2022-12-01
Agenti robot con licenza di uccidere. La polizia da incubo secondo i dem Usa
San Francisco, capitale liberal, apre all’utilizzo di sistemi telecomandati dotati di esplosivo da fare scoppiare a distanza in caso di pericolo per gli umani. Un approccio simile a quello dei droni, con le stesse criticità etiche.I «robot killer» saranno realtà a San Francisco. Il board of supervisors della città (simile al nostro consiglio comunale), infatti, nella giornata di martedì ha discusso e votato la possibilità di ricorrere a robot in grado di uccidere, ma soltanto «in circostanze eccezionali». Nel 2021, lo Stato della California ha infatti emanato una legge che vincola i dipartimenti di polizia a chiedere l’approvazione dei propri equipaggiamenti da parte degli organi di governo locali. All’interno di questo iter obbligato, il dipartimento di polizia di San Francisco ha quindi rivolto alla commissione regolamento del board la richiesta di potersi avvalere di «robot killer» nelle circostanze in cui «il rischio di perdite di civili o ufficiali è imminente e supera ogni altra azione di forza disponibile». Esiste un celebre precedente storico negli Stati Uniti: a Dallas, nel luglio del 2016, la polizia munì un robot di esplosivo e, controllandolo da remoto, lo fece detonare accanto a un cecchino che aveva appena ucciso cinque agenti. Secondo il portavoce del dipartimento di polizia di San Francisco, Robert Rueca, non c’è nessuna intenzione di dotare i robot di armi da fuoco, pertanto lo scenario che si ha in mente è un’emergenza simile alla strage di Dallas. Il dipartimento è già in possesso di 17 robot, al momento impiegati per altre finalità. Va specificato, dunque, che non si è discussa la possibilità di fornire all’intelligenza artificiale i mezzi per uccidere: i robot saranno controllati da remoto. Niente situazioni alla Will Smith in Io, Robot, per intenderci (e per adesso). Il dibattito tenutosi in consiglio è durato circa due ore e mezza e, secondo la cronaca locale, è stato particolarmente infuocato. Il board of supervisors è composto da 11 membri eletti dai cittadini, attualmente tutti democratici. Di questi, soltanto tre hanno votato contro il nuovo regolamento, tra cui anche il presidente Shamann Walton. Essi si sono detti scettici sulla reale necessità di dotare un dipartimento di polizia locale, non un esercito, di strumenti che possono facilmente andare incontro ad abusi. Bizzarro, effettivamente, che un consiglio di soli democratici, in una delle città più progressiste al mondo - e in cui forti si sono fatte sentire le proteste contro gli abusi della polizia verso gli afroamericani -, avalli con un consenso così ampio il rafforzamento delle armi (e dei robot) in dotazione agli agenti. Il consiglio, però, ha voluto normare con più precisione le circostanze e le modalità in cui l’impiego delle macchine può avvenire. La proposta originale è stata emendata, e si potrà ricorrere ai robot killer soltanto quando «il rischio di perdite di civili o ufficiali è imminente e quando gli agenti non riescono a domare la minaccia in corso anche dopo aver tentato ogni opzione alternativa o strategia di de-escalation» (oppure quando valutano che tali mezzi non saranno comunque in grado di ottenere il risultato sperato). Inoltre, soltanto i tre massimi vertici del dipartimento potranno dare il via libera all’utilizzo. Una prudenza giustificata, ma che comunque non elimina le perplessità. La questione si inserisce all’interno di un più ampio dibattito che sta interessando l’area di San Francisco, dibattito riguardante il corretto bilanciamento tra le libertà civili e il potere che le moderne tecnologie offrono alla polizia nel combattere il crimine. A settembre, infatti, si è acceso un dibattito simile quando il consiglio, con sette voti favorevoli e quattro contrari, consentì temporaneamente il monitoraggio in diretta di alcune telecamere di sicurezza, nonostante le forti obiezioni di cui tale proposta, per ragioni di tutela della privacy, fu oggetto. Una certa propensione al controllo sociale sembra dunque di casa, in una certa area culturale, anche oltreoceano. In questo caso, però, non si tratta tanto di proteggere la sfera privata dei cittadini, quanto di non fornire, anche a chi amministra la «violenza legittima», strumenti che possano rendere un’uccisione simile a un videogioco (come nel caso dei droni in Afghanistan), e ciò nonostante dall’altra parte vi siano dei criminali. Il fatto che lo stesso consiglio della città - che, ricordiamolo, conta solo democratici - si sia diviso in entrambe le votazioni è abbastanza indicativo del fatto che il tema sia rilevante e la questione specifica difficile da digerire. Ed è questo, forse, il punto: che non andrebbe digerita. Hillary Ronen, una dei tre consiglieri che hanno votato contro i robot killer, durante la discussione ha affermato: «Questo aprirà un vaso di pandora che potrebbe cambiare la nostra società in modo significativo». Quello che verosimilmente intende è che l’accettazione di questa novità - apparentemente ragionevole in certe circostanze - potrebbe non soltanto avere dei risvolti immediati sulle operazioni di polizia, ma spostare anche ulteriormente l’asticella del socialmente consentito, aprendo in futuro a scenari ben peggiori. Ad ogni modo, la proposta dovrà ricevere un secondo voto settimana prossima (dall’esito probabilmente scontato, vista la maggioranza schiacciante) ed essere successivamente approvata dall’equivalente del nostro sindaco. Assisteremo curiosi, nel frattempo, al dibattito che si innescherà.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci