev e Mosca, nella speranza di chiudere. Ma le posizioni sono ancora molto distanti, malgrado i grandi sforzi americani. Sulle questioni territoriali i russi sembrano inamovibili, rivendicano l’annessione delle zone russofone, e in sostanza vorrebbero un’Ucraina alla mercé di Mosca. L’altro tema è il congelamento dei fondi russi, che sarebbe disastroso per l’economia di Mosca. Per questo Putin alza il livello delle minacce».
Si riferisce alle frasi del presidente russo lanciate dall’India? «Nascerà un nuovo ordine mondiale».
«La visita di Putin a Modi rivela effettivamente questa preoccupazione. Le sanzioni indirette sull’India, grande importatore di greggio russo, fanno male al Cremlino».
Dunque?
«I russi si pongono sempre delle scadenze. La prossima data importante è il 9 maggio, il loro giorno della Vittoria. Putin per quella data desidera avere qualche risultato concreto da annunciare, che per adesso non ha».
Nel frattempo?
«Nel frattempo scava il solco tra Usa ed Europa, e ci intimidisce con la narrazione bellica. L’obiettivo è fiaccare la resistenza e ottenere in tempi brevi da Kiev ciò che necessita, sul campo, di tempi lunghi».
Dunque è semplicistico dire che gli Stati Uniti stanno scaricando l’Ucraina?
«È un azzardo. Certo, gli americani vorrebbero chiudere al più presto la vicenda. Ma un totale disengagement da Kiev è altamente improbabile: priverebbe Trump di un’arma di pressione nei confronti di Mosca, utile nella sfida finale con la Cina».
Tuttavia, il presidente francese Macron, da Pechino, dice che Trump potrebbe «tradire Kiev». Come legge queste uscite?
«Francia e Germania hanno un disperato bisogno di leadership. La Germania la cerca riarmandosi, Macron tenta invece di costruire un’immagine autorevole in vista del futuro negoziato».
Ci riuscirà?
«In realtà l’asse franco-tedesco, cioè l’alleanza politica che ha retto l’Europa per tanto tempo, sta visibilmente traballando. Forse subentrerà un altro asse, quello franco-britannico: un’alleanza non solo nucleare, ma strettamente politica».
E Zelensky? I suoi collaboratori sono stati colpiti da clamorose inchieste giudiziarie, e qualcuno ipotizza che sia giunto al capolinea.
«Non sparirà così in fretta. Una transizione caotica a Kiev non fa comodo a nessuno, soprattutto agli Stati europei che confinano con l’Ucraina, che oggi come ieri è un Paese cuscinetto di vitale importanza. Zelensky resterà un figura di rilievo, in questa partita».
L’Italia. Approva la posizione prudente del governo?
«Nonostante le divisioni a livello parlamentare circa il rapporto con la Russia, finora siamo riusciti a fare sintesi, con una apprezzabile continuità di indirizzo. Per il resto, siamo sotto attacco anche noi, come ha detto il ministro Crosetto. Ma non parlo solo di condizionamenti russi».
Cioè?
«L’inchiesta contro Mogherini e Sannino non mi convince. Di Sannino, mio collega, conosco la professionalità e l’onestà. Dietro l’indagine ci vedo un’iniziativa di forze europee contrarie alle politiche pro-Mediterraneo. Qualcuno vuole smontare gli impulsi europei a favore del Sud dell’Europa».
Una crociata anti-italiana? Anche all’estero, abbiamo a che fare con una magistratura sospettata di portare avanti interessi politici?
«Dico soltanto che certe “irregolarità”, a livello europeo, non arrivano solo dagli italiani. Mi rifiuto di pensarlo. Non dimentichiamo poi che tutta Europa è sotto attacco. Abbiamo assistito alle dure critiche di Trump e Putin all’edificio europeo e Elon Musk si è augurato la fine dell’Ue. Non escludo nemmeno la guerra ibrida. Colpire la burocrazia europea fa parte di un disegno più vasto per indebolire i già fragili centri decisionali di Bruxelles».
Chiudiamo con un pensiero sul Vaticano.
«Nella crisi ucraina, ci sono due uomini che dobbiamo ringraziare. Il primo è Papa Francesco».
Lei lo cita nel suo libro La Pace difficile, come una figura chiave.
«È stato il primo a gettare il sasso nello stagno dell’immobilismo europeo. Il primo a ricordare che quando c’è una guerra, si negozia non solo con l’agnello, ma anche con il lupo. Trump, in buona sostanza, ha seguito lo schema di Bergoglio».
E poi?
«E poi Papa Leone, che ha avuto il merito di appoggiare, con discrezione e pragmatismo, il piano americano sull’Ucraina. Anche questo pontefice ha compreso che è meglio portare avanti una piattaforma imperfetta, piuttosto che restare “perfettamente” fermi. Il risultato è che il piano americano ha portato in ogni caso delle utilità, tra cui quella di suscitare qualche proposta europea, per reazione, sul piano diplomatico».
Insomma, nel caos mondiale, Roma torna protagonista?
«Roma e il Vaticano, per buon senso e autorevolezza, tornano le capitali morali d’Europa, in questi tempi smarriti».