2025-02-11
Il pm e la giudice affiancati in piazza mostrano perché le carriere van divise
Dietro lo striscione, da destra, Leonardo Lesti, pm del procedimento sul treno deragliato a Pioltello, e il presidente del collegio che dovrà giudicare sul caso, Elisabetta Canavini (Ansa)
La foto di una manifestazione ritrae insieme due toghe che si affronteranno al processo sul disastro ferroviario di Pioltello.C’è una fotografia delle scorse settimane che vale più di tanti discorsi sulle opportunità della riforma che prevede la separazione delle carriere nella magistratura. È uno scatto della protesta che lo scorso 25 gennaio si è svolta di fronte al palazzo di giustizia di Milano, dove si vedono uno di fianco all’altra un pm (Leonardo Lesti) e un presidente del collegio del tribunale (Elisabetta Canevini), rivali nel processo sul deragliamento del treno regionale che sette anni fa causò la morte di 3 persone: la sentenza è prevista per il prossimo 25 febbraio. Si tratta di una vera e propria pubblicità per la riforma, che, secondo i suoi sostenitori, mira appunto a separare i percorsi professionali di giudici e pm in modo da evitare conflitti di interesse, garantire una maggiore indipendenza e, infine, migliorare l’efficacia del sistema giudiziario nel suo complesso. Del resto, nonostante questa rivalità naturale nel processo, spesso accade che, al di fuori dei tribunali, i giudici e i pm partecipino a manifestazioni comuni, come quelle in difesa dell’indipendenza della magistratura o per il miglioramento delle condizioni lavorative. Tra le toghe presenti alla manifestazione, infatti, se ne possono vedere in particolare due, una accanto all’altro, mentre reggono uno striscione dove viene riportata una frase di Piero Calamandrei a difesa della Costituzione. Sono una vicina all’altro. Per un normale osservatore non c’è nulla di particolare in quell’immagine, ma per chi conosce bene il palazzo di giustizia di Milano e segue la cronaca giudiziaria una particolarità c’è. La donna che regge lo striscione è appunto Elisabetta Canevini. Lavora presso la IX sezione del tribunale di Milano e presiede uno dei collegi giudicanti. In magistratura dal 1991, ha svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari, di pubblico ministero e infine di giudice penale dal 2002. L’altro a destra è invece il procuratore Leonardo Lesti, già presidente della sezione locale dell’Anm ma soprattutto tra i membri più attivi di Magistratura Democratica: era candidato alle ultime elezioni. Anche Lesti è stato in passato giudice (Tribunale di Montepulciano), per poi diventare procuratore. Anche Canevini è simpatizzante di Md, tanto da aver scritto alcuni articoli che si possono trovare sul sito Questione Giustizia, sponsorizzato proprio dalla corrente sinistra della magistratura. Ma gli incroci tra due non finiscono qui, perché oltre a protestare contro il governo Meloni per la riforma sulla separazione delle carriere, i due condividono anche lo stesso procedimento. Lesti è infatti da almeno cinque anni uno dei due titolari dell’accusa (insieme con Maura Ripamonti) nel processo sul disastro ferroviario di Pioltello, una storia che risale al 25 gennaio del 2018, quando in seguito al deragliamento del regionale Cremona-Milano Porta Garibaldi morirono tre persone e altre decine rimasero ferite. Canevini, da presidente del collegio giudicante, sarà quella che dovrà decidere su quanto richiesto dallo stesso Lesti e quanto ribattuto dalle difese. Al centro del procedimento ci sono le accuse di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo, lesioni colpose e solo per alcuni «rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro». Una prima sentenza è arrivata nel febbraio del 2022. Ernesto Salvatore, allora responsabile del Nucleo manutentivo lavori di Treviglio di Rete ferroviaria italiana, ha patteggiato una pena a quattro anni. Nel luglio del 2024 la pubblica accusa aveva chiesto per gli otto imputati rimasti tre assoluzioni e cinque condanne. Nello specifico due condanne a 8 anni e 4 mesi sono state richieste sia per l’allora amministratore delegato, nonché direttore generale di Rfi, Maurizio Gentile, sia per quello che era direttore della direzione produzione, sempre di Rfi, ovvero Umberto Lebruto. Sono stati invece chiesti 7 anni e 10 mesi per Vincenzo Macello, all’epoca del disastro direttore della Direzione territoriale produzione di Milano di Rfi; e due condanne a 6 anni e 10 mesi per l’allora responsabile delle linee sud della Direzione territoriale produzione di Milano di Rfi Andrea Guerini e per l’allora responsabile dell’unità Rfi di Brescia Lav 1 Marco Albanesi. Da quest’ultimo dipendeva il responsabile del nucleo manutentivo lavori di Treviglio di Rfi, ovvero Salvatore che ha patteggiato. La Procura ha anche chiesto di condannare per responsabilità amministrativa (legge 231 per reati commessi da propri dirigenti) anche la stessa Rete Ferroviaria Italiana al pagamento di una sanzione da 900.000. Secondo Lesti e Ripamonti il disastro ferroviario non fu «un fatto occasionale legato alla colpa» di «pedine che stavano più in basso», ossia degli operai, «ma la colpa arriva fino all’amministratore delegato». Ma qui potrebbe esserci il secondo paradosso della vicenda, perché l’accusa ha scagionato i manutentori nonostante sia emerso nel procedimento che avrebbero mentito e non avrebbero seguito le regole. Mentre ha chiesto la condanna dei vertici che per garantire la sicurezza hanno predisposto un complesso sistema di controllo ma soprattutto hanno seguito la normativa internazionale. Non a caso, secondo l’avvocato Ambra Giovene, difensore degli ingegneri Lebruto e Macello, «il processo ha dimostrato che ogni scelta è stata compiuta nel rispetto di un sistema complesso, correttamente regolato, certificato e organizzato. Le richieste di condanna non hanno alcun fondamento probatorio e si fondano su un pregiudizio che non dovrebbe mai trovare ingresso in un’aula di tribunale». Ora c’è attesa per la sentenza il prossimo 25 febbraio.
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