2021-02-05
La pista gay nell’inchiesta su Mps. Il pm: temo di danneggiare il Pd
Un gigolò e un avvocato testimoni di «rapporti omosessuali» nel filone sul misterioso suicidio di David Rossi. Intercettato il magistrato titolare del fascicolo: «Se i dem vanno male alle elezioni, mi sentirò responsabile».Le intercettazioni e le chat di Luca Palamara offrono uno spaccato della magistratura sconfortante. Un libro nero che ogni giorno si arricchisce di nuovi capitoli, anche autonomi rispetto alla vicenda dell'ex presidente dell'Anm. Uno degli ultimi paragrafi è stato scritto a Genova e riguarda l'inchiesta sul controverso suicidio dell'ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena David Rossi. Gli aspetti nascosti di quell'indagine stanno emergendo piano piano grazie alla testardaggine della famiglia dell'ex manager, assistita dagli avvocati Carmelo Miceli e Paolo Pirani.I magistrati liguri nel 2017 hanno aperto un fascicolo per abuso d'ufficio contro ignoti, dopo che l'ex sindaco di Siena Pierlugi Piccini aveva collegato le lacunose indagini sulla morte di Rossi a festini hard. Ma le toghe genovesi non hanno iscritto nessun collega sul registro degli indagati, non ritenendo plausibili le accuse. Ci ha pensato il gip Maria Franca Borzone a smontare le loro certezze. Infatti ha scritto che uno dei due gigolò testimoni, M. B., «ha reso dichiarazioni sufficientemente precise […] sebbene […] esse possano valere […] solo a fini di responsabilità disciplinare». Il giovanotto avrebbe riconosciuto come «persone viste ai festini» un carabiniere e due magistrati all'epoca di stanza a Siena, N. M. e, per due volte, A. N., ex uditore di Palamara. L'escort aveva individuato N. come «bancario», perché così lo aveva sentito definire da altri ragazzi. Ma se queste sono dichiarazioni tutte da verificare, c'è un altro importante testimone che in qualche modo riporta il tema dell'omosessualità dentro al fascicolo. È l'avvocato Nicola Mini, per qualche giorno difensore del pm N., quando questi venne indagato a Viterbo per rivelazione del segreto istruttorio. Mini non è un legale qualsiasi: è stato presidente dell'ordine degli avvocati di Siena per 8 anni, vice per 4 e per 6 ha fatto il tesoriere.A Genova ha dichiarato: «I rapporti con la Procura in quel periodo erano buoni. Nel giugno del 2013 o 2014 venni chiamato dal Procuratore (di Siena, ndr) Tito Salerno, che mi disse che la Procura di Viterbo aveva indagato il sostituto N., il quale intendeva nominarmi suo difensore e rendere un immediato interrogatorio; a N. venivano contestati episodi di violazione di segreto d'ufficio per aver rivelato circostanze dell'indagine Monte Paschi a un avvocato di Perugia (in realtà di Viterbo, ndr) che era intercettato; la difesa venne impostata sul fatto che gli elementi rivelati erano già pubblici ed ebbe successo tanto che la posizione del mio assistito fu archiviata. Però durante la telefonata con l'avvocato […] i due avevano parlato di vari argomenti, tra cui anche di sesso. Nel corso dell'interrogatorio il procuratore di Viterbo contestava infatti a N. queste circostanze pur non essendo oggetto di indagine e non essendo trascritte. Contestava al mio assistito di aver parlato di rapporti omosessuali e ricordo che il dottor N. piangeva e diceva: “Mi vergogno"».Le parole del legale hanno fatto maturare all'interno della famiglia il sospetto che dietro agli errori nelle indagini e all'archiviazione del fascicolo per istigazione al suicidio di Rossi ci possano essere presunti legami con i festini.Nel verbale stilato dal pm viterbese Massimiliano Siddi gli argomenti citati da Mini non figurano. Il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma taglia corto: «Non consta nessuna anomalia nel verbale e ancora meno alcuna omissione di verbalizzazione. Le intercettazioni che interessavano quel processo sono state trascritte e trasmesse in Liguria».Mini con La Verità puntualizza: «Il mio verbale di Genova riporta molte cose, ma non tutto. Ho parlato con i due pm per un'ora e 25 minuti e gli inquirenti sono stati estremamente sintetici». Allora come sono andati i fatti? «Io non ho letto l'intercettazione, ma ho visto la trascrizione in mano al dottor N.. Riguardo ai rapporti omosessuali ho tratto questo ricordo dal poco che ho letto e dalle parole del pm Siddi. Rammento che diceva frasi come: “Ti rendi conto? Anche questo…". N. si è messo a piangere sulla mia spalla, in conseguenza dell'intera situazione. Ebbi l'impressione che fosse amareggiato soprattutto perché da inquisitore si era trovato inquisito». Mini non ha, però, sentito citare «in alcun modo» i festini: «Esplicitamente nessuno ha parlato di amori omosessuali. Però quell'argomento era nell'aria e venne fuori a mezze parole».La Procura di Viterbo ha trasmesso a Genova tre trascrizioni di altrettante conversazioni avvenute tra il 19 e il 25 febbraio 2013. N. era stato registrato mentre parlava con un amico di infanzia, l'avvocato Samuele De Santis. In quel momento il legale era sotto intercettazione essendo indagato in un procedimento per estorsione (per cui è attualmente imputato). De Santis ci risponde con grande disponibilità: «Ricordo quelle telefonate. Io ero a letto con mia moglie e mio figlio, quindi gli argomenti non potevano essere particolarmente scabrosi. È anche vero che io e lui nelle nostre lunghissime telefonate parliamo di tutto. A volte ci confrontavamo su questioni di lavoro, senza però che ci fossero rivelazioni di segreto, e spesso mi faceva confidenze anche su questioni sentimentali. Ma mai mi ha parlato di festini, la sfido a trovare una sola intercettazione in cui compaia quell'argomento». Mini, a verbale, ha parlato di «rapporti omosessuali». «Questa è un'altra questione, ma si tratta di temi di grande delicatezza e riservatezza». L'avvocato viterbese esclude, però, totalmente che l'amico possa essere finito in brutti giri: «Collegare un ottimo professionista come il mio amico a dei festini è indegno. Non è un magistrato ricattabile, è la persona più ligia al dovere che io conosca, non è condizionabile da fattori personali. Se ha fatto degli errori nella conduzione delle indagini lo ha fatto per inesperienza. Nessuno dice che quando andò a Siena a occuparsi di Mps era al suo primo mandato da magistrato. Se l'indagine non ha portato a dei risultati non vuol dire che dietro ci sia stata una regia. Scavando potranno trovare solo qualche errore». E le intercettazioni a sfondo sessuale? «Ritengo che da Viterbo avrebbero fatto bene a trasmettere, soprattutto per quello che riguarda alcuni aspetti, una versione integrale di quegli audio per evitare pericolose speculazioni. La strada seguita dalla difesa della famiglia è stata aperta dal troppo non detto che c'è in questa storia, magari dovuto al tentativo di tutelare la libertà sessuale personale che in questo Paese può compromettere la carriera».Nelle intercettazioni depositate il magistrato mostrava di temere che l'inchiesta Mps potesse avere delle ricadute negative sul Pd a pochi giorni dalle elezioni legislative che avrebbero visto trionfare a sorpresa i 5 stelle con il 25 per cento dei consensi.Il 19 febbraio 2013 erano state effettuate alcune perquisizioni, una nell'ufficio di Rossi. De Santis chiede all'amico se abbiano una gola profonda e la risposta di N. è affermativa: «Può servi' per ricostruire l'operazione». Poi discutono del pasticcio dell'acquisizione di Antonveneta da parte di Mps. N. la definisce «operazione scellerata» e aggiunge: «Lì ci rimane soltanto da capire l'input chi l'ha dato, se c'è stato un input dall'alto».De Santis a questo punto sposta l'argomento sulle elezioni del 24-25 febbraio: «Me sa che io stavolta non voto, mo' m'hanno rotto il cazzo». N.: «Eh! Mo' tutti così! Oh non va a vota' nessuno». De Santis: «Eh ho capito, ma che voti oh? Eh, cioè, è veramente da ride'». N.: «Ingroia non se po' vota' perché… (inc)». I due amici hanno fatto politica insieme. «Abbiamo militato nella Sinistra giovanile (i ragazzi dell'ex Pds, ndr)» ci conferma De Santis. «Nel 1994 quando Berlusconi divenne presidente del Consiglio l'Italia si divise in due tra chi appoggiava Forza Italia e chi stava dall'altra parte. E noi, come la migliore gioventù dell'epoca, ci interessavamo di politica». Avevano 18 e 19 anni.Quasi vent'anni dopo, nel 2013, De Santis dice all'amico al telefono: «Io come al solito voterò Pd alla fine». N. fa riferimento a due candidati dem: «Grasso che fa? Al Senato candidato? […] la Donatella Ferranti c'è ancora? Lei non era male, eh?». Poi commenta un po' amaro: «Comunque se perde il Pd mi sentirò un po' moralmente responsabile eh…». De Santis prova a rincuorarlo: «Forse lì a Siena […] forse il Pd ha perso 2 o 3 punti […] ma non di più […] ma tanto il Pd in questa campagna elettorale è inesistente, eh». N. domanda perché. De Santis risponde: «Perché pensa che se parla perde voti e secondo me fa bene […] questa tornata elettorale in teoria dovrebbe essere positiva per il Pd». N.: «Sì lo era, all'inizio, […] quando Berlusconi non era più nessuno». De Santis: «Ma che ha detto Berlusconi, su». N.: «Oh che ha detto! Condono per tutti […] impignorabilità della prima casa, impignorabilità dei beni dell'azienda… che cazzo ha detto? Poi eh via Equitalia… cioè... mo' ci regala un set di pentole […] Però qualcuno gli crede». De Santis: «Le vecchiette può darsi…». N.: «[…] ieri sembrava indemoniato, l'ho visto a un servizio adesso, stava su La7, ho girato per non vederlo». Infine N. si lamenta per un titolo di giornale: «Repubblica ha titolato la mazzetta da due miliardi al Pd… io non lo so dove caz… due miliardi di euro, cioè una mazzet... roba che se trovavo una mazzetta da due miliardi di euro mi facevano Presidente della Repubblica perché chi cazzo l'ha mai trovata una mazzetta…». Il pm sembra davvero preoccupato: «Ma Repubblica, non è che stamo a parla' del Corriere de Siena, ha titolato sulla mazzetta da due miliardi e dopo gli so' andati dietro tutti i telegiornali […] secondo me a 'sto punto Repubblica appoggia Monti…».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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