2020-05-01
Popolare di Bari: sequestri ai dirigenti ma resta incerto il futuro della banca
Requisiti 16 milioni al patron Gianluca Jacobini, però ne servono altri 54 per garantire la continuità. In vista ci sono circa 900 esuberi. Da un decreto di sequestro che mette al sicuro 16 milioni di euro riemerge il passato della Banca popolare di Bari, impaludata tra le melmose operazioni di Jacobini e company e le incognite strategiche sul futuro. A leggere il documento firmato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Mattiace, sembra di ripercorrere la storia di altre banche popolari finite a gambe all'aria. Perché anche la Bari aveva concesso finanziamenti a grandi gruppi imprenditoriali per l'acquisto di azioni della banca, inserendone il valore nel bilancio e nel patrimonio di vigilanza anche se quei soldi, in realtà, erano già dell'istituto di credito. È quella che in gergo chiamano «operazione baciata». «Quei fondi», rammenta il giudice nel provvedimento, «non possono essere usati per ulteriori operazioni, in quanto inesistenti». E, se usati, sono considerati di «provento illecito». È per questo che, anche tramite il taroccamento dei bilanci, i manager travestiti da alchimisti con la calcolatrice, avrebbero nascosto tutto alla Vigilanza, creando un cratere da 50 milioni di euro. La concessione di un finanziamento in correlazione con l'acquisto delle azioni, infatti, evidenzia il Gip, «sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale». La toga ha quindi deciso di mettere le mani nei conti correnti di Gianluca Jacobini, ex condirettore dell'istituto di credito, di Giuseppe Marella e di Nicola Loperfido (rispettivamente responsabili dell'Internal audit e della direzione business), e di sequestrare «per equivalente», misura cautelare reale che serve a mettere al sicuro beni di valore corrispondente al profitto del reato, i 16 milioni divisi tra i tre (4.952.162 euro a testa a Jacobini e a Loperfido e 6.096.929 euro a Marella). Siccome nel frattempo è intervenuto il commissariamento, i magistrati, pur ritenendo l'istituto bancario «responsabile degli illeciti amministrativi», lo ha risparmiato dal sequestro. La società cooperativa per azioni è comunque indagata per la responsabilità amministrativa. E, stando all'accusa, avrebbe «percorso una politica aziendale finalizzata a preservare a tutti i costi l'integrità della base sociale, senza curarsi del collegamento che progressivamente si è generato tra le erogazioni finanziarie e le partecipazioni azionarie dei soci». Ai clienti sarebbero stati fatti sottoscrivere mandati irrevocabili a vendere le azioni, «quando l'istituto bancario lo avesse ritenuto opportuno», ricorda il Gip, «così determinando, di fatto, la destinazione delle azioni (e del relativo controvalore) a garanzia del finanziamento concesso». Una scelta dell'azienda, valuta il giudice, ma anche dei dirigenti indagati in qualità di detentori del potere aziendale. Gianluca Jacobini, inoltre, avrebbe anche agito « con l'intenzione di ingannare i soci e il pubblico, al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé e per l'istituto bancario».Così il futuro si fa incerto. Non solo per le grane giudiziarie. Dopo il varo del Dl Liquidità, la Pop di Bari è stata addirittura costretta a non accogliere ulteriori domande sui prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato alle Pmi a causa del superamento in soli due giorni del plafond messo a disposizione dallo stesso istituto. A metà aprile è stata comunque concordata una variazione all'accordo quadro sottoscritto il 31 dicembre con il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) e il Mediocredito centrale (Mcc) che prevede l'erogazione a favore della banca di 54,3 milioni a titolo di versamento in conto futuro aumento capitale. Si aggiungono ai 310 milioni già erogati dal Fidt nelle more della realizzazione dei presupposti necessari per l'attuazione del progetto di rilancio. Ma l'obiettivo di rimettere in piedi un istituto in amministrazione straordinaria dal 13 dicembre 2019 per farlo addirittura diventare il volano del sistema Sud pare un miraggio. E non solo per colpa del virus. Alla definizione del salvataggio serve il placet della Commissione europea con la quale sin da febbraio hanno avviato i negoziati il Fitd e il Mediocredito centrale che è controllato dal Tesoro attraverso Invitalia. Una sua partecipazione come secondo pilastro del risanamento rischia di incorrere nella contestazione di aiuto di Stato. Ecco perché il piano industriale dell'istituto pugliese dovrà dimostrare a Bruxelles che l'intervento avrà luogo a condizioni di mercato e con un potenziale ritorno economico. Lo scorso 23 aprile l'amministratore delegato di Mcc, Bernardo Mattarella, in audizione in commissione parlamentare, ha assicurato che «la procedura va avanti con un'interlocuzione abbastanza positiva con la commissione Ue». Sarà. Intanto i due commissari Enrico Ajello e Antonio Blandini hanno il compito di definire un piano di rafforzamento patrimoniale, dopo aver fatto una radiografia dettagliata di tutte le voci di attivo, e di sottoporlo all'approvazione dei 70.000 soci entro giugno. Ma la data dell'assemblea, che sarà pure chiamata a trasformare la popolare in spa, non è stata ancora fissata. E i sindacati hanno già alzato le barricate definendo inaccettabile il «Piano di efficientamento», che prevede 900 esuberi e la chiusura di 94 filiali, presentato il 20 aprile dai commissari.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)