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2019-08-08
Trump pronto a conquistare il suo partito nel caucus dell'Hawkeye State
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Ansa
Il processo vero e proprio delle primarie americane avrà formalmente inizio il 3 febbraio del 2020. In quella data, si terrà infatti l'appuntamento elettorale con cui classicamente si apre la corsa verso la nomination dei rispettivi partiti: il caucus dell'Iowa. Con il nome caucus si designa un sistema elettorale che i due principali partiti statunitensi adottano in determinati Stati, per assegnare alcuni dei delegati da inviare alla Convention estiva. Si tratta, nella fattispecie, di un'assemblea ristretta ai soli attivisti del partito, ragion per cui non prevede la partecipazione di elettori indipendenti (come negli Stati in cui vengono organizzate delle primarie aperte). Sull'origine del nome ci sono opinioni discordanti. Alcuni ipotizzano possa derivare dal greco "kaukos", che significa "boccale", per indicare riunioni così denominate che si svolgevano in passato nei saloon. Secondo altri, il vocabolo si riferirebbe alle assemblee dei capi tribù dei nativi algonchini.
Come che sia, in termini meramente numerici non è che questo appuntamento elettorale garantisca di solito, in entrambi i partiti, grandi quantitativi di delegati. Il punto sta tuttavia nel fatto che, aprendo tradizionalmente il processo delle primarie, goda di un'altissima attenzione mediatica, ragion per cui i candidati – soprattutto gli outsider – lo considerano una vetrina non indifferente. Un buon piazzamento al caucus dell'Iowa può infatti costituire un trampolino di lancio profondamente significativo a livello di notorietà nazionale e – conseguentemente – un'opportunità per incrementare la propria raccolta fondi. D'altronde, anche i front runner guardano con interesse a questa competizione locale: per loro, vincerla significa infatti mettere in ombra eventuali avversari in procinto di sorpasso, dando così un'immagine di sé sicura e in ascesa.
Al momento, Donald Trump sembra avere la strada spianata nel cosiddetto Hawkeye State. La concorrenza interna del libertario Bill Weld non pare infatti particolarmente pericolosa e – salvo sorprese – il caucus repubblicano dell'Iowa dovrebbe rivelarsi una mera formalità per il presidente in carica. Situazione ben diversa si riscontra invece sul fronte dei democratici. Visto l'elevato numero di candidati in lizza, azzardare previsioni per il momento risulta prematuro. Quel che è certo è tuttavia che i vari concorrenti stanno trascorrendo molto tempo nello Stato, battendolo palmo a palmo, pur di incrementare la propria popolarità in loco. Soprattutto l'ex vicepresidente, Joe Biden, il senatore del Vermont, Bernie Sanders, la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, e la senatrice della California, Kamala Harris, risultano particolarmente concentrati su questo territorio, girandolo in lungo e in largo tra comizi ed eventi elettorali. Nella fattispecie, nel mese di agosto, i candidati si recheranno alla Iowa State Fair di Des Moines: uno degli eventi fieristici più importanti e antichi dello Stato. Un evento che ha spesso visto accadere episodi importanti nel periodo elettorale. Fu proprio lì per esempio che, nell'agosto del 2011, l'allora candidato alla nomination repubblicana, Mitt Romney, si attirò fischi e contestazioni, dopo aver affermato in un discorso sulla tassazione: «Anche le corporation sono persone».
I sondaggi locali mostrano una situazione abbastanza differente da quelli disponibili a livello nazionale. Secondo Real Clear Politics, Biden risulterebbe in testa con il 24% dei consensi, seguìto dalla Harris al 16%. Dietro si collocherebbero poi Elizabeth Warren al 15% e Sanders al 14%. In primo luogo, il vantaggio dell'ex vicepresidente in Iowa appare molto più risicato di quello che deterrebbe attualmente a livello nazionale. L'apparente stranezza in realtà ha una ragione abbastanza precisa. Come detto, i caucus sono assemblee ristrette degli attivisti di partito: assemblee che quindi tendono solitamente a favorire i candidati più ideologizzati e radicali. L'esatto opposto di Biden che – di contro – sta cercando di intestarsi la guida delle correnti centriste interne all'Asinello. Questo spiega quindi il buon risultato di cui attualmente godono la Harris e la Warren, due profili che si collocano molto a sinistra in seno al Partito Democratico. Tutto ciò non deve poi indurre a pensare che i candidati più ideologicamente netti e connotati abbiano la strada automaticamente spianata in Iowa: alle primarie democratiche del 2004, per esempio, a vincere il locale caucus fu un centrista come l'allora senatore del Massachusetts, John Kerry. In secondo luogo, l'altro elemento da notare è la fatica che sembra stia riscontrando Sanders in questo territorio. Nonostante non fosse riuscito a vincere la competizione in loco nel 2016, il suo fu comunque un risultato significativo, perché perse contro Hillary Clinton con uno scarto di appena lo 0,3%. Il senatore del Vermont dovrà quindi fare di tutto per cercare di riguadagnare terreno nell'Hawkeye State: il ruolo cui sta infatti puntando è quello di unico vero rappresentante della sinistra democratica. Un ruolo cui potrebbe essere costretto a dire addio, con un'eventuale vittoria della Harris o della Warren in Iowa.
L'idea di molti outsider democratici sarebbe al momento quella di replicare la strategia adottata da Barack Obama nell'estate nel 2007, quando pose le basi della propria corsa elettorale attraverso una costante presenza proprio nell'Hawkeye State. Quella strategia consentì all'allora senatore dell'Illinois di dare solidità a una candidatura che – avviata nel febbraio di quell'anno – era sino ad allora apparsa debole e sconclusionata. È bene tuttavia sottolineare come – banalmente – fossero altri tempi. Alle primarie democratiche del 2008 i candidati erano appena otto: oggi sono più di venti.
Tra l'altro, al di là delle suddette motivazioni legate all'incremento di notorietà e alla raccolta fondi, vincere questo caucus risulta importante soprattutto per quanto riguarda il processo delle primarie democratiche. È dal 1996 che chi trionfa in questo territorio riesce infatti a conseguire poi la nomination dell'Asinello, anche se poi questo non garantisce la conquista della Casa Bianca (si pensi ad Al Gore nel 2000, a John Kerry nel 2004 e alla stessa Hillary Clinton nel 2016). A livello di General Election il comportamento di questo Stato risulta del resto abbastanza ondivago, visto che, nel corso degli ultimi decenni, ha costantemente oscillato tra repubblicani e democratici.
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Le primarie americane avranno inizio formalmente il 3 febbraio 2020. L'appuntamento più importante è sicuramente il caucus dell'Iowa, un trampolino di lancio a livello mediatico per i candidati alla Casa Bianca.Il processo vero e proprio delle primarie americane avrà formalmente inizio il 3 febbraio del 2020. In quella data, si terrà infatti l'appuntamento elettorale con cui classicamente si apre la corsa verso la nomination dei rispettivi partiti: il caucus dell'Iowa. Con il nome caucus si designa un sistema elettorale che i due principali partiti statunitensi adottano in determinati Stati, per assegnare alcuni dei delegati da inviare alla Convention estiva. Si tratta, nella fattispecie, di un'assemblea ristretta ai soli attivisti del partito, ragion per cui non prevede la partecipazione di elettori indipendenti (come negli Stati in cui vengono organizzate delle primarie aperte). Sull'origine del nome ci sono opinioni discordanti. Alcuni ipotizzano possa derivare dal greco "kaukos", che significa "boccale", per indicare riunioni così denominate che si svolgevano in passato nei saloon. Secondo altri, il vocabolo si riferirebbe alle assemblee dei capi tribù dei nativi algonchini.Come che sia, in termini meramente numerici non è che questo appuntamento elettorale garantisca di solito, in entrambi i partiti, grandi quantitativi di delegati. Il punto sta tuttavia nel fatto che, aprendo tradizionalmente il processo delle primarie, goda di un'altissima attenzione mediatica, ragion per cui i candidati – soprattutto gli outsider – lo considerano una vetrina non indifferente. Un buon piazzamento al caucus dell'Iowa può infatti costituire un trampolino di lancio profondamente significativo a livello di notorietà nazionale e – conseguentemente – un'opportunità per incrementare la propria raccolta fondi. D'altronde, anche i front runner guardano con interesse a questa competizione locale: per loro, vincerla significa infatti mettere in ombra eventuali avversari in procinto di sorpasso, dando così un'immagine di sé sicura e in ascesa.Al momento, Donald Trump sembra avere la strada spianata nel cosiddetto Hawkeye State. La concorrenza interna del libertario Bill Weld non pare infatti particolarmente pericolosa e – salvo sorprese – il caucus repubblicano dell'Iowa dovrebbe rivelarsi una mera formalità per il presidente in carica. Situazione ben diversa si riscontra invece sul fronte dei democratici. Visto l'elevato numero di candidati in lizza, azzardare previsioni per il momento risulta prematuro. Quel che è certo è tuttavia che i vari concorrenti stanno trascorrendo molto tempo nello Stato, battendolo palmo a palmo, pur di incrementare la propria popolarità in loco. Soprattutto l'ex vicepresidente, Joe Biden, il senatore del Vermont, Bernie Sanders, la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, e la senatrice della California, Kamala Harris, risultano particolarmente concentrati su questo territorio, girandolo in lungo e in largo tra comizi ed eventi elettorali. Nella fattispecie, nel mese di agosto, i candidati si recheranno alla Iowa State Fair di Des Moines: uno degli eventi fieristici più importanti e antichi dello Stato. Un evento che ha spesso visto accadere episodi importanti nel periodo elettorale. Fu proprio lì per esempio che, nell'agosto del 2011, l'allora candidato alla nomination repubblicana, Mitt Romney, si attirò fischi e contestazioni, dopo aver affermato in un discorso sulla tassazione: «Anche le corporation sono persone».I sondaggi locali mostrano una situazione abbastanza differente da quelli disponibili a livello nazionale. Secondo Real Clear Politics, Biden risulterebbe in testa con il 24% dei consensi, seguìto dalla Harris al 16%. Dietro si collocherebbero poi Elizabeth Warren al 15% e Sanders al 14%. In primo luogo, il vantaggio dell'ex vicepresidente in Iowa appare molto più risicato di quello che deterrebbe attualmente a livello nazionale. L'apparente stranezza in realtà ha una ragione abbastanza precisa. Come detto, i caucus sono assemblee ristrette degli attivisti di partito: assemblee che quindi tendono solitamente a favorire i candidati più ideologizzati e radicali. L'esatto opposto di Biden che – di contro – sta cercando di intestarsi la guida delle correnti centriste interne all'Asinello. Questo spiega quindi il buon risultato di cui attualmente godono la Harris e la Warren, due profili che si collocano molto a sinistra in seno al Partito Democratico. Tutto ciò non deve poi indurre a pensare che i candidati più ideologicamente netti e connotati abbiano la strada automaticamente spianata in Iowa: alle primarie democratiche del 2004, per esempio, a vincere il locale caucus fu un centrista come l'allora senatore del Massachusetts, John Kerry. In secondo luogo, l'altro elemento da notare è la fatica che sembra stia riscontrando Sanders in questo territorio. Nonostante non fosse riuscito a vincere la competizione in loco nel 2016, il suo fu comunque un risultato significativo, perché perse contro Hillary Clinton con uno scarto di appena lo 0,3%. Il senatore del Vermont dovrà quindi fare di tutto per cercare di riguadagnare terreno nell'Hawkeye State: il ruolo cui sta infatti puntando è quello di unico vero rappresentante della sinistra democratica. Un ruolo cui potrebbe essere costretto a dire addio, con un'eventuale vittoria della Harris o della Warren in Iowa.L'idea di molti outsider democratici sarebbe al momento quella di replicare la strategia adottata da Barack Obama nell'estate nel 2007, quando pose le basi della propria corsa elettorale attraverso una costante presenza proprio nell'Hawkeye State. Quella strategia consentì all'allora senatore dell'Illinois di dare solidità a una candidatura che – avviata nel febbraio di quell'anno – era sino ad allora apparsa debole e sconclusionata. È bene tuttavia sottolineare come – banalmente – fossero altri tempi. Alle primarie democratiche del 2008 i candidati erano appena otto: oggi sono più di venti.Tra l'altro, al di là delle suddette motivazioni legate all'incremento di notorietà e alla raccolta fondi, vincere questo caucus risulta importante soprattutto per quanto riguarda il processo delle primarie democratiche. È dal 1996 che chi trionfa in questo territorio riesce infatti a conseguire poi la nomination dell'Asinello, anche se poi questo non garantisce la conquista della Casa Bianca (si pensi ad Al Gore nel 2000, a John Kerry nel 2004 e alla stessa Hillary Clinton nel 2016). A livello di General Election il comportamento di questo Stato risulta del resto abbastanza ondivago, visto che, nel corso degli ultimi decenni, ha costantemente oscillato tra repubblicani e democratici.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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