A cinquecento anni dalla morte, la Galleria Nazionale dell’Umbria dedica una spettacolare mostra a uno dei pittori più celebri del Rinascimento: Pietro di Cristoforo Vannucci, meglio conosciuto come il Perugino. Un’esposizione di grande valore storico e artistico, che attraverso un percorso espositivo di circa 70 opere, da quelle giovanili al famoso Sposalizio della Vergine - realizzato nel 1504 all’apice della sua lunga carriera - restituisce a questo grande artista, un po’ «penalizzato» dal confronto con altri grandi del suo tempo (e dall’allievo Raffaello in primis) il ruolo che il pubblico e la sua epoca gli avevano giustamente assegnato.
A cinquecento anni dalla morte, la Galleria Nazionale dell’Umbria dedica una spettacolare mostra a uno dei pittori più celebri del Rinascimento: Pietro di Cristoforo Vannucci, meglio conosciuto come il Perugino. Un’esposizione di grande valore storico e artistico, che attraverso un percorso espositivo di circa 70 opere, da quelle giovanili al famoso Sposalizio della Vergine - realizzato nel 1504 all’apice della sua lunga carriera - restituisce a questo grande artista, un po’ «penalizzato» dal confronto con altri grandi del suo tempo (e dall’allievo Raffaello in primis) il ruolo che il pubblico e la sua epoca gli avevano giustamente assegnato.Nato a Città della Pieve nel 1448 da famiglia benestante (contrariamente da quanto afferma Giorgio Vasari, che non ne è mai stato grande estimatore e che lo voleva invece di umilissime origini), Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, è stato senza ombra di dubbio il più grande rappresentante della pittura umbra del XV secolo e una delle figure chiave del Rinascimento italiano. Carattere forte e volitivo, a tratti iracondo, religioso quanto basta, contemporaneo di Leonardo e Botticelli - con i quali frequentò la bottega del Verrocchio- allievo (forse) anche di Piero della Francesca e maestro di Raffaello Sanzio, attivo fra la Perugia dei Baglioni, la Firenze del Magnifico prima e del Savonarola poi e la Roma dei grandi Papi, per oltre un quarto di secolo Perugino ha «dominato» con il suo stile, armonico e delicato, la scena artistica italiana, tanto da essere definito dal ricco banchiere senese Agostino Chigi il meglio maestro d’Italia. Le sue aggraziate e dolcissime madonne, eteree e melanconiche, bionde e dagli occhi cerulei - tanto simili all’amata e giovane consorte Chiara Fancelli che, si narra , il Perugino si dilettasse anche ad acconciare – le sue pale d’altare e le sue sacre ambientazioni, fatte da lunghe prospettive ed esili architetture (e qui è chiarissima l’influenza di Piero della Francesca), lo fecero pittore «devoto» fra i più richiesti del tempo, con una committenza numerosissima (tale era la mole di lavoro che spesso, le sue attivissime botteghe, non riuscivano a portare a termine i lavori…) e variegata, che toccava tutte le corti dell’Italia del tempo. Eppure, a un certo punto, la sua fama si arrestò. E fu un arresto quasi improvviso, per alcuni addirittura databile. La data è il 1503, quando Isabella d’Este, dopo lunghissime attese, entrò finalmente in possesso della Lotta tra Amore e Castità (attualmente conservata al Louvre), tela destinata al suo studiolo nel Castello di San Giorgio a Mantova, ma che non lasciò del tutto soddisfatta la Marchesa. Se si pensa che, nel 1504, Perugino era all’apice della sua carriera, i conti tornano. E la curva della notorietà scende. All’orizzonte si profilano nuovi gusti artistici e la figura dell’allievo Raffaello, la perfezione fatta persona, surclassa tutti. O quasi. Ma sicuramente supera il Maestro. Perugino continuerà a dipingere sino alla morte (morì nel 1523 a causa della peste bubbonica) nella sua Umbria e nelle Marche, ma il titolo di il meglio maestro d’Italia era un ricordo ormai lontano. E, per la felicità del Vasari che, come ho già detto, non lo amava particolarmente, il suo nome cadde quasi nell’oblio. Come il suo lavoro realizzato nel 1482 per la Cappella Sistina, opera che non esiste più perché sostituita dal Giudizio Universale di Michelangelo.La strepitosa mostra allestita (sino all’11 giugno 2023) nelle rinnovate sale della GNU, la Galleria Nazionale dell’Umbria, già custode dal maggior numero di opere del Perugino, mira a restituire a questo grande artista il ruolo di primo piano che giustamente gli spetta, indipendentemente da chi fossero i suoi allievi o i suoi maestri: Perugino ha un’identità ben precisa, e questa identità gli va doverosamente restituita e riconosciuta.La mostra a PerugiaCurata da Marco Pierini, direttore della GNU, e Veruska Picchiarelli, conservatrice del museo, la mostra raccoglie capolavori che vanno dagli esordi del Perugino al 1504, toccando tutti i dei passaggi fondamentali del suo percorso artistico e di vita: dalle prime collaborazioni nella bottega di Andrea del Verrocchio alle capitali imprese fiorentine che fecero la sua fortuna (come ad esempio le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi nelle Gallerie degli Uffizi, o la Pala di San Domenico a Fiesole); dagli straordinari ritratti alle monumentali pale d’altare, quali il Trittico Galitzin, ora alla National Gallery di Washington, e il Polittico della Certosa di Pavia, per gran parte alla National Gallery di Londra ed eccezionalmente ricomposto per l’occasione. Un percorso geografico, oltre che artistico e umano, che segue gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia: è innegabile, per esempio, che la presenza di opere del maestro umbro nelle Romagne e in Emilia, da Fano, a Senigallia, passando per Bologna, è alla base della pittura di Francesco Francia e di Lorenzo Costa, mentre un filone lombardo-veneto dell' onda peruginesca, testimoniato in particolare dalle opere di Tommaso Aleni e Francesco Verla, è legato alla Madonna col Bambino tra i Santi Agostino e Giovanni evangelista nella chiesa di Sant’Agostino a Cremona. Così com’è innegabile che la splendida Assunzione della Vergine, realizzata dal Perugino fra il 1508 e il 1509 per la Cattedrale di Santa Maria Assunta a Napoli, abbia dato ulteriore forza propulsiva alla diffusione del lessico del Vannucci non solo nel Napoletano, ma anche in altre aree del sud Italia.Passate in rassegna tutte le sale, ammirate tutte le 70 opere esposte (con un occhio di riguardo per il meraviglioso Sposalizio della Vergine, poi ripreso anche da Raffaello), da questa mostra si esce ubriachi di bellezza, di quella bellezza armonica, aggraziata e composta, mai drammatica, che è il marchio di fabbrica di questo grande artista.Come ha affermato Gennaro Sangiuliano, Ministro della cultura « Esposizioni come questa sono in grado di valorizzare la più nobile missione di un museo: non l’affannosa ricerca della novità, ma la curiosità di far rinascere ciò che quotidianamente è sotto i nostri occhi, ormai considerato assodato, storicizzato, canonizzato».
Maurizio Landini (Ansa)
Il sindacalista attacca la manovra e ribadisce la linea sullo sciopero: «Non lo vogliono? Allora trattino». Meloni replica: «Non sia mai che la rivoluzione si faccia di martedì...».
Botta e risposta. Dopo aver detto che questa legge di bilancio è pensata per i ricchi, il segretario della Cgil, Maurizio Landini rispondendo al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a cui assicura che «nessuno lo vuole massacrare», chiarisce: «Pure noi sappiamo che uno non è ricco con 40.000 euro. Dal 2023 al 2025 hanno pagato 3.500 euro di tasse in più che non dovevano pagare mentre con la modifica dell’aliquota Irpef dal 35 al 33% per i redditi fino a 50.000 euro gli stanno dando 18 euro al mese».
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Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.







