2024-01-17
The Donald vince perché dice no alle guerre e alla cancel culture
Donald Trump (Getty Images)
L’America profonda fatta di classe media e operai incorona ancora una volta il tycoon. I progressisti sono già pronti ad accusare gli elettori di razzismo senza rendersi conto che vogliono solo un Paese normale.L’Iowa ha appena 3 milioni di abitanti e la sua capitale supera di poco i 200.000 residenti. Tuttavia, mai come in questi giorni lo Stato americano del Midwest è stato guardato con attenzione dagli esperti di cose politiche. In Iowa i repubblicani hanno votato l’altro ieri per le primarie e nonostante le condizioni avverse, l’ultima delle quali il gelo che ha attanagliato città e Paesi e che avrebbe scoraggiato i votanti, Donald Trump ha stravinto. I seggi non erano ancora chiusi e già le agenzie battevano la notizia che l’ex presidente era avanti rispetto ai rivali di almeno 30 punti. Sì, avete letto bene, il tycoon ha più che doppiato Ronald DeSantis e Nikki Haley, raccogliendo il consenso di un elettore su due. Certo, a causa delle temperature polari sono andati a votare in pochi, ma il tema non è la partecipazione al caucus e al curioso rito che in uno degli Stati agricoli dell’America accompagna la scelta del candidato alla Casa Bianca. No, la questione è che con percentuali del genere Trump ha già vinto, per lo meno nel Partito repubblicano.Nell’ultimo anno si è discusso molto della sua ricandidatura e soprattutto dei suoi guai giudiziari. Infatti, più si parlava della possibilità che Trump volesse la rivincita dopo la sconfitta del 2020 e più si moltiplicavano le inchieste giudiziarie a suo carico. Contro di lui è stata scagliata ogni accusa: da quella di stupro a quella di evasione fiscale, passando per il falso in bilancio e la cospirazione nazionale. Ognuna di queste imputazioni ha ovviamente trovato spazio in tribunale, dove all’ex presidente sono state addirittura prese le impronte digitali e scattate le foto segnaletiche, come si usa fare con i peggiori criminali. Ma né le indagini giornalistiche sul suo impero né quelle della magistratura sui suoi presunti reati sono servite a fermare la corsa presidenziale. E ora, a distanza di dieci mesi dal voto in cui si deciderà il 47° inquilino della Casa Bianca, Trump appare più che mai come un candidato in grado di vincere. Sì, se i giudici non interverranno, dichiarandolo ineleggibile oppure arrestandolo, il tycoon che ha sconvolto tutte le regole, a cominciare da quelle un po’ polverose del Partito repubblicano per finire a quelle un po’ ingessate dell’establishment di Washington, ha serie possibilità di sostituire Joe Biden alla guida degli Stati Uniti. Ciò che per molti fino a ieri era impensabile, o addirittura un brutto incubo dal quale sognavano di risvegliarsi presto, in realtà può effettivamente accadere e il risultato dell’Iowa sta lì a dimostrarlo. Va bene, lo Stato del Midwest non è tra quelli numericamente e politicamente più importanti. La sua popolazione in massima parte vive in piccoli centri e campa coltivando la terra e allevando bestiame. Dunque, sarebbe facile descriverli come bovari ignoranti, che si fanno abbindolare dalle promesse di quell’imbroglione di Trump. Ma questa è la lettura facile che si fa nelle redazioni, in particolare in quelle italiane, dove si arriccia il naso di fronte a qualsiasi persona non provenga da circoli politicamente corretti e culturalmente elevati. Sì, saranno anche contadini che puzzano di stalla quelli che hanno votato per Trump, ma questa è l’America profonda. A decidere il presidente degli Stati Uniti non sono i finanzieri di New York, o gli artisti di Los Angeles e San Francisco, cioè quelli che vengono frequentati dagli inviati spediti a caccia di reportage. A stabilire il sostituto di Joe Biden, saranno gli americani della provincia, quelli che vivono con il fucile a portata di mano e che sono pronti a traslocare portandosi al seguito la casa o la roulotte in cui vivono. Ricordo che otto anni fa, quando Trump vinse, nessuno era disposto a scommettere sul tycoon dalla capigliatura arancione. Durante un dibattito ad Acqui, Maurizio Molinari, all’epoca direttore della Stampa ed ex corrispondente dagli Stati Uniti, non ebbe dubbi: alla Casa Bianca si sarebbe insediata Hillary Clinton, perché già pratica di stanze ovali. Io fui il solo a dire che Trump ce l’avrebbe fatta. Non stavo bluffando, ne ero convinto, perché percepivo che l’America era molto diversa da quella scintillante e convulsa delle grandi metropoli di cui sono soliti parlare i miei colleghi. Trump incontra il consenso degli elettori che vogliono fermare l’immigrazione indiscriminata e che pretendono più legge e ordine nelle proprie città. Non sono americani bianchi e razzisti, come li vorrebbe dipingere una certa stampa. E nemmeno sono tutti ricchi e con il dito sul grilletto, come amano rappresentarli i nostri commentatori. È semplicemente un ceto medio ma anche operaio che si ribella alla cultura woke e alla riscrittura della storia. Una fascia sociale che esige la tutela delle sue aziende e non vuole che i propri figli vadano a morire in qualche guerra intorno al mondo. Sono elettori normali, quelli che desiderano un Paese normale. Soprattutto, sono quelli che il sogno americano se lo immaginano ogni giorno.