True
2022-12-22
Più ci si vaccina e più ci si contagia. L’Iss fischietta, all’estero indagano
Che l’incidenza delle infezioni da Covid tenda ad aumentare di pari passo con il numero di dosi ricevute è, ormai, stranoto. L’ultimo bollettino dell’Iss è cristallino: solo nella fascia 60-79 anni i contagi sono più frequenti tra chi si è fermato alla seconda punturina. Tra 12 e 39 anni e tra 40 e 59, i più esposti alla trasmissione del virus sono i tridosati; tra gli over 80, chi s’è sottoposto al primo booster viene colpito dal Sars-Cov-2 più spesso di chi lo ha rifiutato. La quarta dose da meno 120 giorni conferisce una protezione aggiuntiva, ma trascorsi quattro mesi, il tasso d’infezione schizza di nuovo.
Evidenze analoghe sono state riscontrate negli Usa. Con una differenza sostanziale, che riguarda l’atteggiamento degli scienziati. Da noi, l’ente guidato da Silvio Brusaferro sta ignorando il fenomeno. Fino a un mesetto fa, giustificava la bizzarria alludendo a una «sottonotifica delle diagnosi nella popolazione non vaccinata e vaccinata da oltre 120 giorni», senza chiarire perché chi è meno al passo con i richiami, o ha respinto la profilassi, sarebbe meno propenso degli «obbedienti» a denunciare la propria positività. Nelle settimane successive, dai report di Epicentro, è sparita anche questa criptica didascalia.
Al contrario, sull’altra sponda dell’Atlantico, i ricercatori sono sorpresi dal constatare che più ci si vaccina, più ci si contagia. E s’interrogano. Gli autori di un preprint, appena pubblicato online, definiscono la suddetta correlazione «inattesa». Ingenui: credono che il concetto di vaccino implichi il blocco della diffusione della malattia…
I cinque studiosi hanno misurato la (modesta: 30%) efficacia del nuovo bivalente contro Omicron, monitorando, fino al 12 dicembre, oltre 50.000 impiegati del Cleveland clinic, un centro medico universitario che sorge nell’omonima città dell’Ohio. Il gruppo è rimasto colpito, poiché «maggiore è il numero di dosi vaccino precedentemente ricevute, maggiore è il rischio» di contrarre il Covid. I cinque vanno in cerca di una spiegazione: «Quella semplicistica può essere che coloro che hanno ricevuto più dosi avevano più probabilità di essere individui a maggior rischio». Un’ipotesi sensata: è logico che i fragili e gli anziani mostrino più premura di porgere il braccio per schermarsi dal coronavirus. La teoria, tuttavia, non regge: «La maggior parte dei soggetti di questi studio», scrivono i ricercatori, era in genere composta di «giovani e tutti erano candidati ad aver ricevuto almeno tre dosi».
Chi era rimasto senza booster, quindi, aveva deciso di «non seguire le raccomandazioni dei Cdc» e poteva essere il tipo di persona più incline ad assumere comportamenti che moltiplicavano le sue chance di esporsi al virus.
Invece, sorpresa: «Il rischio di contrarre il Covid-19 era inferiore rispetto a quello di chi aveva ricevuto un maggior numero di precedenti dosi di vaccino».
Anche altri studi - e una sfilza di bollettini Iss, appunto - confermano il trend. Il problema è sempre il solito: ciò che in Italia passa inosservato, o si maschera arrampicandosi sugli specchi, all’estero lo prendono piuttosto sul serio.
Il team di Cleveland aveva riscontrato persino che, dopo la guarigione, la somministrazione di due o tre shot del farmaco a mRna «era associata con un maggior rischio di reinfezione rispetto alla somministrazione di una dose singola».
Un altro recente preprint, stavolta basato su rilevazioni condotte in Qatar fino a metà settembre, arrivava a conclusioni altrettanto eloquenti: «Una storia di vaccinazione primaria», cioè le due dosi che ci erano state propinate all’inizio della campagna di inoculazioni, «ha accresciuto la protezione immunitaria contro la reinfezione da Omicron». Al contrario, «una storia di vaccinazione booster ha compromesso» - sottolineiamo, compromesso - «la protezione contro» un secondo contagio da variante sudafricana. Saremmo dinanzi a una sorta di interferenza con l’immunità naturale? Oppure è tutta una coincidenza? Un’illusione, figlia di distorsioni che sfuggono ai metodi statistici?
Poniamo che le cose stiano davvero come sembrano: più ti fai punzecchiare, più ti contagi - e ti ricontagi. Non occorre essere immunologi per farsi cogliere dal sospetto che siano proprio le iniezioni a innescare un meccanismo paradossale: in ogni fascia di età, i vaccinati a vario titolo sono più protetti da ricoveri e morte, rispetto ai non vaccinati. Eppure, i loro anticorpi, così efficaci nel contrastare le forme gravi di Covid, paiono perdere la capacità di limitare le infezioni, man mano che si va avanti con i booster.
È una fesseria? Può darsi. Ma se domandare è lecito, in situazioni simili, rispondere è un dovere. Tanto più che, a tirare in ballo questa idea, non siamo noi profani. È un luminare dalle credenziali accademiche inattaccabili: Mariano Bizzarri. Cinque giorni fa, il prof della Sapienza, sulla Verità, annotava: «Il continuo richiamo vaccinale ha verosimilmente compromesso in tanti casi il sistema immunitario», insieme alle «misure di protezione fisica (lockdown e mascherina)». Se fosse così, qualcuno dovrebbe chiedere scusa. O, almeno, qualificare gli appelli alla quarta dose: per una vastissima fetta di popolazione, la giostra delle inoculazioni potrebbe essere diventata addirittura controproducente.
È complottismo? Suvvia. È più negazionista chi chiede spiegazioni, o chi prova a nascondere sotto al tappeto la polvere di vaccino?
Multe, se ricevute si rischia la mora
Mentre si attende che anche la Camera, entro il prossimo 29 dicembre, dia il via libero al congelamento delle multe per gli over 50 non vaccinati, le cartelle esattoriali continuano ad arrivare ai cittadini che al 15 giugno 2022 non erano in regola con il ciclo anti Covid.
Tra i destinatari di questo iniquo balzello, fortissimamente voluto dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, e sostenuto dall’allora governo Draghi, c’è anche la signora Maria di Busseto, provincia di Parma. Tra meno di un mese festeggerà gli 89 anni senza malattie e senza essersi mai presa il virus cinese, ma dovrebbe pagare la sanzione perché ha rifiutato la terza puntura.
«Mia mamma non esce mai di casa, si è fatta somministrare due dosi nell’aprile 2021, poi ha detto basta», racconta il figlio Mario. «Non è stata una scelta facile, ogni giorno gli anziani venivano terrorizzati dai telegiornali, ma ha resistito. L’unico richiamo che accetta è quello dell’antinfluenzale».
La signora pensava di aver raggiunto l’età per poter decidere quanto preoccuparsi della sua salute, invece una settimana fa le è stata recapitata una delle tante Caps, comunicazioni di avvio del procedimento sanzionatorio, che dallo scorso aprile sono effettuate dal ministero della Salute tramite l’Agenzia entrate e riscossioni.
Ha tempo dieci giorni, per inviare eventuali certificati di completamento del richiamo o di esenzione dall’obbligo, poi le arriverà «un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo». Come prevedeva il decreto legge del 1 aprile 2021, poi convertito in legge nel maggio dello stesso anno.
E qui rimane irrisolta la questione, sull’obbligo di pagare la sanzione, per chi si è già visto recapitare l’addebito della somma. Infatti, se l’emendamento approvato dal Senato che sospende fino al 30 giugno 2023 «le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione», ricevesse il «sì» anche della Camera, riguarderebbe solo i procedimenti «dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Quindi dal 29 dicembre, quando le cartelle esattoriali saranno già state notificate a quasi tutti gli over 50 non vaccinati, da punire. «A questi soggetti non rimarrà altra scelta che ricorrere al giudice di pace, con relativi ulteriori costi, se non vorranno correre il rischio di vedere consolidata irrimediabilmente a proprio carico la richiesta sanzionatoria», commenta l’avvocato Mauro Franchi.
Ma c’è un altro problema. «L’emendamento sospende la prima fase», quella della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, spiega il legale. La fase dei Caps, per capirci, inviati perlopiù già nei mesi scorsi. «Ma ricevere la cartella di pagamento vuol dire che il procedimento di irrogazione sanzione si è perfezionato», cioè si è concluso. «Occorreva, quindi, prevedere anche la sospensione dei termini processuali per l’opposizione giudiziaria, e non solo quelli del procedimento amministrativo».
A quel punto, sia che si decida di non pagare, sia che si pensi di non ricorrere al giudice di pace, il rischio è che tra un paio di mesi possa arrivare dall’Agenzia un avviso di mora. Sarà troppo tardi per rivolgersi al giudice di pace, azione che andava fatta entro 30 giorni dalla data di notifica.
«Come avvocati di diverse parti d’Italia, riuniti nel sindacato d’Azione, abbiamo mandato una pec al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, perché nella sospensione sino al prossimo 30 giugno siano compresi anche i termini processuali per ricorrere avanti al giudice di pace, evitando un inutile aggravio di costi», precisa Franchi.
I tempi sono molto ristretti, difficilmente si potrà intervenire prima che il ddl 274 approdi alla Camera, per questo gli avvocati chiedono che almeno la relazione del governo di accompagnamento «indichi chiaramente che devono considerarsi sospesi anche i termini processuali». Resta, in ogni caso, lo smacco per tutti coloro che avranno ricevuto la cartella prima della conversione in legge.
Continua a leggereRiduci
Uno studio Usa ribadisce che le infezioni sono più frequenti tra chi ha tre dosi rispetto ai soggetti con meno richiami, anche tra i giovani. Ma, a differenza dell’istituto italiano, i ricercatori stranieri si interrogano.Gli over 50 a cui è già stato recapitato l’avviso della sanzione dovranno rivolgersi al giudice di pace, poiché il procedimento risulta concluso. Il governo può intervenire.Lo speciale contiene due articoliChe l’incidenza delle infezioni da Covid tenda ad aumentare di pari passo con il numero di dosi ricevute è, ormai, stranoto. L’ultimo bollettino dell’Iss è cristallino: solo nella fascia 60-79 anni i contagi sono più frequenti tra chi si è fermato alla seconda punturina. Tra 12 e 39 anni e tra 40 e 59, i più esposti alla trasmissione del virus sono i tridosati; tra gli over 80, chi s’è sottoposto al primo booster viene colpito dal Sars-Cov-2 più spesso di chi lo ha rifiutato. La quarta dose da meno 120 giorni conferisce una protezione aggiuntiva, ma trascorsi quattro mesi, il tasso d’infezione schizza di nuovo. Evidenze analoghe sono state riscontrate negli Usa. Con una differenza sostanziale, che riguarda l’atteggiamento degli scienziati. Da noi, l’ente guidato da Silvio Brusaferro sta ignorando il fenomeno. Fino a un mesetto fa, giustificava la bizzarria alludendo a una «sottonotifica delle diagnosi nella popolazione non vaccinata e vaccinata da oltre 120 giorni», senza chiarire perché chi è meno al passo con i richiami, o ha respinto la profilassi, sarebbe meno propenso degli «obbedienti» a denunciare la propria positività. Nelle settimane successive, dai report di Epicentro, è sparita anche questa criptica didascalia. Al contrario, sull’altra sponda dell’Atlantico, i ricercatori sono sorpresi dal constatare che più ci si vaccina, più ci si contagia. E s’interrogano. Gli autori di un preprint, appena pubblicato online, definiscono la suddetta correlazione «inattesa». Ingenui: credono che il concetto di vaccino implichi il blocco della diffusione della malattia… I cinque studiosi hanno misurato la (modesta: 30%) efficacia del nuovo bivalente contro Omicron, monitorando, fino al 12 dicembre, oltre 50.000 impiegati del Cleveland clinic, un centro medico universitario che sorge nell’omonima città dell’Ohio. Il gruppo è rimasto colpito, poiché «maggiore è il numero di dosi vaccino precedentemente ricevute, maggiore è il rischio» di contrarre il Covid. I cinque vanno in cerca di una spiegazione: «Quella semplicistica può essere che coloro che hanno ricevuto più dosi avevano più probabilità di essere individui a maggior rischio». Un’ipotesi sensata: è logico che i fragili e gli anziani mostrino più premura di porgere il braccio per schermarsi dal coronavirus. La teoria, tuttavia, non regge: «La maggior parte dei soggetti di questi studio», scrivono i ricercatori, era in genere composta di «giovani e tutti erano candidati ad aver ricevuto almeno tre dosi». Chi era rimasto senza booster, quindi, aveva deciso di «non seguire le raccomandazioni dei Cdc» e poteva essere il tipo di persona più incline ad assumere comportamenti che moltiplicavano le sue chance di esporsi al virus. Invece, sorpresa: «Il rischio di contrarre il Covid-19 era inferiore rispetto a quello di chi aveva ricevuto un maggior numero di precedenti dosi di vaccino». Anche altri studi - e una sfilza di bollettini Iss, appunto - confermano il trend. Il problema è sempre il solito: ciò che in Italia passa inosservato, o si maschera arrampicandosi sugli specchi, all’estero lo prendono piuttosto sul serio. Il team di Cleveland aveva riscontrato persino che, dopo la guarigione, la somministrazione di due o tre shot del farmaco a mRna «era associata con un maggior rischio di reinfezione rispetto alla somministrazione di una dose singola». Un altro recente preprint, stavolta basato su rilevazioni condotte in Qatar fino a metà settembre, arrivava a conclusioni altrettanto eloquenti: «Una storia di vaccinazione primaria», cioè le due dosi che ci erano state propinate all’inizio della campagna di inoculazioni, «ha accresciuto la protezione immunitaria contro la reinfezione da Omicron». Al contrario, «una storia di vaccinazione booster ha compromesso» - sottolineiamo, compromesso - «la protezione contro» un secondo contagio da variante sudafricana. Saremmo dinanzi a una sorta di interferenza con l’immunità naturale? Oppure è tutta una coincidenza? Un’illusione, figlia di distorsioni che sfuggono ai metodi statistici? Poniamo che le cose stiano davvero come sembrano: più ti fai punzecchiare, più ti contagi - e ti ricontagi. Non occorre essere immunologi per farsi cogliere dal sospetto che siano proprio le iniezioni a innescare un meccanismo paradossale: in ogni fascia di età, i vaccinati a vario titolo sono più protetti da ricoveri e morte, rispetto ai non vaccinati. Eppure, i loro anticorpi, così efficaci nel contrastare le forme gravi di Covid, paiono perdere la capacità di limitare le infezioni, man mano che si va avanti con i booster. È una fesseria? Può darsi. Ma se domandare è lecito, in situazioni simili, rispondere è un dovere. Tanto più che, a tirare in ballo questa idea, non siamo noi profani. È un luminare dalle credenziali accademiche inattaccabili: Mariano Bizzarri. Cinque giorni fa, il prof della Sapienza, sulla Verità, annotava: «Il continuo richiamo vaccinale ha verosimilmente compromesso in tanti casi il sistema immunitario», insieme alle «misure di protezione fisica (lockdown e mascherina)». Se fosse così, qualcuno dovrebbe chiedere scusa. O, almeno, qualificare gli appelli alla quarta dose: per una vastissima fetta di popolazione, la giostra delle inoculazioni potrebbe essere diventata addirittura controproducente. È complottismo? Suvvia. È più negazionista chi chiede spiegazioni, o chi prova a nascondere sotto al tappeto la polvere di vaccino?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piu-ci-si-vaccina-e-piu-ci-si-contagia-liss-fischietta-allestero-indagano-2658998224.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="multe-se-ricevute-si-rischia-la-mora" data-post-id="2658998224" data-published-at="1671693653" data-use-pagination="False"> Multe, se ricevute si rischia la mora Mentre si attende che anche la Camera, entro il prossimo 29 dicembre, dia il via libero al congelamento delle multe per gli over 50 non vaccinati, le cartelle esattoriali continuano ad arrivare ai cittadini che al 15 giugno 2022 non erano in regola con il ciclo anti Covid. Tra i destinatari di questo iniquo balzello, fortissimamente voluto dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, e sostenuto dall’allora governo Draghi, c’è anche la signora Maria di Busseto, provincia di Parma. Tra meno di un mese festeggerà gli 89 anni senza malattie e senza essersi mai presa il virus cinese, ma dovrebbe pagare la sanzione perché ha rifiutato la terza puntura. «Mia mamma non esce mai di casa, si è fatta somministrare due dosi nell’aprile 2021, poi ha detto basta», racconta il figlio Mario. «Non è stata una scelta facile, ogni giorno gli anziani venivano terrorizzati dai telegiornali, ma ha resistito. L’unico richiamo che accetta è quello dell’antinfluenzale». La signora pensava di aver raggiunto l’età per poter decidere quanto preoccuparsi della sua salute, invece una settimana fa le è stata recapitata una delle tante Caps, comunicazioni di avvio del procedimento sanzionatorio, che dallo scorso aprile sono effettuate dal ministero della Salute tramite l’Agenzia entrate e riscossioni. Ha tempo dieci giorni, per inviare eventuali certificati di completamento del richiamo o di esenzione dall’obbligo, poi le arriverà «un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo». Come prevedeva il decreto legge del 1 aprile 2021, poi convertito in legge nel maggio dello stesso anno. E qui rimane irrisolta la questione, sull’obbligo di pagare la sanzione, per chi si è già visto recapitare l’addebito della somma. Infatti, se l’emendamento approvato dal Senato che sospende fino al 30 giugno 2023 «le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione», ricevesse il «sì» anche della Camera, riguarderebbe solo i procedimenti «dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Quindi dal 29 dicembre, quando le cartelle esattoriali saranno già state notificate a quasi tutti gli over 50 non vaccinati, da punire. «A questi soggetti non rimarrà altra scelta che ricorrere al giudice di pace, con relativi ulteriori costi, se non vorranno correre il rischio di vedere consolidata irrimediabilmente a proprio carico la richiesta sanzionatoria», commenta l’avvocato Mauro Franchi. Ma c’è un altro problema. «L’emendamento sospende la prima fase», quella della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, spiega il legale. La fase dei Caps, per capirci, inviati perlopiù già nei mesi scorsi. «Ma ricevere la cartella di pagamento vuol dire che il procedimento di irrogazione sanzione si è perfezionato», cioè si è concluso. «Occorreva, quindi, prevedere anche la sospensione dei termini processuali per l’opposizione giudiziaria, e non solo quelli del procedimento amministrativo». A quel punto, sia che si decida di non pagare, sia che si pensi di non ricorrere al giudice di pace, il rischio è che tra un paio di mesi possa arrivare dall’Agenzia un avviso di mora. Sarà troppo tardi per rivolgersi al giudice di pace, azione che andava fatta entro 30 giorni dalla data di notifica. «Come avvocati di diverse parti d’Italia, riuniti nel sindacato d’Azione, abbiamo mandato una pec al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, perché nella sospensione sino al prossimo 30 giugno siano compresi anche i termini processuali per ricorrere avanti al giudice di pace, evitando un inutile aggravio di costi», precisa Franchi. I tempi sono molto ristretti, difficilmente si potrà intervenire prima che il ddl 274 approdi alla Camera, per questo gli avvocati chiedono che almeno la relazione del governo di accompagnamento «indichi chiaramente che devono considerarsi sospesi anche i termini processuali». Resta, in ogni caso, lo smacco per tutti coloro che avranno ricevuto la cartella prima della conversione in legge.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci