Poiché nel magico mondo del fascismo che non c’è ogni giorno ha la sua drammatica pena, ecco che la fibrillazione progressista ora si concentra sul premierato. E lo fa - ma pensa! - approfittando delle dichiarazioni della senatrice a vita Liliana Segre. Il fatto che sia proprio lei a intervenire sul tema, inutile nasconderlo, serve a uno scopo preciso. Cioè a collegare la riforma costituzionale (a cui, per inciso, chi scrive non è minimamente appassionato) al pericolo fascista. Poiché Giorgia Meloni vuole un ruolo forte per il capo del governo, bisogna fare passare l’idea che stia nemmeno troppo segretamente tramando per istituire una dittatura. L’intervento della Segre, vittima degli orrori novecenteschi, è utile appunto a stabilire questo legame fra la proposta di riforma e il fascismo/nazismo.
Non per nulla ieri tutti i giornali riprendevano le parole della senatrice sugli «aspetti allarmanti» del premierato sui quali la Segre «non può e non vuole tacere», nemmeno si trattasse di denunciare una deportazione. La senatrice parla di «prove di forza» e «sperimentazioni temerarie». Poi dice che la riforma produrrebbe «un’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento, perché si pretende di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale». Infine, se non bastassero i riferimenti agli antichi regimi, arriva l’affondo più ruvido: «Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le costituzioni sono nate».
Tutto chiaro: al governo ci sono dei barbari animati da una logica tribale i quali, ora che sono giunti al potere, non vogliono più mollare l’osso. Dunque pensano di cambiare addirittura la Costituzione pur di rimanere aggrappati ai privilegi. Chissà, può anche darsi che sia vero. Tuttavia non comprendiamo come mai le grida di terrore si levino soltanto ora dai banchi della sinistra. Quando il Parlamento veniva regolarmente scavalcato a colpi di decreti, e dpcm, non sembrava che ci fossero tutti questi progressisti preoccupati dalle derive autoritarie. Anzi chi le indicava - e lo faceva, ripetiamo, di fronte alla concretezza dei fatti e non alle elucubrazioni del Pd - veniva deriso e insultato. Non ci risulta, poi, che ci fossero tutti questi fan del Parlamento ai tempi dei vari governi tecnici. Il Quirinale disponeva, e i parlamentari battevano le zampe come foche, e i giornali di riferimento si adeguavano scodinzolando.
Se la riforma costituzionale proposta dalla Meloni ha un aspetto positivo è proprio questo: impedisce i governi tecnici. E non è un caso che, proprio in virtù di questa particolarità, abbia suscitato le ire di Mario Monti. Nel suo nuovo e formidabile libro Demagonia, l’altro senatore a vita scrive: «No, io sono contrario alla proposta di premierato oggi sul tavolo, a prescindere da questi schermi di cortesia istituzionale intertemporale. Sono contrario per un motivo più fondamentale: a mio parere, la riforma ridurrebbe la governabilità dell’Italia anziché accrescerla. Fallirebbe proprio nel suo obiettivo centrale. Renderebbe praticamente impossibili i governi di unità nazionale. Ci sarà pure una ragione se il Parlamento, non i sondaggi d’opinione o la stampa dei «poteri forti», ha approvato con le più elevate percentuali di fiducia le nascite di tre governi di unità nazionale, presieduti dal sottoscritto (87,8 per cento come media tra Camera e Senato) per fronteggiare la crisi finanziaria del 2011, da Mario Draghi (83,3 per cento per debellare il Covid e programmare l’impiego dei fondi europei nel 2021) e Giulio Andreotti (84,7 per cento dopo il rapimento di Aldo Moro nel 1978) (fonte: Pagella Politica). Tre gravi crisi, un eminente politico e due non politici chiamati a guidare il Paese con larghissime coalizioni. Che cosa avrebbe fatto, in quei momenti, un premier eletto da una maggioranza di parte e quindi legittimato a governare, con la parte sconfitta alle elezioni votata a fare opposizione? Con un presidente della Repubblica che non potrebbe neppure esortare a fare uno sforzo di unità?».
Basta leggere questo brano per comprendere quale sia il motivo della feroce opposizione liberal-progressista al premierato. Sarebbe interessante sapere che cosa pensi Liliana Segre delle parole scritte dal suo autorevole collega Monti. Non rivede, nelle tesi montiane, un leggero rischio autoritario? Certo, Mario ricopre tutto di miele, ma quello che sta dicendo è chiaro: con il premierato diventerà impossibile per il presidente della Repubblica imporre governi tecnici in caso di crisi. Che poi le suddette crisi siano studiatamente create o addirittura programmate, non sembra rilevare.
Ecco, davanti a tale forma di disprezzo per la democrazia, davanti alla pura e semplice rivendicazione del pilota automatico come metodo di governo delle nazioni, dove sono i solerti difensori della dignità dei Parlamenti? Di fronte a presidenti della Repubblica che esondano e si intromettono, perché i fan dei «limiti imposti dalla Costituzione» se ne rimangono zitti? Dicono di temere «i capi tribù», ma quando a comandare è lo stregone che si dichiara tecnico, si mettono tutti in ginocchio.