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2018-08-18
Porte girevoli tra Stato e Atlantia. Nel colosso lavora l’ex ministro di Prodi
Ansa
Quando si sente parlare Luigi Di Maio di nazionalizzazione delle autostrade, tremano i polsi. Lo Stato ha problemi a fare il regolatore, figuriamoci se sa pure gestire opere così complesse. Il che non significa in alcun modo che le attuali regole di concessione siano da difendere. Tutt'altro. Non solo gli accordi sono pieni di omissis e tutelati da una sorta di segreto di Stato, ma soprattutto da anni non esiste la garanzia che chi deve controllare il controllato riesca a garantire la piena efficienza. Una delle pratiche molto diffuse in Italia (e non solo) è quella delle porte girevoli che consentono legittimamente, ma poco opportunamente, di passare dal settore pubblico a quello privato. E viceversa.
Il caso di Enrico Letta è celebre. Ne abbiamo già scritto, ma vale la pena ricordarlo. A febbraio del 2014 viene spodestato da Matteo Renzi. L'anno successivo va a insegnare alla Scuola di affari internazionali parigina. Poco dopo annuncia la sua nomina a membro del cda di Abertis, colosso spagnolo intrecciato con Atlantia che detiene la maggioranza di Autostrade per l'Italia. La scorsa estate l'azienda dei Benetton ha avviato la scalata di Abertis assieme ad Acs e un'azienda tedesca. Ieri Letta ci ha scritto una secca replica: «Sono entrato nel consiglio di Abertis alla fine del 2016 quando questa era una società spagnola, e prima che venisse ventilata l'ipotesi di Opa da parte italiana. Da Abertis sono uscito, dimettendomi volontariamente, e dandone pubblica notizia nel maggio scorso, esattamente quando è cambiata la proprietà con l'ingresso di Atlantia. Questo perché, proprio per evitare al massimo possibili conflitti di interesse con le mie precedenti funzioni, ho scelto, una volta lasciato il Parlamento, di esercitare attività professionali fuori dall'Italia. È quindi vero proprio il contrario rispetto ai conflitti di interesse di cui, omettendo di raccontare i fatti appena descritti, mi si accusa impropriamente». Si è affrettato a far sapere anche al sito Dagospia di aver lasciato l'incarico all'indomani dell'Opa, proprio per non cadere in un conflitto di interessi. Chiarissimo. La risposta dell'ex premier si riferiva a un pezzo dedicato non tanto a lui, ma a una sua collaboratrice. Si tratta di Simonetta Giordani. Nel 2006 lavora per Autostrade e, secondo quanto riporta il sito, sostiene diversi think tank compreso quello di Enrico Letta. Quando l'esponente della Margherita siede a Palazzo Chigi, chiama la Giordani a fare il sottosegretario ai Beni culturali. L'anno dopo passa la mannaia di Renzi e la manager per un po' ricopre l'incarico di consigliere di Fs, finché torna in Atlantia, dove viene incaricata della gestione degli Affari istituzionali.
Non è certo l'unica esperta di ministeri che al termine dell'incarico vola verso datori di lavoro privati. C'è anche un nome molto più famoso: Paolo Costa. Tra il 1997 e il 1998 ricopre l'incarico di ministro dei Lavori pubblici, per poi diventare ministro delle Infrastrutture nel 2006, prima che sulla stessa poltrona sieda Antonio Di Pietro. Costa è ovviamente molto vicino a Romano Prodi. Tra il primo e il secondo incarico romano, per cinque anni fa il sindaco di Venezia. Nei 24 mesi trascorsi al ministero dei Lavori pubblici però contribuisce a preparare al fianco del Professore la privatizzazione della rete autostradale e getta le basi dell'intero sistema di concessioni. Che verrà modificato più volte negli anni, senza però venire mai stravolto. L'economista nato nel 1943 è tra i più preparati nel settore dei trasporti e delle infrastrutture, e il suo bagaglio di conoscenze non sfugge ai Benetton, che nel 2010 lo chiamano a presiedere il consiglio di amministrazione di Spea Engineering, una controllata di Autostrade per l'Italia. Non solo.
Nel 2016 il gruppo Atlantia, che, oltre a detenere Autostrade, controlla la società Aeroporti di Roma (quella di Fiumicino e di Ciampino), vince la gara per la privatizzazione dell'aeroporto di Nizza e di due altri piccoli scali regionali. Per la precisione, passa di mano il 60% della società Aéroports de la Côte d'Azur (Aca) con gli scali di Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint-Tropez. Nomi mitici, che fanno parte dell'identità francese. Sono stati venduti per 1,2 miliardi di euro. Con 12 milioni di passeggeri nel 2015, l'aeroporto di Nizza è il terzo in Francia dopo i due scali parigini di Roissy e Orly. I Benetton chiedono a Costa di andare ogni tanto a Nizza per sedere nel consiglio di sorveglianza dell'aeroporto. Serviva un esperto. Un duplice ex ministro lo è sicuramente.
D'altronde in tanti si sono fatti le ossa studiando le grane dell'Anas. Ad esempio, il potente Roberto Garofoli da magistrato si è più volte occupato di collegi arbitrali per la rete stradale e autostradale. Per anni è stato un lettiano doc, tant'è che l'ex premier lo ha nominato segretario generale di Palazzo Chigi e oggi è capo di gabinetto del ministro Giovanni Tria. Il quale ha deciso di confermargli l'incarico ricevuto da Pier Carlo Padoan.
Ieri Danilo Toninelli, oggi titolare del Mit, ha annunciato di aver avviato l'iter di revoca della concessione ad Autostrade. Visto il susseguirsi di dichiarazioni, è difficile capire come andrà a finire la guerra tra governo e il gruppo. Quello che è certo è che il sistema delle concessioni sarà da rivedere. Compreso il tema delle porte girevoli: sempre legittime, ma sempre meno opportune.
Benetton power: dal Veneto fino a Wall Street
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Paolo Costa fu la spalla del Professore nelle privatizzazioni. Poi il gruppo lo volle in squadra come esperto di infrastrutture.Il peso della famiglia va ben oltre la moda. Grazie a Goldman, la sfera d'influenza tocca grandi assicurazioni, editoria e banche.Lo speciale contiene due articoli.Quando si sente parlare Luigi Di Maio di nazionalizzazione delle autostrade, tremano i polsi. Lo Stato ha problemi a fare il regolatore, figuriamoci se sa pure gestire opere così complesse. Il che non significa in alcun modo che le attuali regole di concessione siano da difendere. Tutt'altro. Non solo gli accordi sono pieni di omissis e tutelati da una sorta di segreto di Stato, ma soprattutto da anni non esiste la garanzia che chi deve controllare il controllato riesca a garantire la piena efficienza. Una delle pratiche molto diffuse in Italia (e non solo) è quella delle porte girevoli che consentono legittimamente, ma poco opportunamente, di passare dal settore pubblico a quello privato. E viceversa. Il caso di Enrico Letta è celebre. Ne abbiamo già scritto, ma vale la pena ricordarlo. A febbraio del 2014 viene spodestato da Matteo Renzi. L'anno successivo va a insegnare alla Scuola di affari internazionali parigina. Poco dopo annuncia la sua nomina a membro del cda di Abertis, colosso spagnolo intrecciato con Atlantia che detiene la maggioranza di Autostrade per l'Italia. La scorsa estate l'azienda dei Benetton ha avviato la scalata di Abertis assieme ad Acs e un'azienda tedesca. Ieri Letta ci ha scritto una secca replica: «Sono entrato nel consiglio di Abertis alla fine del 2016 quando questa era una società spagnola, e prima che venisse ventilata l'ipotesi di Opa da parte italiana. Da Abertis sono uscito, dimettendomi volontariamente, e dandone pubblica notizia nel maggio scorso, esattamente quando è cambiata la proprietà con l'ingresso di Atlantia. Questo perché, proprio per evitare al massimo possibili conflitti di interesse con le mie precedenti funzioni, ho scelto, una volta lasciato il Parlamento, di esercitare attività professionali fuori dall'Italia. È quindi vero proprio il contrario rispetto ai conflitti di interesse di cui, omettendo di raccontare i fatti appena descritti, mi si accusa impropriamente». Si è affrettato a far sapere anche al sito Dagospia di aver lasciato l'incarico all'indomani dell'Opa, proprio per non cadere in un conflitto di interessi. Chiarissimo. La risposta dell'ex premier si riferiva a un pezzo dedicato non tanto a lui, ma a una sua collaboratrice. Si tratta di Simonetta Giordani. Nel 2006 lavora per Autostrade e, secondo quanto riporta il sito, sostiene diversi think tank compreso quello di Enrico Letta. Quando l'esponente della Margherita siede a Palazzo Chigi, chiama la Giordani a fare il sottosegretario ai Beni culturali. L'anno dopo passa la mannaia di Renzi e la manager per un po' ricopre l'incarico di consigliere di Fs, finché torna in Atlantia, dove viene incaricata della gestione degli Affari istituzionali. Non è certo l'unica esperta di ministeri che al termine dell'incarico vola verso datori di lavoro privati. C'è anche un nome molto più famoso: Paolo Costa. Tra il 1997 e il 1998 ricopre l'incarico di ministro dei Lavori pubblici, per poi diventare ministro delle Infrastrutture nel 2006, prima che sulla stessa poltrona sieda Antonio Di Pietro. Costa è ovviamente molto vicino a Romano Prodi. Tra il primo e il secondo incarico romano, per cinque anni fa il sindaco di Venezia. Nei 24 mesi trascorsi al ministero dei Lavori pubblici però contribuisce a preparare al fianco del Professore la privatizzazione della rete autostradale e getta le basi dell'intero sistema di concessioni. Che verrà modificato più volte negli anni, senza però venire mai stravolto. L'economista nato nel 1943 è tra i più preparati nel settore dei trasporti e delle infrastrutture, e il suo bagaglio di conoscenze non sfugge ai Benetton, che nel 2010 lo chiamano a presiedere il consiglio di amministrazione di Spea Engineering, una controllata di Autostrade per l'Italia. Non solo. Nel 2016 il gruppo Atlantia, che, oltre a detenere Autostrade, controlla la società Aeroporti di Roma (quella di Fiumicino e di Ciampino), vince la gara per la privatizzazione dell'aeroporto di Nizza e di due altri piccoli scali regionali. Per la precisione, passa di mano il 60% della società Aéroports de la Côte d'Azur (Aca) con gli scali di Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint-Tropez. Nomi mitici, che fanno parte dell'identità francese. Sono stati venduti per 1,2 miliardi di euro. Con 12 milioni di passeggeri nel 2015, l'aeroporto di Nizza è il terzo in Francia dopo i due scali parigini di Roissy e Orly. I Benetton chiedono a Costa di andare ogni tanto a Nizza per sedere nel consiglio di sorveglianza dell'aeroporto. Serviva un esperto. Un duplice ex ministro lo è sicuramente. D'altronde in tanti si sono fatti le ossa studiando le grane dell'Anas. Ad esempio, il potente Roberto Garofoli da magistrato si è più volte occupato di collegi arbitrali per la rete stradale e autostradale. Per anni è stato un lettiano doc, tant'è che l'ex premier lo ha nominato segretario generale di Palazzo Chigi e oggi è capo di gabinetto del ministro Giovanni Tria. Il quale ha deciso di confermargli l'incarico ricevuto da Pier Carlo Padoan.Ieri Danilo Toninelli, oggi titolare del Mit, ha annunciato di aver avviato l'iter di revoca della concessione ad Autostrade. Visto il susseguirsi di dichiarazioni, è difficile capire come andrà a finire la guerra tra governo e il gruppo. Quello che è certo è che il sistema delle concessioni sarà da rivedere. Compreso il tema delle porte girevoli: sempre legittime, ma sempre meno opportune. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/porte-girevoli-tra-stato-e-atlantia-nel-colosso-lavora-lex-ministro-di-prodi-2596732415.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="benetton-power-dal-veneto-fino-a-wall-street" data-post-id="2596732415" data-published-at="1765401433" data-use-pagination="False"> Benetton power: dal Veneto fino a Wall Street Al di là dei ponti, nel network dei Benetton nulla si crea e nulla si distrugge. Da quasi trent'anni la famiglia veneta è passata dal business dei pullover a quello dei caselli e degli aeroporti. La crescita esponenziale dei ricavi del gruppo e quindi del patrimonio della famiglia ha consentito grandi e importanti investimenti nelle aziende italiane che contano. In questi giorni di polemiche, si è letto delle quote del gruppo in Rcs e nel Sole 24 Ore. Investimenti residuali. Molto residuali. Attraverso Edizione la famiglia Benetton possiede, oltre al 100% di Benetton group, numerose e consistenti partecipazioni che spaziano dalla ristorazione (Autogrill), alle infrastrutture (Eurostazioni) ai trasporti (Atlantia, società a cui fanno capo Autostrade per l'Italia e Aeroporti di Roma), fino ad assicurazioni e banche (Generali, Mediobanca, Banca Leonardo), oltre a una quota minima in Pirelli. Il tutto è ovviamente sorretto da una importante rete di relazioni industriali che aiuta a consolidare e fare crescere l'intera galassia. Oggi a presiedere Atlantia è Fabio Cerchiai, manager di lungo corso che vanta un curriculum ancor più lungo. Innanzitutto ricopre in contemporanea il ruolo di presidente di Unipol, al vertice della quale è arrivato dopo diversi incarichi In Generali e in Fondiaria Sai. Cerchiai è stato presidente di Ania, l'associazione delle imprese assicuratrici, è transitato per diversi istituti di credito e pure in Impregilo, che ha nel suo core business il cemento. Ma non basta. A questi investimenti finanziari se ne aggiungono altri nel settore agricolo e in quello immobiliare. La famiglia detiene il 100% dell'azienda Maccarese (Roma) e di Compania de Tierras Sudargentinas, in Patagonia. Edizione Property è invece la holding nel settore del mattone, con un patrimonio immobiliare che vale intorno poco più di 1,4 miliardi di euro. Ma per ricostruire la leva di lancio dell'impero bisogna ripercorrere i rapporti della famiglia che hanno consentito il vero salto da Ponzano Veneto fino a Wall Street. Al fianco del gruppo nel momento della privatizzazione della gestione delle rete autostradale c'è una importante banca d'affari: Merrill Lynch. Ma a sostenere le diverse acquisizioni del gruppo spicca un istituto ancor più grande, che si chiama Goldman Sachs. Nel 2008 la famiglia si interessa a Guala Closures, una multinazionale piemontese nel settore della farmaceutica e cosmetica. L'offerta è presentata assieme a Goldman Sachs, che poi alla fine interviene pure nel riassetto del gruppo. Poco importa che in alcune occasioni gli imprenditori di Ponzano si siano trovati su fronti contrapposti a quelli di Goldman. Nei momenti seri sono stati sempre alleati. Nel 2014 c'è un successivo riassetto in Sintonia, una delle holding della famiglia: Goldman interviene con la riacquisizione di quote, ma soprattutto si erge a capofila nell'emissione di una maxi obbligazione da 5 miliardi di euro. Senza dimenticare che Alessandro Benetton, figlio di Luciano, muove i suoi primi passi proprio in Goldman. Gli osservatori si pongono una domanda di fondo. Come è stato possibile che un gruppo seppur famoso nel settore della moda, ma con legami finanziaria abbastanza ristretti ai confini italiani, appena fa il salto nel settore autostradale trovi subito al suo fianco la più importante banca d'affari Usa? Sarà per via del business appetibile e della capacità imprenditoriale della famiglia, ma qualche buona parola deve averla messa Romano Prodi, che a Goldman è legatissimo e ha fornito pure consulenze sul rischio Paese.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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