2024-07-18
Il piano Mattei fa un passo in Libia. Ma le Ong mettono i bastoni tra le ruote
Giorgia Meloni a Tripoli (Ansa)
La Meloni a Tripoli per bloccare gli sbarchi. E mentre gli arrivi scendono del 60%, i recuperi di Casarini e soci s’impennano.«I migranti illegali sono nemici di quelli legali». Vaglielo a spiegare ai galantuomini che solcano i mari: dalla tedesca Sea Watch, già comandata da Carola Rackete, la speronatrice navale che s’è appena accomodata al parlamento europeo, a Mediterranea di Luca Casarini, ex no global in odor di santità. Giorgia Meloni vola a Tripoli per partecipare al forum Trans-Mediterraneo, e il vertice viene inondato di minacce e insulti, proferiti dalle più agguerrite Ong in circolazione. Andiamo con ordine, comunque. È l’ennesima missione in Libia per la premier. Considera imprescindibile stringere rapporti sempre più amichevoli con i Paesi del Nord Africa. Spiega: non possono essere le organizzazioni criminali a «decidere chi ha diritto di entrare nel nostro Paese e chi no». Il riferimento è chiaro: l’Italia agogna volenterosi lavoratori e bendisposte famiglie. Per continuare nella direzione già presa: «Il mio governo», ricorda il presidente del Consiglio, «ha varato decreti flussi per tre anni, ampliando le quote, soprattutto per le nazioni che ci aiutano a combattere contro i trafficanti di esseri umani». L’Onu accerta che è una delle «più potenti attività criminali nel mondo», spiega Meloni. «C’è gente che fa tantissimi soldi usando la disperazione dei fragili. Non possiamo consentirlo. Queste organizzazioni stanno diventando potenti, ma se ne fregano dei diritti umani». Dunque, non serve «l’approccio caritatevole». Ma nemmeno «quello predatorio». Urgono «investimenti che risolvono problemi per entrambe le parti». Come il piano Mattei, il «buon esempio» dell’Italia, che ha scelto di «concentrare gli sforzi su una strategia che lega i nostri destini per il futuro». L’ambizioso obiettivo del forum è difatti: individuare una strategia di cooperazione con i paesi di origine dei migranti. Senza rigurgiti colonialisti. «Le sfide di questo tempo non possono essere affrontate da soli» sintetizza la premier. A Tripoli c’è anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che aggiunge: «Bisogna creare le condizioni per una riduzione di carattere regionale dei flussi illegali a beneficio di tutti i paesi». Ovverosia: quando «i migranti arrivano sulle coste nordafricane pronti per imbarcarsi, abbiamo già perso». Dopo i buoni risultati in Tunisia, dove sono crollate le partenze, il governo vorrebbe ora replicare a Tripoli. Non tutti, però, condividono il buon proposito. Al forum arriva così, nel pomeriggio, il cordiale tweet della Sea Watch: «I politici del governo italiano, Meloni e Piantedosi, sono oggi in Libia per lavorare con il primo ministro della Libia occidentale, Dabaiba, sulla loro politica migratoria distopica. Auguriamo loro tutto il male dal profondo del nostro cuore». Un anatema che, pochi giorni dopo l’attentato a Donald Trump, suona ancor più sinistro. In mattinata però anche la Ong di Casarini ci tiene a dare il suo caloroso benvenuto, inviando ai partecipanti un affettuoso tweet dal tono vagamente intimidatorio: «Pirateria internazionale, tentato sequestro di persona, tortura e violenza privata: Mediterranea denuncia la cosiddetta guardia costiera libica». Meloni, visto il costruttivo contesto internazionale, omette di citare la ribalda categoria, che spesso continua a interferire. Fa lo stesso. Come osa la premier annunciare battaglia ai trafficanti? Mica vorrà davvero fermare gli sbarchi? E loro, scusa, a cosa dovrebbero dedicarsi? Così, proprio mentre gli indomiti annunciano guerra al governo italiano e denunciano le autorità libiche, gli ultimi dati sui clandestini giunti dal mare sono strepitosamente eloquenti: un aumento di circa il 50 per cento delle attività delle organizzazioni non governative appunto, a fronte di un rallentamento complessivo degli arrivi di oltre il 60 per cento. Insomma: dall’inizio del 2024, 5.402 immigrati, su poco più di 30.000 persone sbarcate in Italia, sono stati intercettati dalle Ong. Un ragguardevole 18 per cento: quasi un clandestino su cinque, quindi. I soccorsi sono enormemente cresciuti rispetto ai 3.616 dello scorso anno: erano appena il 4,64 per cento, su oltre 77.000 arrivi in Italia. Un anno più tardi, la percentuale s’è dunque moltiplicata per quattro. Un numero che spicca ancora di più, se raffrontato al crollo dei salvataggi ufficiali della guardia costiera: come dettaglia l’agenzia giornalistica Nova, sono diminuiti del 67 per cento rispetto ai 56.332, calcolati dall’inizio del 2023 alla metà di luglio dello stesso anno. Insomma, erano il 72 per cento degli sbarchi complessivi. Ora sono calati al 61 per cento. Capito? E adesso arriva l’inumana Meloni, che vuole farla finita con gli sbarchi. La caritatevole Sea Watch, ovviamente, s’infervora. E le augura tutto il male possibile e immaginabile: «Dal profondo del nostro cuore». Oggi, comunque, la premier prosegue il suo viaggio. Nel Regno Unito, parteciperà alla Comunità politica europea: un momento di dialogo informale fra 47 nazioni. Nel vertice di Blenheim Palace, vicino Oxford, la seduta di apertura verrà dedicata all’Ucraina e alla sicurezza europea. Sarà presieduta dal nuovo primo ministro britannico, Keir Starmer, assieme al presidente del Consiglio dell’Unione, Charles Michel. Sono previste quattro tavole rotonde: dall’energia alla difesa della democrazia. E, per la prima volta, ne viene inserita in agenda anche una in cui si discuterà del problema migratorio. Proprio su richiesta di Meloni. Non resta che attendere i nuovi agguati della Banda Casarini e dei pirati teutonici.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)