2021-09-26
Piazze no pass strapiene, anche di poliziotti
Migliaia di manifestanti in 60 città d'Italia, da Roma a Trieste, per contestare il certificato verde. Presenti a titolo personale molti agenti, che usciranno allo scoperto il 6 ottobre con il sit in del sindacato Cosap. Momenti di tensione in piazza Duomo a Milano.«Premetto che non siamo né pro né contro il vaccino, quello che più ci interessa tutelare è la totale libertà vaccinale. Poliziotti e cittadini si devono sentire liberi». Esordisce così il segretario generale del Cosap (Coordinamento sindacale appartenenti polizia), Sergio Scalzo. La sua organizzazione non ha ufficialmente aderito, per «evitare di essere strumentalizzata», alla manifestazione di piazza San Giovanni a Roma, che insieme ad altre città (60 in tutto) ha di nuovo protestato contro il decreto legge del governo sul certificato verde, che a partire dal 15 ottobre sarà esteso a tutto il mondo del lavoro. A fianco della Basilica, nel tradizionale luogo di ritrovo di cortei politici e del concertone, erano in migliaia. «Con il green pass il governo non obbliga ma comprime la libertà personale di ciascuno di noi, dato che dobbiamo esibire il certificato verde ogni volta che viaggiamo, e addirittura per lavorare». Qual è il clima che si respira tra gli agenti di polizia? «Abbiamo visto colleghi, potrei accennare a diversi casi ma qui segnalo solo quanto avvenuto a Bari, che invece di mangiare normalmente alla mensa erano costretti a consumare il loro pasto sui muretti delle caserme e delle questure. Una situazione che offende la dignità dell'individuo». Il concetto di dignità ricorre spesso nelle affermazioni di Scalzo. «Ieri sera ho parlato fino a tarda notte con un collega di 56 anni che non vuole fare assolutamente il vaccino, però è molto preoccupato per la propria situazione familiare perché se dovesse pagare circa 250 euro di tamponi al mese non saprebbe come sfamare i propri cari». E ancora: «La nostra proposta è l'istituzionalizzazione dei tamponi gratuiti: nella busta paga mensile di un poliziotto, che si aggira tra i 1.600 e i 1.700 euro, c'è infatti una voce dedicata al fondo assistenza, dove viene versata da ciascuno di noi una piccola somma. Quindi quel denaro custodito dal fondo potrebbe essere utilizzato per l'acquisto dei test, così facendo non sarebbero a carico del lavoratore».Sono le numerose contraddizioni che ruotano attorno al green pass a lasciare perplessi tanti agenti di polizia. «Per esempio», si domanda dubbioso Scalzo, «come si deve comportare il collega al quale è appena scaduto il green pass che nel frattempo si trova in una situazione di emergenza? Se un ladro sta compiendo un furto, il poliziotto in questione deve agire, magari andando oltre il proprio orario di lavoro. Può fare il suo dovere o viola il decreto sul lasciapassare? Ma occorre tenere soprattutto presente e ricordare che se il collega in tale circostanza non agisse, si potrebbe configurare il reato di omissione di atti di ufficio». Con una battuta amara Scalzo commenta: «Al ladro, al molestatore, al truffatore rispondo «di delinquere non appena rinnovo il green pass. Deve essere chiaro che il nostro è un lavoro sempre in emergenza».Come detto, ieri alla manifestazione di piazza San Giovanni a Roma gli iscritti al Cosap erano presenti solo a titolo individuale, ma la sigla sindacale ha indetto un sit in per il prossimo 6 ottobre di fronte al palazzo del Viminale, sede del ministero dell'Interno. «Tutto è nato per le lamentele dei colleghi. A oggi un poliziotto che non è vaccinato o tamponato non verrà pagato. Ciò non mi sembra corretto, in quanto credo che la libertà altrui debba essere tutelata. Il lavoro è un diritto fondamentale della nostra Costituzione e la sua sicurezza è disciplinata dalla legge 81/08. L'età media in polizia è di 46/47 anni, mi domando come faranno nei prossimi mesi, a partire dal 15 ottobre, i tanti colleghi che hanno il mutuo da pagare. Così si rischia di mettere in ginocchio i lavoratori».Erano migliaia in piazza San Giovanni, tra i tanti partecipanti nugoli di sostenitori di alcuni candidati sindaci per la Capitale. Senza dubbio la maggior parte delle bandiere apparteneva al Movimento delle 3V. Secondo i presenti circa un migliaio di loro fa parte delle forze di polizia. Dopo qualche minuto incrociamo una mezza dozzina di Vigili del fuoco. Chiediamo loro perché siano contro il green pass e una foto. Alla prima domanda neanche rispondono, sulla seconda il «no» è categorico. Poco dopo blocchiamo un signore con un piccolo cartello sul quale c'è scritto: «Ps Veneto», l'uomo conferma di appartenere alla polizia di Stato, ma nonostante la garanzia di anonimato declina ogni domanda. Incrociamo anche Giulia, 35 anni, maestra di scuola: «Il mio lavoro me lo sono guadagnato con ore di sacrificio. Non è giusto che mi venga tolto lo stipendio, anche perché non mi hanno inflitto alcuna sanzione disciplinare che motivi la sospensione del salario». Oltre ai tanti contrari al green pass, erano presenti pure molti no vax, tra loro Matilde: «Visto che non c'è l'obbligo di vaccinarsi io posso scegliere se farlo. E io oggi ho scelto di non farlo». Nel frattempo dal palco una donna, titolare di partita Iva, arringa la folla: «Tutti i grandi cambiamenti della storia non sono originati dalle masse di creduloni». Il clima si fa più rovente: «Organizziamoci e cacciamo via l'attuale inquilino di Palazzo Chigi».Non solo Roma nella giornata di ieri, ma decine di piazze gremite. Sia nelle grandi città come Milano e Napoli, sia in piccoli centri come Bassano del Grappa e Francavilla al mare. Nel capoluogo lombardo durante la decima adunata consecutiva (tutte svoltesi di sabato) si sono registrati scontri: i manifestanti hanno sfondato il cordone di sicurezza che impediva l'accesso a piazza Duomo. Inevitabile la reazione delle forze dell'ordine che hanno tentato di respingere i facinorosi con diverse cariche. Una parte del corteo è comunque riuscita a raggiungere il retro della Cattedrale, qui ci sono stati altri tafferugli e un manifestante è rimasto leggermente ferito alla testa. Di tutt'altro tono la manifestazione andata in scena a Trieste, dove migliaia di persone hanno sfilato per le vie del centro, mostrando slogan e cartelli che invocavano «libertà di scelta», rispetto alla certificazione verde e «no alle dittature sanitarie».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)