Gianni Chiarini ha ereditato dal padre Carlo la passione per la concia delle pelli e per la loro trasformazione in borse e accessori. Che, a dirla così, sembrerebbe una strada già segnata. Invece per l’imprenditore fiorentino la trasformazione da fornitore di pellami a creatore di borse disegnate a mano e firmate da lui stesso è stato un detto-fatto che ha richiesto tempo. «È una storia di famiglia che parte da Firenze negli anni 2000, in quello che è il cuore mondiale della pelletteria di eccellenza», racconta Ezio Raccichini, ceo di GC group spa, «un’impresa familiare nata dalla visione del suo fondatore, Gianni Chiarini, oggi presidente e direttore creativo del brand». Con alcuni cambi di passo. «Nel 2017 è avvenuta la cessione del pacchetto di controllo al fondo di private equity 21 Invest, con l’obiettivo di rafforzare la struttura manageriale aziendale e avviare un percorso di internazionalizzazione del brand». Tante le borse Gianni Chiarini rimaste nel cuore: dalla mitica Marcella all’ultimissima Dua, che vede l’attrice Ambra Angiolini volto di questo progetto, a testimoniare ancora una volta il legame tra il brand e il mondo artistico. Ogni borsa firmata Gianni Chiarini Firenze è il frutto di un lavoro di qualità, evocativo dell’esperienza artigianale, della tradizione e conservazione dei valori del made in Italy: attenzione al design, produzione di eccellenza e sensibilità italiana.
VI siete posti obiettivi ambiziosi per quanto riguarda il fatturato.
«Archiviamo il 2023 con un fatturato nell’ordine dei 31 milioni, in crescita del 20% rispetto al 2022, e l’obiettivo è di mantenere uno sviluppo double digit anche per l’esercizio in corso. Una crescita organica che tocca significativamente tutti i canali di vendita, a partire dal wholesale (all’ingrosso, ndr), che oggi rappresenta circa l’80% del fatturato aziendale, passando per il retail con i flagship di Milano, Firenze e Tokyo, per chiudere con l’online, che ha performance più che triplicate rispetto al periodo prepandemia».
E per il futuro, dove volete arrivare?
«Nel breve vogliamo raggiungere un fatturato di 40 milioni, incrementando la quota export dall’attuale 45% al 60%, attraverso il consolidamento e lo sviluppo delle partnership strategiche, nonché tramite l’apertura di nuovi mercati. Miriamo al potenziamento delle collaborazioni con e-tailers (rivenditori online, ndr) e department store (grandi magazzini, ndr) che rappresentano a oggi il principale driver di crescita, anche mediante lo sviluppo di shop-in-shop e pop-up, come ad esempio quello inaugurato di recente a Parigi presso Le Bon Marché o quelli di prossima apertura a Tokyo, Vienna, e Marbella. Oltre al consolidamento del mercato domestico, puntiamo al rafforzamento della presenza nei principali mercati esteri già presidiati, Giappone ed area Dach (Germania, Austria e Svizzera, ndr) su tutti, guardando a nuove opportunità negli Stati Uniti ed in Asia».
Quali sono i valori della Gianni Chiarini?
«Il progetto ha radici molto profonde in quello che è il tessuto italiano in termini di cura dei dettagli e sensibilità nell’interpretazione del gusto e delle tendenze. Incarniamo i valori tipici dell’artigianato fiorentino, in una chiave contemporanea e moderna in cui l’attenzione alle forme, ai materiali e al design rappresentano i principali caratteri distintivi e di riconoscibilità».
C’è ricambio generazionale nel lavoro artigianale?
«Mi piacerebbe poter dire di sì, perché credo fortemente che l’artigianalità e l’innovazione siano elementi fondativi della nostra cultura e identità. Tuttavia, oggi, stiamo perdendo capacità ideativa e produttiva perché c’è scarso ricambio generazionale. Se pensiamo alle persone che frequentiamo sia in ambito professionale sia in ambito personale, troviamo raramente qualcuno che svolga o che sogni di intraprendere la professione di artigiano e questo purtroppo è un dato di fatto. Si tratta di un tema che va affrontato a livello di sistema Paese per non disperdere talenti e per tutelare quello che definiamo con orgoglio il “saper fare italiano”. Diversamente, rischiamo che l’artigianalità sia senza futuro».
Quali sono i problemi maggiori in un quadro economico generale non roseo e come loi affrontate?
«Onestamente non ricordo di aver mai affrontato sfide semplici nella mia carriera. La contrazione dei consumi è una criticità che va affrontata con attenzione e consapevolezza. È fondamentale mantenere la propria identità, non snaturare i propri valori e far leva su di essi per essere preferiti in un mercato altamente competitivo. Crediamo fermamente nel nostro progetto, nei nostri punti di forza e nei valori fondanti del brand che ci consentono oggi, in uno scenario non brillante, di archiviare una campagna vendite autunno-inverno 2024/25 in crescita del 15% rispetto alla contro-stagione».
Quanti dipendenti avete?
«Il nostro organico conta oggi 60 dipendenti nelle due sedi di Firenze e Milano oltre che nella rete vendita diretta». Quanti negozi e quanti clienti avete nel mondo?
«Serviamo circa mille retailer ed e-tailer nel mondo, ai quali si affiancano le nostre presenze dirette rappresentate da tre flagship store (quello storico di Firenze, a Milano via della Spiga e a Tokyo in area Ginza) oltre a 18 shop-in-shop dislocati tra Giappone, Taiwan, Spagna ed Italia. A questi si aggiunge il nostro e-commerce diretto che evidenzia dei tassi di crescita estremamente interessanti».





