2021-06-06
La politica in cerca dell’unità per rinascere
Luigi Brugnaro e Giovanni Toti nel corso della presentazione di Coraggio Italia (Ansa)
In questa fase storica stanno cambiando le parole dei partiti: nei nomi vanno di moda il coraggio e l'azione, i movimenti vogliono unificarsi per pensare in grande. È l'atteggiamento giusto per affrontare il compito della ricostruzione. Ma ora devono seguire i fatti.L'unità è contagiosa: quando è venuto il suo momento nessuno le sfugge più. È il contrario dell'altrettanto contagiosa fase della divisione e frammentazione, che spinge al movimento contrario: quella «decostruzione» (più pericolosa) che ha fatto a pezzi le società occidentali e l'Io delle persone negli ultimi 50 anni. Sono queste le due forze che costruiscono o dissolvono le società, le personalità, le forme di vita.Lo sguardo selvatico, che poco capisce della politica politicata, ma è sempre alle prese con le forze elementari dell'esistenza, aveva scritto non molto tempo fa che se si fosse riusciti a fare questo governo di unità nazionale di Mario Draghi sarebbe forse finita la micromania italica degli ultimi anni: i minipartiti, le miniidee, le minirisse, e si sarebbe magari ricomposta una società con le sue diverse e più ampie visioni del mondo. Quelle che nell'ultimo anno e mezzo erano invece state sostituite dalle visioni dei tinelli, le uniche consentite dai confinamenti e dalla loro infelice retorica e pratica della segregazione obbligatoria. Qualcosa del genere sta forse davvero succedendo. Il movimento verso l'unità è evidente nei processi di aggregazione tra le grandi formazioni attuali, come quello in corso tra Forza Italia e Lega, ed è difficile che si fermi. Lo stesso sviluppo si manifesta però anche in manifestazioni di toni e energie diverse, meno istituzionali e consistenti, ma che ugualmente mostrano di tendere e nuove aggregazioni e a un antidepressivo risveglio. Per esempio chiamare Coraggio Italia come hanno fatto Luigi Brugnaro e Giovanni Toti una formazione minore, forte in realtà locali come Venezia, Genova, ed altre, non è solo un buon colpo comunicativo. Qualsiasi siano le sue velleità e destini, la vicenda esprime anche un clima psicologico diverso, meno ripiegato su di sé, meno lagnoso e più positivo di quello di ieri. Come del resto, a sinistra, ha fatto anche l'Azione di Carlo Calenda, già con il suo nome, anche se con pochi aderenti. Le parole contano, perché sono il brand di un partito, ma soprattutto per la loro capacità di muovere le forze corrispondenti (dopo che Calenda ha fatto Azione, Renzi ha fatto cadere il governo giallorosso). La fantasia muove il mondo, e nella politica italiana ce n'era ormai pochissima. La questione è tanto più significativa quanto più sia Coraggio che Azione sono state parole proibite per decenni, fino a ieri, anche perché rimandano a valori e comportamenti molto valutati dalla destra, e per questo immediatamente demonizzati dalla sinistra. Il che (tra l'altro) rivela una delle ragioni profonde della malattia italiana: la sua completa (dalla fine della guerra in poi) mancanza di una cultura nazionale condivisa. Quella base comune di valori, comportamenti e aspirazioni che fonda un Paese al di là delle differenze di parte e così consente lo sviluppo delle democrazie. Se ora si estende il processo di nuove unioni e idee, è possibile che si allarghi anche la base comune di valori condivisi nel Paese, liberando il campo da antiche partigianerie che vanno collocate al loro giusto posto: la storia. C'è un abisso non solo retorico tra nomi portatori di significati anche operativi come Coraggio Italia, Azione e (per esempio) l'ambiguo e noioso Scelta civica del professor Mario Monti e dei suoi seguaci. I primi rimandano a qualità caratteriali e morali (che poi, certo, dopo essere dichiarate dovranno anche esserci davvero); sono parole forti e dinamiche che esprimono voglia di fare e di cambiare. Scelta civica è statica, descrive una collocazione politica. Mentre scrivo, immagino il sorrisino di superiorità di molti: «Sì, ma a Scelta civica erano persone colte, professori... qui invece...». Anche questo sorrisino di disprezzo castale è importante per capire come la situazione sia passata dalla stagnazione supponente di Monti e dei suoi (non molti) sostenitori, all'attivismo non privo di coraggio e anche spregiudicatezza che caratterizza la discesa in campo di Draghi e il coinvolgersi di altri. L'atteggiamento snobistico di ieri fa riconoscere meglio tutto ciò che, invece, si muove in questa fase di cambiamento, con i suoi pericoli e le sue opportunità.Prima fra tutte quella di avere un programma (l'ormai famosa «Agenda Draghi») che è in realtà la ricostruzione del Paese. Una questione impegnativa, ma che prima o poi va affrontata, o arriva la troika con la scusa che siamo indebitati, e non è che poi possiamo difenderci con l'ottimo generale Figliuolo. La ricostruzione poi, parziale e difficile che sia, avrà il vantaggio di provocare l'inevitabile sparizione di quelli che sono stati al potere fino adesso, e che per anni non hanno fatto nulla tranne che finanziare le proprie clientele elettorali. Anche perché non avevano la minima idea di come si amministra una nazione, per giunta speciale come l'Italia. Ciò potrà produrre l'altro indispensabile cambiamento: si smetterà forse di parlare del nulla, e di impegnare per settimane il Parlamento su fenomeni politicamente inesistenti come l'omofobia; che i pochi interessati (tranne le burocrazie politiche che ne fanno un impiego) sono ben felici di risolversi da soli, come è sempre avvenuto, senza coinvolgervi l'intero Paese.C'è un'intera nazione da ricostruire: le infrastrutture, gran parte dei treni, gli acquedotti, le scuole, la giustizia, buona parte degli ospedali; per vaccinare la popolazione c'è voluto l'esercito, pur ridotto ai minimi termini. Il fatto è che nello Stato l'esercito è ormai quasi la sola cosa che ancora funzioni e non è così consolante. I governi degli ultimi anni non si sono poi limitati a far nulla, ma si sono impegnati (ad esempio) ad invadere l'ambito famigliare e a fare concorrenza ai genitori, come si è visto a Bibbiano e in tanti altri casi. Dove ai genitori naturali ne sono stati sostituiti altri, scelti naturalmente tra amici e sodali dei politici al potere. Lo Stato, gradualmente occupato da inabili a tutto, privi di ogni competenza, deve ora tornare a svolgere le sue funzioni e aiutare famiglie e iniziative economiche e commerciali a fare il loro mestiere, senza lanciare concorrenze ostili ai più antichi nuclei della vita sociale, come la famiglia. La ricostruzione del Paese, ormai non più rinviabile, non lascia spazio a svaghi pseudo sociologici: chiudano le buche e portino via la spazzatura che in troppi quartieri non si respira più. Tutto ciò richiede il massimo sforzo di unificazione e rinnovamento. In Italia l'Ego (pur non granché) l'ha fatta da padrone fin troppo. Proviamo a fare squadra, come si può e dove si può. O qualcuno ci farà schiavi.