2019-09-01
Per il Viminale in corsa l’ex prefetto a favore dell’accoglienza senza limiti
Luciana Lamorgese a Milano impose a tutti i Comuni di ospitare i migranti. Al Mef rispunta Salvatore Rossi, una vita a Bankitalia e Ivass, fra i «dieci saggi» di Giorgio Napolitano.Nella gran lotteria del totoministri ci sono sempre bussolotti che hanno maggiori probabilità di uscire. Sono i «tecnici», i boiardi di Stato che hanno passato la vita nel cuore della pubblica amministrazione, sempre un passo dietro la politica. E che dalla politica ora potrebbero essere reclutati per dare un tocco di novità agli stanchi rituali (e alle stanche facce) del potere. In queste ore di concitazione e di veti incrociati, nella difficile gestazione del nascente governo giallorosso, due nomi si stanno affacciando con maggiore frequenza nelle chiacchierate tra i «cacciatori di teste» per altrettante poltrone strategiche del prossimo (eventuale) esecutivo a trazione grillin-piddina.Sono l'ex prefetto di Milano Luciana Lamorgese e l'ex direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi. Quest'ultimo, in realtà, è un evergreen della candidabilità: volevano (come oggi) farlo ministro dell'Economia già nel 2013, al tempo di Enrico Letta premier. Quando l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo inserì nella commissione dei «dieci saggi» chiamati a redigere un programma di larghissime intese. Di quella task force facevano parte, tra gli altri, Luciano Violante, Valerio Onida, Filippo Bubbico ed Enzo Moavero Milanesi. Alla fine gli fu preferito l'amico e collega Fabrizio Saccomanni, scomparso poche settimane fa in Sardegna. Settant'anni e una laurea in matematica sulle equazioni del trasporto di neutroni, Salvatore Rossi, pugliese come il premier Giuseppe Conte, ha trascorso quasi mezzo secolo negli austeri corridoi di Palazzo Koch dov'è entrato vincendo un concorso nel 1976. Partito dalla Vigilanza, ha scalato tutti i gradini della gerarchia interna fino a diventare direttore generale, componente del direttorio e presidente dell'Ivass, l'istituto che monitora le assicurazioni. Sospettato di simpatie montiane (nel senso del senatore a vita ed ex premier Mario Monti), Rossi ha lasciato nel marzo 2019 la carica di dg nella nostra Banca centrale annunciando l'indisponibilità a un'eventuale riconferma. Che, con tutta probabilità, difficilmente ci sarebbe stata considerata la diversa visione che il governo gialloblù aveva del ruolo e dei poteri di Bankitalia. E dei suoi uomini più rappresentativi.Ha lasciato il servizio attivo pure Luciana Lamorgese che, fino al 2018, quando ha compiuto 65 anni, è stata prefetto del capoluogo lombardo. Di natali potentini, ha iniziato la carriera nel 1979. Nel 2003 è stata nominata prefetto. Dal 2008 a 2009 è stata vicecapo di gabinetto del ministero dell'Interno, dove potrebbe tornare nei prossimi giorni nelle vesti di ministro. Dopo un'esperienza da prefetto a Venezia, nel 2012 è a capo del dipartimento personale e risorse del Viminale durante la stagione dei veleni del «corvo» che falsamente accusava i vertici della polizia di malversazioni in alcuni appalti su cui indagava la magistratura di Napoli. Nel 2013, l'allora ministro dell'Interno Angelino Alfano la sceglie come capo di gabinetto al posto del dimissionario Giuseppe Procaccini, travolto dalle polemiche in seguito allo scandalo legato ad Alma Shalabayeva, moglie del dissidente e uomo d'affari kazako Ablyazov rimpatriata in fretta e furia insieme alla figlia. Viene riconfermata da Marco Minniti finché nel gennaio 2017 lascia per diventare, prima donna, prefetto di Milano. Sotto la Madonnina, il prefetto Lamorgese è stato tra gli ispiratori e i più convinti sostenitori del Patto per l'accoglienza diffusa che ha fatto lievitare il numero di migranti ospitati a spese dello Stato nelle strutture della provincia lombarda. Un accordo che allargava anche ai 101 piccoli Comuni del comprensorio l'obbligo di ospitare i richiedenti asilo, fino a quel momento concentrati tra la città di Milano e i centri più grandi. Una scelta, avallata e sponsorizzata soprattutto dall'allora titolare del Viminale, Minniti, ma che fu duramente contestata da parecchi sindaci, soprattutto leghisti, che si rifiutarono di firmare l'accordo. La sottoscrizione del protocollo d'intesa non era su base volontaria, i migranti sarebbero arrivati comunque nella proporzione di tre richiedenti asilo per ogni 1.000 abitanti, ma offriva solo l'occasione ai primi cittadini di poter scegliere autonomamente le strutture ricettive nelle quali ospitarli. Era stato il prefetto Lamorgese a spiegare, nel corso di un incontro con gli amministratori locali, le modalità di attuazione del «Patto» e ad anticipare i contenuti della circolare. Ai sindaci veniva chiesto di «reperire unità abitative di soggetti pubblici o privati necessarie» con «idoneo contratto di locazione». Individuati gli spazi, la prefettura si sarebbe occupata di «fornire agli operatori economici interessati a partecipare ai bandi» tutte le informazioni necessarie. L'obiettivo era anche «favorire momenti di incontro e scambio» fra popolazione e migranti in «collaborazione con la rete delle associazioni e imprese del terzo settore» che avrebbero vinto i bandi per la gestione dei centri. Il ruolo della prefettura sarebbe successivamente stato quello di stipulare gli appalti «per i servizi di accoglienza sulla base delle disponibilità individuate dai sindaci». Mentre ai gestori era riconosciuto un rimborso «pro capite, pro die di 35 euro oltre Iva». Non è stato quello, comunque, l'unico momento di frizione tra la rappresentante del governo e gli enti locali del Milanese. La prefettura guidata dalla Lamorgese, infatti, trascinò davanti al Tar della Lombardia i sindaci (anche in questo caso spesso leghisti) che avevano chiesto ai proprietari delle strutture impegnate nell'accoglienza dei migranti di essere informati sulla partecipazione a nuovi bandi pena il pagamento di una sanzione. Ma il prefetto di ferro li aveva immediatamente bacchettati ricordando loro che l'immigrazione è «una materia di esclusiva competenza statale». E di fatto obbligandoli a ritirare le ordinanze.
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)
(Ansa)
La casa era satura di gas fatto uscire, si presume, da più bombole vista la potente deflagrazione che ha fatto crollare lo stabile. Ad innescare la miccia sarebbe stata la donna, mentre i due fratelli si sarebbero trovati in una sorta di cantina e non in una stalla come si era appreso in un primo momento. Tutti e tre si erano barricati in casa. Nell'esplosione hanno perso la vita 3 carabinieri e sono risultate ferite 15 persone tra forze dell'ordine e vigili del fuoco. (NPK) CC
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Mario Venditti. Nel riquadro, Silvio Sapone in una foto agli atti dell’inchiesta di Brescia (Ansa)
(Totaleu)
Lo ha affermato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Pietro Fiocchi in un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles, in occasione dell'evento «Regolamentazione, sicurezza e competitività: il ruolo dell’Echa (Agenzia Europea per le sostanze chimiche) nell’industria e nell’ambiente europei».