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2020-04-13
L’élite francese salvata dal coronavirus grazie ai gilet gialli e Berlino
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Emmanuel Macron (foto Ansa)
Chi l'avrebbe mai detto? Dopo essere stati presi di mira con proiettili di gomma, lacrimogeni, idranti o granate dispersive, dopo aver subito mutilazioni permanenti, il popolo dei gilet gialli lotta per cercare di salvare la Francia e le sue élite politico-economiche dal Covid-19. La lista delle professioni in trincea contro il morbo cinese è lunga. Come avviene in Italia, migliaia di infermieri, medici, autotrasportatori, cassiere, addetti alle pulizie, agricoltori, poliziotti, pompieri e molti altri lavoratori, stanno facendo di tutto per salvare i malati o mantenere una minima attività economica. Solo qualche mese fa queste stesse categorie sociali o professionali scendevano in piazza per protestare contro la perdita di potere d'acquisto e di dignità del proprio lavoro. Ad attenderli c'erano i discorsi mondialisti, lodi sperticate rivolte all'Unione Europea e, soprattutto, manganelli e altri strumenti di mantenimento dell'ordine già citati. Sin dall'inizio del suo mandato al vertice dello stato francese, Emmanuel Macron ha dichiarato una guerra nemmeno troppo nascosta a una certa parte della società d'oltralpe. Uno dei suoi primi atti sono state le ordinanze che hanno ridotto la possibilità di impugnare i licenziamenti senza giusta causa. Uno strappo alla legislazione francese, estremamente protettiva nei confronti dei lavoratori dipendenti. Nei quasi tre anni del suo mandato, l'inquilino dell'Eliseo si è rivolto a più riprese con parole sprezzanti ai suoi compatrioti meno fortunati di lui. Li ha chiamati «Galli refrattari ai cambiamenti». In un'altra occasione ha detto a un giovane disoccupato che bastava «attraversare la strada per trovare un lavoro».
Nel suo discorso alla nazione del 31 dicembre 2018 ha parlato di «una folla piena di odio», alludendo ai gilet gialli che avevano iniziato a protestare nel novembre di quell'anno. Ma se, in patria, Monsieur le Président faceva il forte con i deboli, in ambito europeo suonava tutta un'altra musica. In particolare nei confronti della Germania di Angela Merkel, che ha sempre risposto picche alle proposte di Parigi volte ad alleggerire l'atteggiamento rigorista in campo economico, di Berlino e dei suoi satelliti. Sebbene l'attuale capo dello Stato francese sia, come vari suoi predecessori, ipnotizzato dal mantra del couple franco-allemand (la coppia franco-tedesca, ndr) sembra che a lui, la situazione sia scappata di mano. E questa crisi sanitaria mette in luce l'impossibilità per la Francia di rimanere ancora a lungo genuflessa davanti ai diktat tedeschi. Questo perché forse, anche le ingiunzioni di Berlino hanno contribuito, nel corso degli ultimi due decenni, all'indebolimento del sistema sanitario transalpino in nome del rispetto delle regole di bilancio Ue. Nelle ultime riunioni del Consiglio europeo, convocate per discutere dell'emissione dei coronabond, la Francia è apparsa un po' smarrita. Con mille giravolte ha cercato di ottenere l'emissione delle obbligazioni garantite dai 27 e, allo stesso tempo, di non mancare di rispetto ai falchi d'oltre Reno. Ma mentre chi governa la Francia tenta di mantenere i destini del Paese legati, mani e piedi a quelli della Germania ammantandoli in una dimensione europea, i francesi confinati, mandano un messaggio ben diverso alle loro élite. Chiedono che tutti i cittadini possano beneficiare dignitosamente delle risorse del Paese, che questo piaccia o no alla Germania.
L'emergenza sanitaria e quella tentazione di controllare i cittadini francesi

upload.wikimedia.org
L'emergenza coronavirus ha obbligato il governo e la presidenza della repubblica francesi a intervenire in vari ambiti. Sul fronte economico, il Consiglio dei Ministri del 25 marzo scorso, ha adottato 25 ordinanze. Un record per la produzione di leggi di matrice governativa che non veniva battuto dal 1958. In quell'anno, c'era stato il putsch di Algeri e il generale Charles de Gaulle era stato chiamato a salvare il Paese. Come prevedeva la costituzione della IV Repubblica, venne nominato presidente del consiglio. Con una legge costituzionale,il parlamento gli aveva accordato, per sei mesi, la possibilità di governare attraverso delle ordinanze. de Gaulle fu l'ultimo presidente del consiglio della IV Repubblica. Di lì a poco fece nascere, con un referendum dall'esito bulgaro, la V Repubblica che riconosce poteri molto ampi al Presidente della Repubblica. Un incarico che de Gaulle assunse per primo e che, attualmente, è ricoperto da Emmanuel Macron.
Tornando a oggi, a differenza delle misure prese dal governo de Gaulle, quelle decise dall'esecutivo guidato da Edouard Philippe, hanno soprattutto un carattere economico. Trai cambiamenti più importanti introdotti il 25 marzo 2020, figurano le modifiche al diritto del lavoro. Il numero massimo di ore lavorate a settimana è stato portato a 60. Anche le regole per le ferie sono state modificate. Inoltre è stato varato un fondo di solidarietà per le piccole e piccolissime imprese. Nonostante queste misure abbiano un carattere temporaneo e straordinario, nella patria delle 35 ore, qualcuno ha storto il naso. Il sindacato Force Ouvrière ha definito le misure «un'eresia».
Il segretario generale del sindacato Cgt, Philippe Martinez le ha bollate come «scandalose». Il timore dei sindacati è che con la scusa della pandemia, il governo ne approfitti per smantellare alcuni elementi fondamentali del diritto del lavoro francese. Oltre ai temi economici, l'esecutivo di Parigi - che come quello guidato da Giuseppe Conte in Italia si è fatto trovare assolutamente impreparato di fronte alla pandemia - ha iniziato anche a riflettere su delle iniziative per cercare di arginare la diffusione del virus cinese. Una di queste è l'ipotesi di usare i cellulari per tracciare i movimenti delle persone risultate positive al Covid-19. L'8 aprile scorso, il Segretario di Stato alle questioni digitali Cédric O, ha dovuto tranquillizzare i parlamentari d'oltralpe, preoccupati per l'uso dell'applicazione StopCovid, alla quale sta lavorando il governo. Il rappresentante dell'esecutivo ha garantito che l'app servirà per «tracciare le informazioni e non gli individui». Ma queste spiegazioni all'acqua di rose non fugano i timori di molti parlamentari, giornalisti ed esponenti della Francia "del basso". Questo perché il Segretario di Stato e, più in generale l'intero apparato della macronia, hanno dei precedenti che non lasciano sperare nulla di buono in materia di libertà e di rispetto della privacy. Cedric O, ad esempio, si è sempre detto favorevole all'uso del riconoscimento facciale. Come scriveva Le Monde il 14 ottobre 2019 - quando a Parigi ancora sfilavano ogni settimana manifestazioni di protesta - il Segretario di Stato riteneva «necessario per far avanzare i nostri industriali» che la Francia iniziasse a «sperimentare il riconoscimento facciale». Pochi mesi dopo l'inizio della protesta dei gilet gialli, il parlamento francese ha approvato la «legge anti casseurs» che, tra le altre cose, prevede un anno di carcere per chi nasconde il viso durante una manifestazione. In occasione delle manifestazioni in giallo, svoltesi ogni sabato per oltre un anno, il ministero dell'Interno, guidato da Christophe Castaner, ha praticato ampiamente l'uso del fermo preventivo di persone considerate potenzialmente pericolose dalle forze dell'ordine. Questo però non ha impedito,ad esempio, a dei militanti pro Palestina di aggredire verbalmente, con insulti antisemiti, personalità di spicco come il filosofo e scrittore Alain Finkielkraut.
Non va dimenticato che Emmanuel Macron ha fatto approvare una legge che consente alle autorità di Parigi di spegnere dei canali e delle emittenti radio straniere, in periodo elettorale. Una legge sospettata di voler chiudere la bocca a Russia Today France. Inoltre, il presidente transalpino non ha mai nascosto la sua ossessione contro le fake news. Questo lo ha spinto molto lontano con immaginazione. Come scriveva il 2 febbraio 2019, Etienne Gernelle, direttore del settimanale Le Point, sul sito del giornale, Macron si era detto pronto a remunerare dei giornalisti con i soldi pubblici. Per fare cosa? Ecco cosa scriveva il direttore del settimanale «Il presidente della Repubblica propone che lo Stato paghi certi giornalisti (presenti) nelle redazioni» perché questi assicurino «la verifica» delle informazioni. Alla luce di queste informazioni, è facile capire perché l'idea di tracciare i cellulari per limitare la diffusione del Covid-19, non piace a molti francesi come ha confermato a La Verità anche il leader dei gilet gialli, Maxime Nicolle, la cui intervista è inclusa in questo focus.
«I soldi pubblici sono stati investiti nei proiettili di gomma, non nei posti letto»

Maxime Nicolle (@ M. Ghisalberti)
Il suo nome in codice è Fly Rider, la barba rossa che porta ben tagliata lo ha reso uno dei volti più riconoscibili del movimento dei gilet gialli, fin dai primi atti. Sebbene sia popolarissimo sui social network e, da qualche mese anche giornalista (*) per un media indipendente chiamato QG, Maxime Nicolle ha tenuto i piedi ben piantati per terra. Come il movimento in giallo, anche Nicolle è stato spesso preso di mira dai media mainstream che lo hanno accusato di essere un complottista. La polizia lo ha multato e fermato come se fosse un soggetto estremamente pericoloso, ma il discorso tenuto da questo trentatreenne non abbia mai inneggiato alla violenza. Tra l'altro, quando in Francia iniziava a farsi strada l'idea della chiusura del Paese per evitare la diffusione del virus cinese, Nicolle era stato tra i leader del movimento in Giallo ad invitare i suoi compagni a non scendere in piazza. Per senso di responsabilità. Intervistato da La Verità, Maxime Nicolle spiega come la Francia "del basso" stia salvando quella "dell'alto", rappresentata dalle élite politico-economiche.
Il leader in giallo non è particolarmente sorpreso dall'azione del governo di Parigi di fronte alla pandemia di Covid-19. Questo perché, secondo lui «la crisi sanitaria è gestita da persone che pensano alla finanza prima che alla gente». Questo vale non solo per il settore sanitario dato che, continua la figura del movimento in giallo, «chi ci governa, ha deciso di: ridurre, tagliare, smettere di produrre localmente o a livello nazionale. Il tutto, per poter privatizzare e risparmiare. Il problema è che questo presunto risparmio ha permesso a dei grandi gruppi di guadagnare soldi e distribuire dividendi agli azionisti». L'enorme numero di decessi registrati in Francia a causa del virus cinese è, per Fly Rider, «una conseguenza diretta del fatto che i soldi pubblici non sono finiti nel posto giusto. Ciò vale, ad esempio il numero crescente di agricoltori costretti a cedere i propri terreni a delle aziende agricole più grandi».
In parallelo sono sempre più numerosi i lavoratori agricoli che finiscono «sotto padrone». Per Maxime Nicolle è vero che la Francia dei "piccoli" sta contribuendo a salvare dal coronavirus la Francia al vertice della piramide sociale. «L'80-90% della gente di questo Paese lavora e produce ricchezza. Sono loro che tengono in piedi la Francia. Ma i politici non sono stati attenti a questa gente» dice il gilet giallo. Per lui «è normale che in una crisi come quella che stiamo vivendo, questa gente semplice riesca ad andare avanti. Sono persone abituate a fare fatica e ad aiutare. Lo dimostrano le varie iniziative solidali nate un po' ovunque. Negli ultimi due anni ne ho vista molta di solidarietà» ricorda Nicolle che, per raggiungere le manifestazioni del sabato, ha spesso ottenuto dei passaggi offerti da altri gilet gialli. «D'altra parte - continua il leader in giallo - c'è una differenza tra i politici, che guadagnano salari mirabolanti, e i cittadini comuni. Questi ultimi, quando non hanno da mangiare, bussano alla porta del vicino per chiedere aiuto. Ci vuole molto coraggio e bisogna mettere da parte la fierezza. I politici non capiscono tutto ciò». Per spiegare le cause dell'impreparazione della Francia di fronte all'emergenza sanitaria, Maxime Nicolle invita a fare un parallelo tra il periodo delle proteste dei gilet gialli e la crisi del coronavirus. «Dove sono stati investiti i soldi pubblici in questi ultimi anni?». Si chiede. «La risposta è semplice. Non nei posti letto in ospedale o nella produzione di gel disinfettante e mascherine. Piuttosto, questi soldi sono stati utilizzati per le protezioni antisommossa destinate alle forze dell'ordine, per acquistare fucili per proiettili di gomma (LBD40), granate anti accerchiamento e gas lacrimogeni. Sono stati spesi i soldi per gestire le proteste dei cittadini ma non per curarli».
In merito alla possibilità di ricorrere al tracking dei cellulari per combattere la propagazione del virus cinese, Maxime Nicolle si mostra preoccupato. «Sulla carta potrebbe sembrare un'idea interessante - spiega a La Verità - perché tracciare il contagio, permetterebbe di sapere chi è entrato potenzialmente in contatto con dei malati di Covid-19. Il problema è che quando si gioca con la paura della gente, con la scusa della protezione, si possono costringere i cittadini ad accettare praticamente tutto». Con il coronavirus, ricorda Nicolle, «la prima cosa importante per proteggersi è fare attenzione al proprio comportamento. Per proteggere se stessi e gli altri bisogna usare le maschere, rispettare le distanze sociali, lavarsi le mani frequentemente e adottare i gesti barriera». «Se ognuno facesse queste cose - conclude Maxime Nicolle - non servirebbe un'applicazione per sapere se ci siano o meno stati contatti con persone malate. Se si abitua la gente al fatto che le autorità traccino gli spostamenti con il pretesto della sicurezza, rischiamo di aprire la porta ad altre forme di controllo e di tracciamento».
(*) Maxime Nicolle è l'autore di: Fly Rider Gilet Jaune (Edizioni Au Diable Vauvert, 2019)
«La Francia è ossessionata dal concetto fittizio chiamato "la coppia franco-tedesca"»

Frédéric Farah
Frédéric Farah è un economista e docente di scienze economiche e sociali all'università Paris 1 Panthéon Sorbonne. È ricercatore associato del Laboratorio Phare della Sorbona. Ha scritto il libro Europe la grande liquidation démocratique (*) ed è co-autore, insieme a Thomas Porcher, di Tafta: l'accord du plus fort; e di Introduction inquiète à la Macron-économie. Le projet du Président (**).
Parlando con La Verità, Frédéric Farah spiega che la Francia «è ossessionata dal concetto fittizio chiamato "la coppia franco-tedesca"». A causa di ciò, dagli anni ottanta in poi, Parigi non ha mai smesso di guardare oltre Reno fino ad arrivare ad accettare la cooperazione governativa, proposta da Angela Merkel». Cosi facendo però, secondo l'economista, «la Francia ha smesso di essere quell'interfaccia tra il Nord e il Sud dell'Europa. Parigi ha scommesso sul fatto che rinunciando a una parte della propria sovranità, andando più in avanti rispetto alle attese tedesche e mostrando un certo senso del rigore, le cose avrebbero potuto cambiare. Che la Germania avrebbe modificato la propria posizione in materia dell'economia Ue». Invece sappiamo tutti com'è andata a finire. Fatta questa premessa generale, i rapporti tra Parigi e Roma possono essere osservati sotto una luce diversa. «Tra l'Italia e la Francia ci sono state recentemente molte frizioni, soprattutto ai tempi del governo sostenuto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle» ricorda Farah. Come non ricordare, ad esempio, il richiamo dell'ambasciatore francese in Italia,dopo la visita a sorpresa di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ad alcuni gilet gialli nel febbraio del 2019. «Con il ritorno del Partito democratico al governo, la Francia ha tirato un sospiro di sollievo». Spiega ancora l'economista che però precisa che «non esiste un'iniziativa franco-italiana (simile a quella franco-tedesca, ndr), o di un sostegno convinto all'Italia da parte di Parigi». Secondo il professore universitario però, la Francia non ha interesse a lasciar cadere l'Italia né a «depredarla». Innanzitutto perché questo presupporrebbe l'esistenza di una strategia di Parigi nei confronti Berlino «ad esempio - spiega l'economista - quella di costringere la Germania a cambiare posizione, o di minacciare l'uscita dall'Unione. Ma dubito che le élite francesi abbiano dei piani simili». «Inoltre - prosegue Farah - non bisogna dimenticare che le banche francesi detengono circa 400 miliardi del debito italiano. La Germania, invece, ha 126 miliardi di euro di debito di Roma nelle proprie banche. Quindi, entrambi entrambi i Paesi devono prestare attenzione alla situazione italiana». Nonostante l'appiattimento di Emmanuel Macron davanti alle posizioni di Angela Merkel, sia inutile, visto che la Germania non molla in tema di rigore, Parigi non sembra voler cambiare direzione. «Già nel 2012, quando Spagna e Italia avevano presentato una posizione comune, la Francia non le ha sostenute. Finché questa élite sarà al potere in Francia, non credo che Parigi prenderà le redini di un fronte sudista per bilanciare quello nordista» dice Frédéric Farah. Nonostante la posizione subalterna di Parigi nei confronti di Berlino però, vista dall'estero, l'ipotesi di un "Ital-Exit" resta per ora remota secondo l'economista che, tuttavia, non esclude che «la crisi potrebbe accelerare». «Negli ambienti mainstream europeisti - commenta il docente universitario - l'idea di un'uscita dell'Italia dall'Ue è vista come una sciagura. Molti non la ritengono realizzabile perché penso impossibile che l'Italia venga lasciata sola, anche perché gli italiani sono sempre stati molto europeisti». «In questi ambienti - commenta Farah - si spera che ad un certo punto arrivi la cavalleria» per salvare il soldato Italia. «Sotto sotto si spera che la Bce intervenga se gli Stati non lo fanno e che, alla fine, prevarrà la ragione».
Farah ritiene che questa opinione sia supportata anche dalla presenza dell'attuale governo italiano, poco ostile alla Ue. Per l'economista comunque, «nonostante l'Italia abbia subito un peggioramento del proprio tenore di vita, dopo l'adesione all'Euro, è difficile che gli italiani scelgano di aggiungere incertezza alla crisi». Per questo, per Farah è più probabile «una secessione proveniente dal Nord piuttosto che dal Sud. Ad esempio se la Germania ritenesse di poter continuare da sola,accompagnata dai suoi satelliti: Austria, Olanda e Finlandia». In ogni caso per Frédéric Farah, non ritiene che sia possibile dire che l'Italia rischi di farsi «spolpare» dalla Francia. «Ci troviamo piuttosto in una condizione generalizzata di assenza di solidarietà a livello europeo - conclude l'economista - basato sulla logica di competizione e del tutti contro tutti. Anche per questo l'Ue non può essere una democrazia perché non è una comunità di ridistribuzione della ricchezza».
Note
(*) Europe: la grande liquidation démocratique, Breal Editions (2017)
(**) Introduction inquiète à la Macron-économie - Le projet du président, Editions Les PetitsMatins (2017). Tafta: Les accords du plus fort, Max Milo Editions (2014)
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Questa crisi sanitaria mette in luce l'impossibilità per la Francia di rimanere ancora a lungo genuflessa davanti ai diktat tedeschi. I cittadini però chiedono di beneficiare dignitosamente delle risorse del Paese, che questo piaccia o no alla Germania.Non mancano i problemi in materia di libertà e rispetto della privacy sullo sviluppo da parte del governo dell'applicazione StopCovid per provare ad arginare la diffusione del virus.Il gilet giallo Maxime Nicolle: «Negli ultimi anni i soldi pubblici sono stati usati per comprare proiettili di gomma piuttosto che per finanziare i posti letto negli ospedali».L'economista Frédéric Farah: «La Francia ha smesso di essere quell'interfaccia tra il Nord e il Sud dell'Europa. E non mostra un sostegno convinto all'Italia».Lo speciale contiene quattro articoli.Chi l'avrebbe mai detto? Dopo essere stati presi di mira con proiettili di gomma, lacrimogeni, idranti o granate dispersive, dopo aver subito mutilazioni permanenti, il popolo dei gilet gialli lotta per cercare di salvare la Francia e le sue élite politico-economiche dal Covid-19. La lista delle professioni in trincea contro il morbo cinese è lunga. Come avviene in Italia, migliaia di infermieri, medici, autotrasportatori, cassiere, addetti alle pulizie, agricoltori, poliziotti, pompieri e molti altri lavoratori, stanno facendo di tutto per salvare i malati o mantenere una minima attività economica. Solo qualche mese fa queste stesse categorie sociali o professionali scendevano in piazza per protestare contro la perdita di potere d'acquisto e di dignità del proprio lavoro. Ad attenderli c'erano i discorsi mondialisti, lodi sperticate rivolte all'Unione Europea e, soprattutto, manganelli e altri strumenti di mantenimento dell'ordine già citati. Sin dall'inizio del suo mandato al vertice dello stato francese, Emmanuel Macron ha dichiarato una guerra nemmeno troppo nascosta a una certa parte della società d'oltralpe. Uno dei suoi primi atti sono state le ordinanze che hanno ridotto la possibilità di impugnare i licenziamenti senza giusta causa. Uno strappo alla legislazione francese, estremamente protettiva nei confronti dei lavoratori dipendenti. Nei quasi tre anni del suo mandato, l'inquilino dell'Eliseo si è rivolto a più riprese con parole sprezzanti ai suoi compatrioti meno fortunati di lui. Li ha chiamati «Galli refrattari ai cambiamenti». In un'altra occasione ha detto a un giovane disoccupato che bastava «attraversare la strada per trovare un lavoro».Nel suo discorso alla nazione del 31 dicembre 2018 ha parlato di «una folla piena di odio», alludendo ai gilet gialli che avevano iniziato a protestare nel novembre di quell'anno. Ma se, in patria, Monsieur le Président faceva il forte con i deboli, in ambito europeo suonava tutta un'altra musica. In particolare nei confronti della Germania di Angela Merkel, che ha sempre risposto picche alle proposte di Parigi volte ad alleggerire l'atteggiamento rigorista in campo economico, di Berlino e dei suoi satelliti. Sebbene l'attuale capo dello Stato francese sia, come vari suoi predecessori, ipnotizzato dal mantra del couple franco-allemand (la coppia franco-tedesca, ndr) sembra che a lui, la situazione sia scappata di mano. E questa crisi sanitaria mette in luce l'impossibilità per la Francia di rimanere ancora a lungo genuflessa davanti ai diktat tedeschi. Questo perché forse, anche le ingiunzioni di Berlino hanno contribuito, nel corso degli ultimi due decenni, all'indebolimento del sistema sanitario transalpino in nome del rispetto delle regole di bilancio Ue. Nelle ultime riunioni del Consiglio europeo, convocate per discutere dell'emissione dei coronabond, la Francia è apparsa un po' smarrita. Con mille giravolte ha cercato di ottenere l'emissione delle obbligazioni garantite dai 27 e, allo stesso tempo, di non mancare di rispetto ai falchi d'oltre Reno. Ma mentre chi governa la Francia tenta di mantenere i destini del Paese legati, mani e piedi a quelli della Germania ammantandoli in una dimensione europea, i francesi confinati, mandano un messaggio ben diverso alle loro élite. Chiedono che tutti i cittadini possano beneficiare dignitosamente delle risorse del Paese, che questo piaccia o no alla Germania.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-ghisalberti-2645693883.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="l-emergenza-sanitaria-e-quella-tentazione-di-controllare-i-cittadini-francesi" data-post-id="2645693883" data-published-at="1586609070" data-use-pagination="False"> L'emergenza sanitaria e quella tentazione di controllare i cittadini francesi upload.wikimedia.org L'emergenza coronavirus ha obbligato il governo e la presidenza della repubblica francesi a intervenire in vari ambiti. Sul fronte economico, il Consiglio dei Ministri del 25 marzo scorso, ha adottato 25 ordinanze. Un record per la produzione di leggi di matrice governativa che non veniva battuto dal 1958. In quell'anno, c'era stato il putsch di Algeri e il generale Charles de Gaulle era stato chiamato a salvare il Paese. Come prevedeva la costituzione della IV Repubblica, venne nominato presidente del consiglio. Con una legge costituzionale,il parlamento gli aveva accordato, per sei mesi, la possibilità di governare attraverso delle ordinanze. de Gaulle fu l'ultimo presidente del consiglio della IV Repubblica. Di lì a poco fece nascere, con un referendum dall'esito bulgaro, la V Repubblica che riconosce poteri molto ampi al Presidente della Repubblica. Un incarico che de Gaulle assunse per primo e che, attualmente, è ricoperto da Emmanuel Macron.Tornando a oggi, a differenza delle misure prese dal governo de Gaulle, quelle decise dall'esecutivo guidato da Edouard Philippe, hanno soprattutto un carattere economico. Trai cambiamenti più importanti introdotti il 25 marzo 2020, figurano le modifiche al diritto del lavoro. Il numero massimo di ore lavorate a settimana è stato portato a 60. Anche le regole per le ferie sono state modificate. Inoltre è stato varato un fondo di solidarietà per le piccole e piccolissime imprese. Nonostante queste misure abbiano un carattere temporaneo e straordinario, nella patria delle 35 ore, qualcuno ha storto il naso. Il sindacato Force Ouvrière ha definito le misure «un'eresia».Il segretario generale del sindacato Cgt, Philippe Martinez le ha bollate come «scandalose». Il timore dei sindacati è che con la scusa della pandemia, il governo ne approfitti per smantellare alcuni elementi fondamentali del diritto del lavoro francese. Oltre ai temi economici, l'esecutivo di Parigi - che come quello guidato da Giuseppe Conte in Italia si è fatto trovare assolutamente impreparato di fronte alla pandemia - ha iniziato anche a riflettere su delle iniziative per cercare di arginare la diffusione del virus cinese. Una di queste è l'ipotesi di usare i cellulari per tracciare i movimenti delle persone risultate positive al Covid-19. L'8 aprile scorso, il Segretario di Stato alle questioni digitali Cédric O, ha dovuto tranquillizzare i parlamentari d'oltralpe, preoccupati per l'uso dell'applicazione StopCovid, alla quale sta lavorando il governo. Il rappresentante dell'esecutivo ha garantito che l'app servirà per «tracciare le informazioni e non gli individui». Ma queste spiegazioni all'acqua di rose non fugano i timori di molti parlamentari, giornalisti ed esponenti della Francia "del basso". Questo perché il Segretario di Stato e, più in generale l'intero apparato della macronia, hanno dei precedenti che non lasciano sperare nulla di buono in materia di libertà e di rispetto della privacy. Cedric O, ad esempio, si è sempre detto favorevole all'uso del riconoscimento facciale. Come scriveva Le Monde il 14 ottobre 2019 - quando a Parigi ancora sfilavano ogni settimana manifestazioni di protesta - il Segretario di Stato riteneva «necessario per far avanzare i nostri industriali» che la Francia iniziasse a «sperimentare il riconoscimento facciale». Pochi mesi dopo l'inizio della protesta dei gilet gialli, il parlamento francese ha approvato la «legge anti casseurs» che, tra le altre cose, prevede un anno di carcere per chi nasconde il viso durante una manifestazione. In occasione delle manifestazioni in giallo, svoltesi ogni sabato per oltre un anno, il ministero dell'Interno, guidato da Christophe Castaner, ha praticato ampiamente l'uso del fermo preventivo di persone considerate potenzialmente pericolose dalle forze dell'ordine. Questo però non ha impedito,ad esempio, a dei militanti pro Palestina di aggredire verbalmente, con insulti antisemiti, personalità di spicco come il filosofo e scrittore Alain Finkielkraut.Non va dimenticato che Emmanuel Macron ha fatto approvare una legge che consente alle autorità di Parigi di spegnere dei canali e delle emittenti radio straniere, in periodo elettorale. Una legge sospettata di voler chiudere la bocca a Russia Today France. Inoltre, il presidente transalpino non ha mai nascosto la sua ossessione contro le fake news. Questo lo ha spinto molto lontano con immaginazione. Come scriveva il 2 febbraio 2019, Etienne Gernelle, direttore del settimanale Le Point, sul sito del giornale, Macron si era detto pronto a remunerare dei giornalisti con i soldi pubblici. Per fare cosa? Ecco cosa scriveva il direttore del settimanale «Il presidente della Repubblica propone che lo Stato paghi certi giornalisti (presenti) nelle redazioni» perché questi assicurino «la verifica» delle informazioni. Alla luce di queste informazioni, è facile capire perché l'idea di tracciare i cellulari per limitare la diffusione del Covid-19, non piace a molti francesi come ha confermato a La Verità anche il leader dei gilet gialli, Maxime Nicolle, la cui intervista è inclusa in questo focus. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-ghisalberti-2645693883.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-soldi-pubblici-sono-stati-investiti-nei-proiettili-di-gomma-non-nei-posti-letto" data-post-id="2645693883" data-published-at="1586609070" data-use-pagination="False"> «I soldi pubblici sono stati investiti nei proiettili di gomma, non nei posti letto» Maxime Nicolle (@ M. Ghisalberti) Il suo nome in codice è Fly Rider, la barba rossa che porta ben tagliata lo ha reso uno dei volti più riconoscibili del movimento dei gilet gialli, fin dai primi atti. Sebbene sia popolarissimo sui social network e, da qualche mese anche giornalista (*) per un media indipendente chiamato QG, Maxime Nicolle ha tenuto i piedi ben piantati per terra. Come il movimento in giallo, anche Nicolle è stato spesso preso di mira dai media mainstream che lo hanno accusato di essere un complottista. La polizia lo ha multato e fermato come se fosse un soggetto estremamente pericoloso, ma il discorso tenuto da questo trentatreenne non abbia mai inneggiato alla violenza. Tra l'altro, quando in Francia iniziava a farsi strada l'idea della chiusura del Paese per evitare la diffusione del virus cinese, Nicolle era stato tra i leader del movimento in Giallo ad invitare i suoi compagni a non scendere in piazza. Per senso di responsabilità. Intervistato da La Verità, Maxime Nicolle spiega come la Francia "del basso" stia salvando quella "dell'alto", rappresentata dalle élite politico-economiche. Il leader in giallo non è particolarmente sorpreso dall'azione del governo di Parigi di fronte alla pandemia di Covid-19. Questo perché, secondo lui «la crisi sanitaria è gestita da persone che pensano alla finanza prima che alla gente». Questo vale non solo per il settore sanitario dato che, continua la figura del movimento in giallo, «chi ci governa, ha deciso di: ridurre, tagliare, smettere di produrre localmente o a livello nazionale. Il tutto, per poter privatizzare e risparmiare. Il problema è che questo presunto risparmio ha permesso a dei grandi gruppi di guadagnare soldi e distribuire dividendi agli azionisti». L'enorme numero di decessi registrati in Francia a causa del virus cinese è, per Fly Rider, «una conseguenza diretta del fatto che i soldi pubblici non sono finiti nel posto giusto. Ciò vale, ad esempio il numero crescente di agricoltori costretti a cedere i propri terreni a delle aziende agricole più grandi».In parallelo sono sempre più numerosi i lavoratori agricoli che finiscono «sotto padrone». Per Maxime Nicolle è vero che la Francia dei "piccoli" sta contribuendo a salvare dal coronavirus la Francia al vertice della piramide sociale. «L'80-90% della gente di questo Paese lavora e produce ricchezza. Sono loro che tengono in piedi la Francia. Ma i politici non sono stati attenti a questa gente» dice il gilet giallo. Per lui «è normale che in una crisi come quella che stiamo vivendo, questa gente semplice riesca ad andare avanti. Sono persone abituate a fare fatica e ad aiutare. Lo dimostrano le varie iniziative solidali nate un po' ovunque. Negli ultimi due anni ne ho vista molta di solidarietà» ricorda Nicolle che, per raggiungere le manifestazioni del sabato, ha spesso ottenuto dei passaggi offerti da altri gilet gialli. «D'altra parte - continua il leader in giallo - c'è una differenza tra i politici, che guadagnano salari mirabolanti, e i cittadini comuni. Questi ultimi, quando non hanno da mangiare, bussano alla porta del vicino per chiedere aiuto. Ci vuole molto coraggio e bisogna mettere da parte la fierezza. I politici non capiscono tutto ciò». Per spiegare le cause dell'impreparazione della Francia di fronte all'emergenza sanitaria, Maxime Nicolle invita a fare un parallelo tra il periodo delle proteste dei gilet gialli e la crisi del coronavirus. «Dove sono stati investiti i soldi pubblici in questi ultimi anni?». Si chiede. «La risposta è semplice. Non nei posti letto in ospedale o nella produzione di gel disinfettante e mascherine. Piuttosto, questi soldi sono stati utilizzati per le protezioni antisommossa destinate alle forze dell'ordine, per acquistare fucili per proiettili di gomma (LBD40), granate anti accerchiamento e gas lacrimogeni. Sono stati spesi i soldi per gestire le proteste dei cittadini ma non per curarli».In merito alla possibilità di ricorrere al tracking dei cellulari per combattere la propagazione del virus cinese, Maxime Nicolle si mostra preoccupato. «Sulla carta potrebbe sembrare un'idea interessante - spiega a La Verità - perché tracciare il contagio, permetterebbe di sapere chi è entrato potenzialmente in contatto con dei malati di Covid-19. Il problema è che quando si gioca con la paura della gente, con la scusa della protezione, si possono costringere i cittadini ad accettare praticamente tutto». Con il coronavirus, ricorda Nicolle, «la prima cosa importante per proteggersi è fare attenzione al proprio comportamento. Per proteggere se stessi e gli altri bisogna usare le maschere, rispettare le distanze sociali, lavarsi le mani frequentemente e adottare i gesti barriera». «Se ognuno facesse queste cose - conclude Maxime Nicolle - non servirebbe un'applicazione per sapere se ci siano o meno stati contatti con persone malate. Se si abitua la gente al fatto che le autorità traccino gli spostamenti con il pretesto della sicurezza, rischiamo di aprire la porta ad altre forme di controllo e di tracciamento».(*) Maxime Nicolle è l'autore di: Fly Rider Gilet Jaune (Edizioni Au Diable Vauvert, 2019) <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-ghisalberti-2645693883.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="la-francia-e-ossessionata-dal-concetto-fittizio-chiamato-la-coppia-franco-tedesca" data-post-id="2645693883" data-published-at="1586609070" data-use-pagination="False"> «La Francia è ossessionata dal concetto fittizio chiamato "la coppia franco-tedesca"» Frédéric Farah Frédéric Farah è un economista e docente di scienze economiche e sociali all'università Paris 1 Panthéon Sorbonne. È ricercatore associato del Laboratorio Phare della Sorbona. Ha scritto il libro Europe la grande liquidation démocratique (*) ed è co-autore, insieme a Thomas Porcher, di Tafta: l'accord du plus fort; e di Introduction inquiète à la Macron-économie. Le projet du Président (**).Parlando con La Verità, Frédéric Farah spiega che la Francia «è ossessionata dal concetto fittizio chiamato "la coppia franco-tedesca"». A causa di ciò, dagli anni ottanta in poi, Parigi non ha mai smesso di guardare oltre Reno fino ad arrivare ad accettare la cooperazione governativa, proposta da Angela Merkel». Cosi facendo però, secondo l'economista, «la Francia ha smesso di essere quell'interfaccia tra il Nord e il Sud dell'Europa. Parigi ha scommesso sul fatto che rinunciando a una parte della propria sovranità, andando più in avanti rispetto alle attese tedesche e mostrando un certo senso del rigore, le cose avrebbero potuto cambiare. Che la Germania avrebbe modificato la propria posizione in materia dell'economia Ue». Invece sappiamo tutti com'è andata a finire. Fatta questa premessa generale, i rapporti tra Parigi e Roma possono essere osservati sotto una luce diversa. «Tra l'Italia e la Francia ci sono state recentemente molte frizioni, soprattutto ai tempi del governo sostenuto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle» ricorda Farah. Come non ricordare, ad esempio, il richiamo dell'ambasciatore francese in Italia,dopo la visita a sorpresa di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ad alcuni gilet gialli nel febbraio del 2019. «Con il ritorno del Partito democratico al governo, la Francia ha tirato un sospiro di sollievo». Spiega ancora l'economista che però precisa che «non esiste un'iniziativa franco-italiana (simile a quella franco-tedesca, ndr), o di un sostegno convinto all'Italia da parte di Parigi». Secondo il professore universitario però, la Francia non ha interesse a lasciar cadere l'Italia né a «depredarla». Innanzitutto perché questo presupporrebbe l'esistenza di una strategia di Parigi nei confronti Berlino «ad esempio - spiega l'economista - quella di costringere la Germania a cambiare posizione, o di minacciare l'uscita dall'Unione. Ma dubito che le élite francesi abbiano dei piani simili». «Inoltre - prosegue Farah - non bisogna dimenticare che le banche francesi detengono circa 400 miliardi del debito italiano. La Germania, invece, ha 126 miliardi di euro di debito di Roma nelle proprie banche. Quindi, entrambi entrambi i Paesi devono prestare attenzione alla situazione italiana». Nonostante l'appiattimento di Emmanuel Macron davanti alle posizioni di Angela Merkel, sia inutile, visto che la Germania non molla in tema di rigore, Parigi non sembra voler cambiare direzione. «Già nel 2012, quando Spagna e Italia avevano presentato una posizione comune, la Francia non le ha sostenute. Finché questa élite sarà al potere in Francia, non credo che Parigi prenderà le redini di un fronte sudista per bilanciare quello nordista» dice Frédéric Farah. Nonostante la posizione subalterna di Parigi nei confronti di Berlino però, vista dall'estero, l'ipotesi di un "Ital-Exit" resta per ora remota secondo l'economista che, tuttavia, non esclude che «la crisi potrebbe accelerare». «Negli ambienti mainstream europeisti - commenta il docente universitario - l'idea di un'uscita dell'Italia dall'Ue è vista come una sciagura. Molti non la ritengono realizzabile perché penso impossibile che l'Italia venga lasciata sola, anche perché gli italiani sono sempre stati molto europeisti». «In questi ambienti - commenta Farah - si spera che ad un certo punto arrivi la cavalleria» per salvare il soldato Italia. «Sotto sotto si spera che la Bce intervenga se gli Stati non lo fanno e che, alla fine, prevarrà la ragione».Farah ritiene che questa opinione sia supportata anche dalla presenza dell'attuale governo italiano, poco ostile alla Ue. Per l'economista comunque, «nonostante l'Italia abbia subito un peggioramento del proprio tenore di vita, dopo l'adesione all'Euro, è difficile che gli italiani scelgano di aggiungere incertezza alla crisi». Per questo, per Farah è più probabile «una secessione proveniente dal Nord piuttosto che dal Sud. Ad esempio se la Germania ritenesse di poter continuare da sola,accompagnata dai suoi satelliti: Austria, Olanda e Finlandia». In ogni caso per Frédéric Farah, non ritiene che sia possibile dire che l'Italia rischi di farsi «spolpare» dalla Francia. «Ci troviamo piuttosto in una condizione generalizzata di assenza di solidarietà a livello europeo - conclude l'economista - basato sulla logica di competizione e del tutti contro tutti. Anche per questo l'Ue non può essere una democrazia perché non è una comunità di ridistribuzione della ricchezza».Note(*) Europe: la grande liquidation démocratique, Breal Editions (2017)(**) Introduction inquiète à la Macron-économie - Le projet du président, Editions Les PetitsMatins (2017). Tafta: Les accords du plus fort, Max Milo Editions (2014)
E’ una ricetta omnibus che nelle giornate di freddo predispone a piatto conviviale e succulento. Certo il primato spetta ai milanesi che servono l’ossobuco con il loro magnificente risotto giallo ma di fatto, essendo questo un taglio di carne, a torto definito povero, è una preparazione che si trova in tutte le zone urbane d’Italia. Condizione necessaria era che ci fosse un macello ed è errata convinzione che in campagna si mangiasse tanta carne; ci pensate al contadino che si ciba del suo “trattore”?
Dunque potremmo dire che questa è una ricetta piccolo-borghese, ma enorme nel sapore. Noi ve la proponiamo alla toscana, ancorché semplificata. Invece dei pelati ci siamo limitati al concentrato di pomodoro, ma il risultato è ottimo!
Ingredienti – 4 ossibuchi di generose dimensioni, tre cipolle, tre coste di sedano, tre carote, una patata, un paio di pomodorini, 6 cucchiai di farina 0, 60 gr di burro e 80 gr di olio extravergine di oliva, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 3 foglie di alloro e 3 di salvia, un mazzetto di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe qb.
Procedimento – Con una carota, una cipolla, una costa di sedano, la patata e i pomodorini preparate un brodo vegetale mettendo le verdure a bollire in almeno un paio litri di acqua. In un tegame capiente fate fondere il burro nell’olio extravergine di oliva e sistemateci le foglie di salvia e alloro. Infarinate gli ossibuchi e passateli in tegame a fiamma vivace in modo che si sigillino. Nel frattempo con le altre verdure fate un battuto grossolano. Sfumate gli ossibuchi col vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata toglieteli dal tegame e teneteli da parte. Fate stufare il battuto nel tegame e appena le cipolle diventano trasparenti rimettete in cottura gli ossibuchi. Coprite con il brodo vegetale, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate sciogliere e lasciate andare per almeno un ora e mezza. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete il prezzemolo tritato e servite.
Come fa divertire i bambini – Fate infarinare a loro gli ossibuchi vedrete che ne saranno entusiasti
Abbinamento – Abbiamo scelto un Chianti Classico Gran selezione, va benissimo un Nobile di Montepulciano; in alternativa il rosso dei milanesi il San Colombano o una Barbera monferrina, astigiana o dell’Oltrepò
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Roberto Calderoli (Ansa)
Certo, serviranno dei soldi per adeguare i servizi offerti. Ma non è detto che ne serviranno tanti, dato che spesso alcuni governatori hanno le risorse ma le spendono male o non le spendono, a differenza di altri presidenti di Regione che vedono invece arrivare nelle proprie strutture sanitarie dei pazienti provenienti proprio dalle zone dove i quattrini pubblici vengono male investiti.
Altra cosa: i Lep sono previsti nella Costituzione, quella riformata nel 2001 dal centrosinistra e confermata da un referendum Nessun governo, compresi quelli progressisti, li ha mai attuati. L’unico che da tre anni ci prova, nonostante raccolte firme di protesta o interventi della Consulta, è l’esecutivo Meloni nella persona del ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Per non perdere tutta la legislatura senza produrre nulla, l’esponente leghista ha fatto inserire nella legge di Bilancio alcuni articoli che facciano partire i criteri dei Lep. Finalmente dopo 24 anni di attesa. Il Pd però vorrebbe far aspettare i cittadini del Sud altri anni. Tant’è che Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, ha minacciato «ostruzionismo a oltranza» se non verranno stralciati i Lep, a costo di andare anche in «esercizio provvisorio». Insomma, il partito di Elly Schlein è disposto a far saltare il taglio dell’Irpef pur di non rispettare una norma costituzionale, quella Carta che a sinistra venerano più del Vangelo.
Perché questa paura di una riforma? I Lep, ricorda Calderoli, servono anche per centrare un obiettivo del Pnrr, il federalismo fiscale, entro giugno 2026. Pnrr, ricordiamolo, scritto dal governo Conte 2 e modificato da quello Draghi, nei quali il Pd era forza predominante. Forse i governatori del campo largo temono di confrontarsi con la responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche?
Il ministro leghista comunque tira dritto, forte anche della difesa di Fratelli d’Italia sui Lep nella legge di bilancio. E parallelamente martedì inizieranno le audizioni della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sul disegno di legge di delega al governo per la determinazione dei Lep. L’ipotesi, secondo quanto emerso all’esito dell’ultima riunione, è quella di avviare il ciclo di audizioni, per poi proseguirlo a gennaio. Secondo quanto raccolto da Public Policy saranno sentiti Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e presidente del comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei Lep. E ancora: l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Anci, l’Unione delle province d’Italia, Cgil, Cisl, Uil la cassa degli infermieri d’Italia, l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo Svimez, e persino Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Audizioni istituzionali, democratiche, aperte al confronto. Quello che il Pd non vuole sull’autonomia.
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Raffaele Speranzon (Imagoeconomica)
Nel processo appena conclusosi avevano chiesto quasi 3 milioni, gliene sono stati riconosciuti 480.000. Roggero gliene aveva già pagati 300.000, racimolati svendendo due appartamenti di famiglia. A questi vanno aggiunti altri 300.000 euro per le spese legali. Il senatore di Fratelli d’Italia, Raffaele Speranzon, e altri 18 colleghi dello stesso partito, a luglio avevano presentato un disegno di legge: niente più risarcimenti a chi commette quel genere di reati.
Onorevole Speranzon, il suo disegno di legge intende diminuire o azzerare il risarcimento dovuto all’aggressore in caso di eccesso colposo di legittima difesa. A che punto è?
«Sto aspettando che venga incardinato in commissione, spero che in breve tempo possiamo andare a discussione e approvarlo entro la fine della legislatura».
Il suo obiettivo è quello di colmare una lacuna normativa e ristabilire un criterio di giustizia. Ci spieghi meglio.
«L’obiettivo è quello di evitare che chi ha messo in pericolo qualcuno con violenza e minacce abbia diritto ad un indennizzo. Chi minaccia l’integrità fisica o patrimoniale di un altro individuo deve sapere che, se quell’azione gli andasse male, non riceverebbe un euro di risarcimento».
Potrebbe essere un deterrente.
«Certamente. Qualcuno potrebbe pensare di sistemare la propria famiglia in questo modo: se la rapina mi va bene, porto a casa qualcosa, se mi va male, comunque la mia famiglia otterrebbe un sacco di soldi. Sostanzialmente se non riesco a rapinarlo, lo rapino lo stesso grazie alla legge e quel risarcimento potrebbe addirittura essere superiore a quello che gli avrei potuto rubare. Se il nostro ddl diventasse legge, questo cortocircuito sparirebbe».
Se sei un ladro non puoi chiedere risarcimenti. Sembra una cosa normale.
«Dovrebbe. Se decidi di attentare alla mia incolumità o a quella della mia famiglia o al mio patrimonio, non puoi aver titolo a ricevere alcun risarcimento, anche se l’aggredito ha ecceduto nella sua difesa. La reazione all’offesa di un ladro, un rapinatore o un violentatore, può anche essere eccessiva ma non può dare adito a risarcimenti. Il sistema attuale lo consente, noi vogliamo cancellare questa possibilità».
Poteva servire al povero Roggero?
«Poteva servire se, più coerentemente con i fatti, il giudice, invece di condannarlo per omicidio volontario, lo avesse condannato per eccesso di legittima difesa, un reato più consono a quello che ha fatto».
Invece per il giudice è paragonabile a un assassino.
«Sono andati loro ad aggredirlo nel suo negozio. C’è poi da considerare l’esasperazione di un uomo che era stato rapinato cinque volte, il suo stato psicologico nel lavorare in un contesto come quello, sentendosi continuamente minacciato. Sicuramente ha ecceduto nella legittima difesa, ma certo non è un assassino e non dovrebbe risarcire nessuno. È lui che semmai avrebbe diritto a un ristoro. È lui la vittima».
Ma nel mondo dell’assurdo in cui viviamo, ai familiari di chi muore sul lavoro vanno, sì e no, 12.000 euro; e ai familiari di chi rapina, mezzo milione.
«Una cosa indecente, che dimostra ancor di più la lacuna normativa in ambito civile che va colmata. È la ragione per la quale decisi di presentare questo ddl».
Ma se poi un giudice trasforma un eccesso di legittima difesa in un omicidio volontario plurimo, c’è poco da fare…
«Eh sì, se il magistrato di turno contesta l’omicidio volontario si esce dal confine del ddl. A Roggero non sarebbe servito nemmeno il nostro ddl perché l’interpretazione da parte del giudice di ciò che è accaduto, a nostro avviso sbagliata, lo fa uscire da quel confine».
Cosa c’è dentro quel confine?
«C’è l’eccesso colposo di legittima difesa, per il quale Roggero è giusto che risponda. Non certo per omicidio volontario. Le condizioni psicologiche nelle quali si trovava dovevano portare il giudice a riconoscere solo quella fattispecie di reato».
Non sarebbe il caso di rimettere mano anche alla legge sulla legittima difesa? Non servirebbe un provvedimento che tenesse conto più delle ragioni degli aggrediti che di quelle degli aggressori?
«La riforma è andata in quella direzione, il nostro ddl lo stesso. L’errore nella sentenza sul gioielliere sta alla base. Chi attenta all’incolumità fisica di una persona o al suo patrimonio, deve mettere in conto la possibilità di una reazione anche durissima e fatale nei suoi confronti. Noi sosteniamo che quella reazione non dovrebbe essere sanzionata né dal punto di vista penale, né tanto meno civile».
Uno che reagisce a una rapina finisce in galera per 15 anni e viene condannato a un risarcimento ai parenti di chi lo ha rapinato. Non è pazzesco?
«Chi subisce una rapina vede la propria vita rovinata, indipendentemente dal fatto che la sventi o meno. Noi le leggi le possiamo anche fare, ma serve una cultura giuridica di chi interpreta i fatti, che veda nella difesa dell’aggredito il punto di partenza nella valutazione degli accadimenti».
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Ansa
Così, all’incirca venti case editrici (su oltre 600 espositori, il 3 per cento circa) si sono riunite di fronte agli stand di Bao, che pubblica Zerocalcare e Momo e, dopo un breve discorso programmatico, hanno marciato compatte verso Passaggio al bosco. Immaginiamo il loro stato d’animo: la loro voglia di libertà mentre schiacciano quella altrui; i paragoni con l’Aventino e pure con la lotta partigiana. Si parte, dunque. Si blocca la Nuvola, che ospita a Roma «Più libri più liberi», e si creano disagi agli ospiti. Ma poco importa. Si canta «Bella ciao» e si urla «fuori i fascisti dalla fiera», senza rendersi conto che i primi intolleranti sono loro. Uno dei ragazzi alla testa del mini corteo, non appena arriva di fronte allo stand di Passaggio al bosco, si scontra verbalmente con un signore al quale dice di risolvere la questione fuori (immaginiamo non con una lezione sul Capitale di Marx). Poco prima, Daniele Dell’Orco, fondatore di Idrovolante Edizioni, era rimasto bloccato all’interno del corteo, non proprio una situazione piacevole per una persona finita in mezzo a una campagna stampa d’odio.
Molto rumore per nulla. I soliti slogan, le solite canzoni. Le solite frangette blu fuori moda e i soliti gonnelloni in tartan. Qualche giorno fa, alcune ragazze hanno raggiunto lo stand di Passaggio al bosco e, indicando uno degli ultimi libri pubblicati - Charlie Kirk. La fede, il coraggio e la famiglia, scritto da Gabriele Caramelli - hanno chiesto all’editore: «Ma tu la pensi davvero come lui?». La risposta, che non si sente, avrebbe dovuto essere «no». Perché la destra italiana è molto diversa da quella americana. Eppure, nonostante le differenze, quella casa editrice «nazista» ha deciso di raccontare un personaggio così diverso da sé. Le due ragazze antifasciste avrebbero dovuto sfogliare il libriccino, almeno fino a pagina 14, dove avrebbero potuto leggere queste parole: «Oggi, invece, il suo compito (del volume, ndr) è quello di illustrare l’importanza del dialogo anche tra poli opposti, perché come diceva Charlie: “Quando le persone smettono di parlare, accadono cose brutte”». Che è proprio quello che è successo a lui. E che tanti vorrebbero replicare ancora oggi, come si vede nelle tante dimostrazioni di intolleranza nei confronti di chi viene bollato con l’etichetta «fascista». E così ci troviamo di fronte a un paradosso in cui Marco Scatarzi, l’editore di destra, dice «stiamo continuando a fare il nostro lavoro in piena libertà. Ognuno è libero di criticare, noi continuiamo a svolgere il nostro lavoro» mentre gli altri vorrebbero imporre la censura. «Ciò che pubblichiamo» - prosegue l’editore - «è anche qui esposto, grazie a tutti. Noi rispondiamo col sorriso, siamo una casa editrice con tantissimi autori, tantissimi collaboratori delle più svariate esperienze e facciamo cultura».
Ecco, forse è questo il punto fondamentale. Per decenni, la cultura, specie quella giovanile, è stata dominata dalla sinistra. I testi che andavano di moda arrivavano da lì. Ora qualcosa è cambiato. I ragazzi vogliono sentire anche l’altra campana e, per questo, si avvicinano a questa casa editrice così diversa, dalle copertine pop e dai titoli taglienti. Non ne condividono tutto, forse. Ma sicuramente trovano ciò che è proibito. Come la ristampa di Decima flotilla Mas. Dalle origini all’armistizio di Junio Valerio Borghese. Oppure Il razzismo contro i bianchi. L’inchiesta vietata di François Bousquet, che racconta, con dati alla mano, il fallimento del multiculturalismo in Francia.
Perché l’unico modo oggi per far leggere qualcosa è dire che è vietato. Era successo con Roberto Vannacci, sta succedendo oggi con Passaggio al bosco. Che, nonostante le minacce e i tentativi di censura, resta a «Più libri più liberi». Giustificando così il nome della kermesse.
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