2018-07-11
Polpi vivi, pipistrelli e vino di topo: ricette bestiali per stomaci forti
I turisti in cerca di esperienze estreme a tavola hanno l'imbarazzo della scelta. In Giappone si servono vipere con cipolle e vespe selvatiche, in Polonia una zuppa di sangue di anatra, in Islanda carne di squalo putrefatta.Fettine di squalo putrefatto, zuppa di pipistrello, viscere di calamaro marinate, occhi di tonno in umido, vino al serpente. Probabilmente, a un qualsiasi occidentale, queste pietanze fanno venire in mente il pentolone mefitico di una strega. Eppure in giro per il mondo c'è chi le divora di gusto, giudicandole vere prelibatezze oltre che sinonimo di tradizione. E i turisti-gourmet in cerca di esperienze forti (per stomaco e palato) hanno solo l'imbarazzo della scelta: le ricette a base di animali strani - a volte creature che non vorremmo avere tra i piedi, figuriamoci dentro una scodella - sono tantissime. Non parliamo delle solite cavallette o tarantole fritte, ma di pietanze davvero estreme, almeno per i nostri gusti. Ormai il cibo crudo non spaventa più nessuno ma che ne direste di quello vivo? In Corea del Sud si ordina per antipasto il Sannakji, cioè piccoli polpi ancora vivi, tagliati in pezzi e serviti all'istante, che continuano a saltellare in un intingolo di olio di sesamo. Altrettanto impressionanti i «gamberi ubriachi» portati in tavola in Cina, vivi ma ubriachi perché precedentemente macerati nell'alcol. In Giappone invece sono considerati una squisitezza gli occhi di tonno, di norma serviti in umido o leggermente scottati. Gli estimatori giurano che sotto l'involucro gommoso i bulbi nascondono un cuore morbido e grasso il cui sapore ricorda quello dei calamari. Nel Paese del sol levante si mangiano pure le vipere. I ristoranti le espongono vive: i cuochi ne prendono una dalla vetrina, la appendono, le tagliano la gola, offrono da bere al cliente il sangue misto a una specie di alcol (avrebbe proprietà afrodisiache), e poi cucinano il rettile con le cipolle. Un'altra specialità nipponica sono le viscere di calamari fermentate nei loro stessi fluidi per oltre un mese. L'odore di questo piatto tradizionale, di nome shiokara, è talmente forte che persino i locali lo buttano giù il più in fretta possibile e subito dopo ingollano un bicchierino di whisky. I giapponesi, che a quanto pare nella classifica dei divoratori di animali strani meritano la medaglio d'oro, sgranocchiano volentieri pure le vespe selvatiche, seppur scottate e impastate con la farina di riso. Il risultato? Una specie di cracker - ma molto più proteico, spiegano gli estimatori - da cui sbucano i cadaverini degli insetti. In Indonesia, invece, la gente va pazza per i pipistrelli. Sotto forma di zuppa. Prima li abbrustoliscono per togliere la peluria, poi li cuociono con varie spezie nel latte di cocco. Il cocco non vi piace? Nessun problema. Il pipistrello con chili ed erbe piccanti, assicurano i locali, è un'alternativa da leccarsi i baffi.Anche l'Europa è in grado di sfornare orrori culinari. In Polonia uno dei piatti tradizionali più radicati è la zuppa a base di sangue di anatra. Gli scozzesi invece adorano le frattaglie e un loro piatto nazionale, chiamato haggis, fatto d'interiora di pecora avvolte nel suo stomaco, viene mangiato durante una fastosa cerimonia accompagnata da cornamuse. In Islanda si gusta l'Hákarl ovvero lo squalo fermentato, una pietanza ideata dai Vichinghi e preparata ai nostri giorni seguendo la stessa identica procedura che si usava ai tempi. Gli animali vengono sfilettati e appesi sotto una collinetta di pietre per un paio di mesi, poi vengono lasciati per altri 2-4 mesi all'aria aperta. A questo punto lo squalo fermentato - ma sarebbe più esatto dire putrefatto - è pronto per essere gustato. Lecito ipotizzare che a un italiano medio si chiuderebbe lo stomaco. Forse per sempre. Ma c'è di peggio: il Balut (letteralmente «incartato»), un piatto tipico di molti paesi del Sud-Est asiatico. Si tratta di un uovo, di anatra o gallina, fecondato, quindi in attesa di schiusa per dar vita al pulcino o alla piccola anatra. Ma questo non succederà mai, perché qualcuno lo bollirà proprio poco prima della schiusa. Il procedimento è certosino: le uova fecondate vengono esposte al sole per favorirne lo sviluppo. Dopo una settimana circa vengono esaminate in controluce per verificare lo stato di avanzamento dell'embrione. Se lo contengono, vengono incubate per altri otto giorni. Ci sono due modi per consumare il Balut: nelle Filippine preferiscono lessarlo prima dei 17 giorni, quando lo scheletro non si è formato; in Vietnam e Cambogia invece, aspettano 20 giorni, quando cioè lo scheletro, compreso becco e zampe, si sono quasi sviluppati. Il piatto, giudicato afrodisiaco oltre che prelibatissimo, viene servito nei ristoranti più esclusivi.La carrellata di bizzarre golosità non sarebbe completa senza un dessert adatto agli stomaci più forti. E qui viene in soccorso la torta di sangue di maiale che si sgranocchia a Taiwan. Composta da riso glutinoso e sangue di maiale coagulato, guarnita con granella di arachidi, si trova nelle friggitorie accanto ad altri dolci e si mangia come fosse un gelato, con tanto di stecchetto di legno per poterlo gustare anche mentre si passeggia. I finlandesi, invece, preferiscono concludere il pasto con la Mustamakkara, una ciambella che si realizza mescolando sangue e carne di maiale con segale e farina e si serve accompagnata da marmellata di bacche. Dopo una simile scorpacciata planetaria un cicchetto è d'obbligo. E secondo i vietnamiti per digerire non c'è niente di meglio dello Snake Wine, letteralmente «vino al serpente», una bevanda alcolica ottenuta dal riso che si lascia fermentare per mesi in compagnia di serpenti, tartarughe, scorpioni, insetti e persino uccelli. Pare che faccia benissimo ma il suo sapore è talmente forte che va buttato giù tutto d'un fiato. In alternativa, in Corea, c'è il vino di topo, ottenuto stipando ratti appena nati in una bottiglia di vino di riso e lasciandoli lì a fermentare. I coreani, che ne vanno pazzi, lo giudicano un ottimo ricostituente.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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