Che rabbia mi fa ascoltare i politici e i loro corifei. All’improvviso hanno scoperto che se dichiari guerra (economica) a un bullo è possibile che il suddetto reagisca dichiarandola a te e se non sei pronto a schivare il colpo è altrettanto possibile che tu finisca al tappeto. Ma davvero questi statisti della domenica con i loro corifei al seguito non si aspettavano che Vladimir Putin, per rappresaglia, ci avrebbe tagliato il gas e avrebbe messo in atto qualsiasi ritorsione per farcela pagare cara?
Che rabbia mi fa ascoltare i politici e i loro corifei. All’improvviso hanno scoperto che se dichiari guerra (economica) a un bullo è possibile che il suddetto reagisca dichiarandola a te e se non sei pronto a schivare il colpo è altrettanto possibile che tu finisca al tappeto. Ma davvero questi statisti della domenica con i loro corifei al seguito non si aspettavano che Vladimir Putin, per rappresaglia, ci avrebbe tagliato il gas e avrebbe messo in atto qualsiasi ritorsione per farcela pagare cara? Credevano sul serio alla storiella di uno zar del Cremlino ingannato da suoi portaborsette, i quali lo avrebbero convinto che l’invasione dell’Ucraina sarebbe stata una passeggiata sulla sponda del Dnepr? Realmente si aspettavano un crollo dell’economia di Mosca per effetto delle sanzioni e dell’embargo? Confesso che a sentirli non ci si crede, perché o siamo in presenza di una banda di incompetenti o abbiamo a che fare con una serie di personaggi in malafede. Ho passato in rassegna ciò che abbiamo scritto noi de La Verità e di Panorama negli ultimi sei mesi. E pur non essendo né ragionieri generali dello Stato, né analisti di geopolitica, le cose che sono accadute le abbiamo previste tutte e se potevamo immaginarle noi, in redazione, fatico a pensare che non lo potessero fare i ministri, gli onorevoli e i loro portacroce. Era il 22 marzo, cioè meno di un mese dopo l’invasione dell’Ucraina, quando Giuseppe Liturri spiegò perché il decreto sugli extragettiti delle compagnie dell’energia non poteva funzionare. Il nostro collaboratore non è il mago Otelma, ma una persona abituata a leggere i documenti prima di parlare. Sì, scrivendo su un giornale ha l’abitudine di informarsi, cosa che non fanno molti colleghi che pure si presentano con il patentino da cronista rilasciato dall’ordine che vigila sulla categoria. Se a La Verità ci eravamo accorti a marzo che il provvedimento del governo non poteva funzionare, perché al ministero dell’Economia se ne sono accorti a fine agosto? Domanda destinata a restare senza risposta, perché quando è messo con le spalle al muro, il Potere finge di non aver sentito e, ovviamente, il cosiddetto cane da guardia si accuccia come un cagnolino, evitando di chiedere lumi. Che Putin avrebbe usato l’arma del gas, anche questo si sapeva, prova ne sia che su Panorama già il 2 marzo ci interrogavamo su quanto sarebbe costata la guerra e non pensavamo certo ai vecchi fondi di magazzino dell’Esercito che la Difesa aveva inviato a Kiev, ma ai contraccolpi economici che - testuale - «per l’Italia significano ritorsioni sui nostri prodotti, prezzi dell’energia fuori controllo e inflazione record per i consumatori». La copertina rappresentava una lampadina che bruciava tra le fiamme. Ribadisco: era il 2 marzo. Il 13 aprile invece, sempre Panorama, senza aspettare l’Economist sei mesi dopo, parlava del boomerang delle sanzioni. Sotto un tubo annodato dal quale usciva un filo di fumo, il sommario raccontava che invece di piegare Vladimir Putin, le misure decise dall’Europa producevano effetti che non toccavano il cuore della potenza russa, che grazie ai profitti sull’energia si preparava a nuovi scenari geo-economici alternativi. «Così “l’arma finale” dell’Occidente si ritorce contro chi l’ha impugnata. E mentre l’Europa procede in ordine sparso, l’Italia paga un prezzo per decine di miliardi». Dico: noi siamo giornalisti e per mestiere stiamo con gli occhi spalancati e le orecchie aperte, a caccia di notizie. Ma nessuno fra noi cronisti sta nella stanza dei bottoni, a Palazzo Chigi, nella sede di qualche ministero o anche al vertice di qualche grande azienda dell’energia. E se a noi era evidente quanto stava accadendo, perché non lo era anche per chi ci governa e chi siede in Parlamento? Oggi, che a pensionati con 600 euro al mese arrivano bollette da 880 e alle imprese che spendevano 5.000 euro ne sono richiesti 25.000, tutti - politici e giornalisti - si fingono Alice nel Paese delle meraviglie e parlano di tetto al prezzo del gas da imporre a Putin, di tasse sulle aziende dell’energia da imporre al mercato, di prelievi sulle rinnovabili da imporre ai produttori. Ovviamente parlano a vanvera, come quasi sempre accade. Il tetto al prezzo del gas non lo puoi istituire con la forza, perché la Russia come prima reazione azzererà le forniture e questo non significherà solo battere i denti in casa, ma dover fermare buona parte della nostra industria, con i risultati immaginabili in termini di Pil e di occupazione. Le tasse sugli extragettiti non si aggiungono e non servono per pagare le bollette a chi non ha i soldi per farlo, in quanto quelle risorse sono già state allocate e dunque quando qualche ministro o giornalista parla di un «tesoretto» da riscuotere per saldare i conti di luce e gas delle famiglie, non sa ciò che dice. Infine, il prelievo sulle rinnovabili equivale a dire che nessuno investirà più sulle rinnovabili, perché se si tagliano i margini le imprese rifaranno i conti e magari scopriranno che non conviene fare altri impianti. La realtà è che per uscire dal vicolo cieco in cui ci ha precipitato una classe politica cialtrona che non aveva valutato le conseguenze delle sue azioni ci sono solo due strade. La prima si chiama in termini non eufemistici resa, ossia abbandonare l’Ucraina al proprio destino e far pace con la Russia per contenere le perdite, in attesa di un futuro in cui, Pd permettendo (già, la dipendenza energetica da Mosca si deve al partito della sinistra e al suo segretario), non dovremo più lustrare le pantofole a Putin. Capisco che sarebbe un disastro, una scelta politicamente umiliante, difficile da digerire per noi e per i nostri partner. Dunque, ci resta le seconda: riunire i nostri alleati che con il gas stanno facendo affari d’oro perché hanno ridotto le forniture, speculando esattamente come specula Putin, e costringerli a pompare più metano, a un prezzo calmierato. Traduco: l’unico tetto al prezzo del gas che si può imporre è a casa nostra, ossia a Olanda, Norvegia, Stati Uniti eccetera. Se no la guerra a Mosca la continuino loro, ossia i 17 milioni di olandesi e i 5 milioni di norvegesi, mandino i loro aerei, i loro missili, i loro carri armati e le loro truppe. Perché va bene fare gli eroi, ma fare i fessi non ci piace.
Ansa
È la logica conseguenza del wokismo: i giudizi non si basano più su parametri oggettivi.
Se è vero che «i fascisti» sono tutti quelli che la sinistra definisce tali indipendentemente dalla loro adesione o meno agli ideali del fascismo, allora anche «i ricchi» sono tutti coloro che la sinistra indica come tali, in maniera puramente circostanziale e situazionista, in base all’opportunità politica del momento.
La surreale discussione sui «ricchi» privilegiati dalla Legge di bilancio, che altri non sarebbero se non quelli che guadagnano 2.500 euro al mese, non si limita a mostrarsi come una delle tante battaglie propagandistiche che la politica deve fare per segnalare la sua esistenza in vita ma è indice di una forma mentis estremamente interessante. Perché se è vero che definire «il fascista» in base al giudizio soggettivo che l’osservatore dà ai comportamenti dell’osservato - per arrivare ad associare un comportamento, una tendenza e financo un’espressione del volto a qualcosa di «fascista» - stabilire la categoria di «ricco» indipendentemente dal denaro che quella persona possiede significa, ancora una volta, rifiutare il principio di oggettività del dato del reale con tutto ciò che tale scelta implica.
Maurizio Landini e Elly Schlein (Ansa)
Bombardieri, come la Cisl, dice che non incrocerà le braccia e isola ancor più la Cgil Che ieri non ha firmato un rinnovo di contratto nella Pa: ennesimo dispetto al governo.
L’esecutivo nazionale della Uil, al termine di un vertice convocato ieri, ha approvato all’unanimità la convocazione di una manifestazione nazionale a Roma per sabato 29 novembre. Obiettivo? ottenere modifiche alla manovra economica varata dal governo. Insomma, sì a una manifestazione, no a uno sciopero. Questo significa anche che la Uil non aderirà allo sciopero generale del 12 dicembre convocato dalla Cgil, confermando l’allontanamento tra le due realtà sindacali.
Nelle stesse ore il segretario della Cgil Maurizio Landini si incontrava al Nazareno con Elly Schlein e altri dirigenti del Pd, che in questi giorni stanno incontrando le le parti sociali. Ma che l’azione di Landini sia ispirata politicamente lo dimostra la scelta di convocare uno sciopero in un giorno diverso da quello convocato dall’Usb. Questi ultimi, infatti, che negli ultimi mesi hanno dimostrato di riuscire a portare nelle piazze numeri importanti di manifestanti, ha scelto il 27 e il 28 novembre per l’agitazione indetta non solo da Usb, ma anche Cobas e altre sigle e riguarderà il personale di sanità, scuola, servizi e pubblica amministrazione, ma a rischio ci sono anche i treni e il trasporto aereo.
(Ansa)
Si è svolta a Roma la quarta Giornata del Veterano, durante la quale la sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti ha ricordato il ruolo dei militari che hanno riportato traumi nel servizio: «La Difesa non lascia indietro nessuno», ha commentato a margine dell’evento.
Il generale Florigio Lista, direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche della Difesa, ha spiegato: «Abbiamo fondato un laboratorio di analisi del movimento e stiamo formando dei chirurghi militari che possano riportare in Italia innovazioni chirurgiche come l’osteointegrazione e la Targeted Muscle Reinnervation».
Il rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, Nicola Vitiello, ha evidenziato l’obiettivo dell’iniziativa: «Dare ai veterani gli strumenti per un reinserimento completo all’interno della società e del mondo del lavoro».
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Giorgia Meloni (Ansa)
A beneficiarne è stato soprattutto chi guadagna fino a 15.000 euro (-7%) e fino a 35.000 euro (-4%). Corsa agli emendamenti alla manovra. Leo: «Dall’aumento dell’Irap potremmo escludere automotive e logistica».
Ormai è diventato un mantra, una litania che la sinistra, con il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che fa da apripista, ripete da giorni. È una legge di bilancio che diminuisce le tasse ai «ricchi», che dimentica le classi meno abbienti, una manovra squilibrata a vantaggio di pochi. La risposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è che è stata effettuata invece un’operazione di riequilibrio a vantaggio del ceto medio, che nelle precedenti leggi di bilancio era stato sacrificato per concentrare risorse sulle famiglie in maggiore difficoltà. C’è quindi un filo conduttore che segna gli anni del governo Meloni, ovvero la riduzione complessiva del carico fiscale, come annunciato nel programma elettorale, che si realizza per tappe dovendo sempre rispondere ai vincoli di bilancio e agli obiettivi di rientro del deficit concordati con la Ue. Obiettivi che dovrebbero essere raggiunti con il calo del deficit sotto il 3% del Pil, in anticipo sulla tabella di marcia.







