2024-08-14
Il plasma avrebbe evitato 200.000 ricoveri
Il dottor Giuseppe De Donno, pioniere delle terapie anti Covid col plasma iperimmune, si suicidò il 27 luglio 2021 (Getty Images)
Uno studio italiano, uscito sulla rivista della Società europea di malattie infettive, prova l’efficacia della cura De Donno. Usandola massicciamente avremmo potuto salvare 60.000 pazienti gravi. Ma qualcuno era più interessato a tutelare il business di altri farmaci.Gentile direttore, l’argomento di cui parlo oggi è il mio solito: il plasma iperimmune. Dopo quattro anni dall’inizio della pandemia, possiamo tirare le conclusioni su parecchi temi e anche io, oramai, posso affrontare l’argomento in maniera più distaccata e obiettiva. Lo scopo? Quello di imparare dagli errori commessi per non ripeterli in futuro, in caso di nuove, temibili, pandemie. Il plasma iperimmune è stato il farmaco antivirale per il Covid più utilizzato e studiato in assoluto, con quasi 50 studi clinici randomizzati controllati (il massimo dal punto di vista del rigore scientifico) e milioni di sacche trasfuse in tutto il mondo. Come tutti i Paesi del mondo, anche l’Italia condusse, con il coordinamento dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), il proprio studio randomizzato: lo studio Tsunami. Appena ottenuti i risultati preliminari ad aprile 2021, Aifa rilasciò in pompa magna un comunicato stampa in italiano e in inglese (affinché fosse diffuso il più possibile!) sull’inefficacia del plasma iperimmune nei pazienti ricoverati con Covid-19. Questo proclama fu accolto con un sospiro di sollievo dalla gran parte del mondo accademico italiano (che probabilmente vedeva nel plasma un pericoloso competitor per altri antivirali), e da qual momento in poi solo pochissime sacche di plasma iperimmune sono state trasfuse in Italia. La pubblicazione completa dello studio Tsunami (avvenuta ben sette mesi dopo il comunicato stampa!) tuttavia riservò parecchie sorprese.Al di là di importanti limiti tecnici (disegno dello studio, dimensione del campione, eccetera) su cui non desidero tediarvi, lo studio aveva evidenziato importanti segnali di efficacia che avrebbero dovuto portare alla immediata conduzione da parte delle medesime istituzioni di uno studio rivolto alla valutazione dell’efficacia del plasma iperimmune nei pazienti con Covid-19 in fase iniziale e immunocompromessi. Dello studio, purtroppo, ad oggi neanche l’ombra. Il plasma è così rimasto un prodotto esclusivamente sperimentale, di nicchia, utilizzato solo nell’ambito dei pochissimi studi condotti in Italia e dopo lunghe trafile burocratiche autorizzative. Pensate che solamente il 2% dei pazienti ricoverati con Covid-19 nel nostro Paese è stato trattato con il plasma iperimmune, a differenza di circa il 40% negli Usa! Gli Usa, infatti, hanno supportato l’uso del plasma fin dall’inizio della pandemia, autorizzandone la trasfusione in emergenza negli ospedali americani (cioè, il plasma non era più considerato un prodotto sperimentale ma poteva essere utilizzato liberamente dai medici) e successivamente, in seguito ai risultati dello studio randomizzato americano nei pazienti non ricoverati (lo studio, ahimè, mai condotto in Italia), anche a livello ambulatoriale con lo scopo di bloccare la progressione della malattia evitando il ricovero ospedaliero (e la conseguente saturazione degli ospedali), e salvando così la vita al paziente. Autorevoli studi americani hanno inoltre dimostrato che nelle aree geografiche dove il plasma era stato utilizzato maggiormente, la mortalità era ridotta. Negli Usa sono stati trasfusi durante la pandemia oltre 500.000 pazienti (salvando quasi 70.000 vite) contro i poco più di 10.000 pazienti trasfusi in Italia!In Italia, dopo la tragica scomparsa del caro amico Giuseppe De Donno, siamo rimasti praticamente in due (io e il collega Daniele Focosi) a supportare e difendere l’utilizzo del plasma iperimmune. Abbiamo continuato la ricerca scientifica a fianco dei colleghi americani, dal momento che qui non era più possibile: assieme a loro abbiamo, ad esempio, dimostrato l’importanza dell’utilizzo precoce del plasma iperimmune, specialmente se somministrato nei pazienti non ricoverati e in quelli immunodepressi (che sono coloro che ancora oggi, nell’era della variante Omicron, sono a maggior rischio di gravi complicanze). Ma veniamo all’argomento principale di questa mia lettera.Io e Daniele, assieme ad alcuni colleghi italiani e americani, abbiamo da pochi giorni pubblicato sulla rivista ufficiale della Società europea di malattie infettive, una delle più importanti al mondo, Clinical microbiology and infection, i risultati di una metanalisi sull’uso del plasma iperimmune nei pazienti ricoverati per Covid-19. Si tratta di un lavoro estremamente rilevante, perché, oltre ad analizzare quasi 50 studi clinici randomizzati, dimostra per la prima volta e in maniera definitiva e inconfutabile che il plasma iperimmune riduce la mortalità anche nei pazienti ricoverati se viene utilizzato entro 8 giorni dall’inizio della malattia (cioè, dalla comparsa dei sintomi). Questo riscontro clinico ha una spiegazione biologica ben precisa: il plasma iperimmune è un potente prodotto biologico antivirale e in quanto tale ha la maggiore efficacia durante il periodo di massima replicazione virale, che sono appunto i primi 8 giorni dalla comparsa dei sintomi. A questo punto mi vengono in mente, con nostalgia e un po’ di amarezza, le parole profetiche che Giuseppe andava ripetendo come un mantra: «Trasfondi il plasma presto (cioè, appena il paziente è ricoverato) e bene (cioè con tanti anticorpi anti-Covid)». Aveva già capito tutto fin dall’inizio della pandemia. Io, Giuseppe e Daniele abbiamo lottato con le unghie e con i denti in questi anni, contro tutto e tutti, per ricercare la verità, per capire il ruolo che ha avuto il plasma iperimmune contro il Covid. L’abbiamo scoperto, finalmente, e oggi possiamo dire con certezza che ha avuto un ruolo importante. In Italia, purtroppo, non è stato mai considerato seriamente e il numero di pazienti trattati è stato irrisorio. Pensate che, se fosse stato maggiormente utilizzato, avrebbe potuto salvare fino a 60.000 pazienti ricoverati e, se fosse stato utilizzato a livello ambulatoriale, avrebbe potuto evitare fino a 200.000 ricoveri, riducendo la saturazione degli ospedali ed evitando ulteriori 80.000 morti (dati in pubblicazione)! A questo punto cosa chiedo? Niente, volevo solo informarvi di come la ricerca scientifica, onesta e indipendente, sul plasma sia andata avanti in questi anni arrivando a conclusioni importanti e definitive. Anzi, una cosa la chiedo: che la neonata Commissione Covid ascolti, in audizione, me e Daniele, e includa il plasma iperimmune nei futuri piani pandemici. Il precoce ed esteso utilizzo di questo prezioso e potente farmaco biologico antivirale contribuirà sicuramente a evitare l’ecatombe di 200.000 morti che l’Italia ha purtroppo registrato in questa pandemia. Scusate se è poco.*Direttore servizio di Immunoematologia e medicina trasfusionaleAsst Carlo Poma - Mantova
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