2019-08-19
Marco Minniti: «Per fare un governo noi e i pentastellati da soli non bastiamo»
L'ex ministro dell'Interno: «Il Colle vuole soltanto maggioranze ampie. Ma la storia d'amore tra Lega e grillini può ricominciare».Onorevole Marco Minniti, cosa succede adesso? «Ha presente il poeta?».Quale poeta? «Si ricorda la canzone di Adriano Pappalardo?». Questa citazione mi stupisce. «Guardi, se vuole gliela canto (inizia a cantare). Come faceva? “Ti, amoooo/ Ricominciaamoooo!"».Onorevole, lei è intonato, chi lo avrebbe mai detto?(Sorride) «Non mi sottovaluti. In nessun campo». E cos'è che ricomincia? «La storia d'amore tra Lega e M5s. Solo Giuseppe Conte può decidere di cambiare musica». Dice? «Sì, ma è una situazione molto complessa. Mi consenta di spiegarle tutto il quadro». Marco Minniti, ovvero il leader dell'ala più riformista e istituzionale del Pd. Avrebbe dovuto guidare la mozione di Matteo Renzi al congresso, ma - pur posizionato benissimo - si sfilò a sorpresa per un moto di autonomia, guadagnandone in prestigio presso tutte le anime del partito. È sempre stato scettico su un'intesa con il M5s. Per questo, quando spiega le condizioni alle quali si potrebbe fare un governo, bisogna starlo a sentire. Come la vede? «Se la situazione non fosse drammaticamente seria ci sarebbe da ridere. È la crisi più strana della storia della Repubblica».Addirittura. «Uhhhh... E parlo di un Paese che di crisi ne ha viste tante, dei tipi più disparati». Perché? Non solo perché è avvenuta a cavallo di agosto?«Noo... Per una sequenza di eventi che non hanno precedenti». Elenchiamoli. «Prima anomalia: il governo aveva appena incassato la fiducia». Vero. «E il decreto Sicurezza bis, su cui si era votato, metteva sotto stress il M5s, non certo la Lega». Vero anche questo. «Per bilanciare i dissidenti del M5s era arrivato persino un aiutino fraterno del centrodestra». Esatto. «E poi c'era stato un sì gigantesco sulla Tav. Anche questo una rogna per Luigi Di Maio. La costante era che il M5s perdeva con la Lega». Ma la crisi la fa Matteo Salvini!«Questo per me è qualcosa di non spiegabile. Così mi interrogo sulle vere ragioni della crisi». Ce ne sono di nascoste?«Se qualcuno avesse dubbi sulla fragilità della Lega, non deve fare altro che guardare l'evoluzione di questi giorni». Quale? «Le dicevo che dopo la drammatica rottura e l'ultimatum, adesso siamo alla fase del Ricominciamo».Sta accadendo davvero? «Sì, e con un gigantesco capovolgimento di ruoli. Fino ai primi di agosto il M5s appariva in un angolo, disposto a tutto pur di non subire la fine della legislatura». E adesso?«È esattamente il contrario». Come è possibile? «Gli errori della Lega. Salvini si è mosso da elefante in cristalleria». Come lo spiega? «O non ha previsto fino in fondo l'esito delle sue mosse. Oppure, come l'apprendista stregone di Disney, ha evocato dei fantasmi che non riesce a controllare». Possibile? «Rispetto a due settimane fa è come se fossero passati anni». Cosa è accaduto?«Salvini ha consumato in poche ore il patrimonio politico che aveva accumulato negli ultimi due anni».Effetto del voto europeo? «Se si fosse aperta una crisi dopo quelle elezioni sarebbe stata extraparlamentare ma comprensibile». E non è accaduta la stessa cosa con un effetto ritardato? «No. Salvini ha detto che non era un problema, che continuava a rispettare i patti». E poi però accelera.«Lo fa a Ferragosto, senza ragioni politiche. A meno che non si consideri elemento politicamente rilevante la reazione del presidente del Consiglio di cui Salvini è il vice».Dice che il vero motivo solo le mosse del premier?«Conte fa due gesti. Uno a caldo, quando dice - non smentito - che Salvini non guarda gli interessi del Paese e vuole monetizzare il voto. Non poteva esserci accusa più grave». E l'altro?«Il presidente del Consiglio, sulla Open arms, manda una lettera al ministro dell'Interno che rappresenta una bocciatura di 13 mesi di politiche leghiste». Dopo la sentenza del Tar. «Ma va ben oltre la sentenza! C'è un'accusa durissima: quella di non si aver avuto una strategia». Secondo lei c'è altro. «Sì, la cosa più importante. Il Russiagate. Il punto di fondo è che sul vicepremier gravano delle ombre. Cosa sarebbe accaduto a parti rovesciate? Cosa avrebbe fatto la Lega se fosse stato uno di noi?». Voi non siete stati teneri. «Al contrario. Non c'è stata da nessuno una iniziativa di carattere liquidatorio. Nemmeno da noi. Abbiamo portato la questione alle estreme conseguenze». Lo avete accusato di essere al servizio di Mosca! «Abbiamo solo chiesto al ministro dell'Interno una cosa elementare in una democrazia: di riferire in Aula». Era obbligato a farlo? «Non ci sono precedenti di un ministro dell'Interno che rifiuti di andare in Aula a chiarire». Però lei dice addirittura che la crisi parte da lì?«Sì. Perché il presidente del Consiglio non fuga i dubbi, li fa aumentare». Dice che Gianluca Savoini era invitato da Salvini e non da lui. «È a questo punto che Salvini rifiuta di andare in Aula e chiede lo scioglimento». Era una mossa calcolata forse? «È stata una scelta di debolezza. Il Russiagate per me gli ha fatto perdere sicurezza». Perché?«Per un leader nazional populista, per uno che si fa chiamare Capitano senza esserlo, lo è». Dice? «È come per Nembo Kid essere colpito dalla criptonite! Comunque vada a finire, si è creata una rottura nel governo». Salvini voleva il voto subito. «Il Blitzkrieg e il veni vidi vici insieme: e sono falliti entrambi». Dice? «Salvini non è l'uomo della provvidenza. È uno come tutti gli altri». E i problemi delle opposizioni? «È evidente che non possiamo accettare una sostanziale derubricazione di questa fase». Cioè? «Questa crisi si deve consumare fino in fondo». In che modo? «Salvini e i suoi volevano la crisi rimanendo attaccati alle poltrone. Senza ritirare la delegazione. Senza un voto in Parlamento». Per non perdere tempo. «Capisco. Ma ora la crisi va consumata in un limpido rapporto con il Parlamento». È nelle mani di Conte. «Cosa dirà il presidente del Consiglio al Paese? Se la Lega ritirasse la mozione all'ultimo minuto, sarebbe come se entrasse in scena un omino con un cartello: “Fermi tutti, eravamo su Scherzi a parte"». Non le andrebbe bene?«Passeremmo dalla tragedia alla farsa». È tutto chiaro, ma lei non mi parla del Pd.«Una forza di opposizione, quando c'è una situazione così delicata, deve spiegare che non ha paura del voto». Lo avete fatto. E poi?«Trovandosi di fronte qualcuno che ha messo in campo una evidente forzatura democratica si occupa del bene dell'Italia».Cosa considera una forzatura?«Aver proposto di fatto un referendum sulla sua testa. Ma tutti i tentativi di costituire dei referendum sulle persone sono falliti». Anche quello di Matteo Renzi intende? «L'idea di uscire dall'angolo e di chiedere pieni poteri. Le due cose insieme rendono evidente una sfida “uno contro tutti"».Perché dice questo?«Perché ora i tutti possono unirsi. E i tutti valgono più di uno». La Lega ha sempre la maggioranza. «Salvini non è invincibile. Dopo il 6 agosto Salvini perde, perché gli altri si uniscono». Quindi anche lei vuole un governo.«Le elezioni sono una via di uscita più diretta. Ma nel momento in cui verrà formalizzata la crisi cambierà tutto lo scenario». Perché? «Il dominus diventerà il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella in queste ore è il guardiano attento e in quelle ore diventerà il custode ultimo della crisi». Lei vuole il governo o no? «Primo. Se si dovesse andare al voto non ci sono le condizioni perché sia gestito da Salvini. Deve essere il garante di tutti. Il ruolo politico di Salvini lo impedisce. È colui che ha aperto la strada allo scioglimento con uno strappo irrispettoso del parlamento». Secondo? «Il presidente della Repubblica può valutare le condizioni per una maggioranza ampia, solida, progressiva e discontinua. Se Mattarella lo valuta il Pd non deve sottrarsi. Guardando agli interessi del paese». Ampia che significa? «Non ci possono solo stare solo Pd e M5s, gli sconfitti delle politiche e delle europee». Ma il Pd regge? «Nel nostro Dna c'è inscritto l'obbligo di tenere insieme gli interessi del Paese. L'opposizione deve vivere questa vicenda con l'altezza della sfida». Siete divisi tra renziani e zingarettiani!«Il cuore della questione non possono essere gli equilibri dei gruppi parlamentari del Pd. Ma il destino del Paese. Mai come adesso i destini di un singolo partito dell'opposizione sono così connessi al destino dell'Italia». E i renziani? Se prima ci stanno e poi si sfilano, come teme Nicola Zingaretti? «I rischi non sono quelli del trappolone. Si tratta di fare un triplo salto mortale senza rete. Di cambiare le ruote della macchina in corsa». E allora? «Non so se ci saranno le condizioni. Ma certo non possiamo farlo guardandoci l'ombelico».Quindi lei si fida dei renziani? «Il Pd non può permettersi di diventare esso stesso l'epicentro della crisi. Questo si sarebbe un drammatico errore».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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