2023-10-29
Per difendere l’Ucraina valeva tutto. Con Gerusalemme cambiamo criteri
Doppio binario nei due conflitti: per sostenere Kiev abbiamo detto sì a bombe a grappolo, proiettili all’uranio e battaglioni neonazisti. Ma se lo Stato ebraico viene attaccato, vince la linea Zaki: bisogna capire i terroristi.Lo sentite il rumore di unghie che grattano sugli specchi? È lo stridore dell’ipocrisia: per l’Ucraina valeva tutto. Israele la passiamo ai raggi X.Con l’Ucraina abbiamo ragionato a metri cubi. Con Israele siamo tacco e punta. In Ucraina tolleravamo tutto. I battaglioni neonazisti? Son bravi ragazzi, leggono Kant in trincea. I cittadini coscritti ricorrendo alla violenza? Questi sono in guerra, mica vanno per il sottile. Le bombe a grappolo? Brutte, però le usano pure i russi. I proiettili all’uranio? Nessun pericolo radioattivo. Con Israele, invece, siamo tornati osservatori imparziali: ci vuole una reazione proporzionata, che rispetti il diritto internazionale.Con l’Ucraina abbiamo guardato il qui e ora: Mosca calpesta la sovranità di un Paese, Kiev ha diritto di decidere del suo destino, c’è un aggressore e c’è un aggredito, è intollerabile che uno Stato ne invada un altro. Gli otto anni di conflitto che hanno preceduto il 24 febbraio 2022? Relegati nell’oblio, recintati nei blog dei reporter complottisti, amici dei secessionisti del Donbass. La strage di Odessa? C’è stata, ma forse non fu proprio una rappresaglia antirussa. L’espansione a Est della Nato? L’Occidente aveva intenzioni purissime, sono quei paranoici del Cremlino ad averci fraintesi.Con Israele, al contrario, ci siamo riscoperti storici. E giù a sciorinare la cronologia degli eventi: l’intifada, la guerra dello Yom Kippur, la crisi di Suez, i due Stati, la nakba palestinese, il sionismo. Come ha precisato il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, gli attentati di Hamas non sono mica «arrivati dal nulla»; sono il prodotto di «56 anni di soffocante occupazione». Un formidabile colpo di reni, con cui è stata vendicata l’importanza di indagare le cause dei fenomeni. Di contestualizzare, come si diceva una volta. Chi, citando studiosi e diplomatici del calibro di John Mearsheimer ed Henry Kissinger, ci aveva provato quando i russi attaccarono l’Ucraina, era stato dipinto come l’utile idiota di Vladimir Putin. E adesso? I fautori della linea Zaki - vanno capite le ragioni dei terroristi - sono fiancheggiatori della jihad? In fondo, Ismail Haniyeh, leader dei miliziani, l’ha dichiarato in modo esplicito: i tagliagole si nutrono del «sangue delle donne, dei bambini e degli anziani» palestinesi, per aizzare «lo spirito rivoluzionario». Peraltro, il guanto di velluto con Hamas conduce a un paradosso: l’organizzazione chiama la Russia «il nostro amico più caro». Allora? Processiamo lo zar criminale e patteggiamo con i radicali incappucciati? Attenzione: guai a ignorare la mattanza degli innocenti. Tra le macerie di Gaza sono sepolti uomini, mamme, neonati. Nessuno può compiacersi delle parole usate dal portavoce di Benjamin Netanyahu, per qualificare l’offensiva di terra: «rabbia» e «vendetta». Non esistono azioni belliche senza danni collaterali, ma è sacrosanto che la comunità internazionale provi a contenere la reazione israeliana. Certo, giudicare è complesso: per esempio, non si sono visti Paesi musulmani spalancare le porte ai profughi. E nella costernazione per i caduti civili, talora evapora la condanna per l’ecatombe jihadista. Il punto è proprio questo: la realtà non è bianca e nera. Non è sempre facile individuare buoni e cattivi. Il pensiero binario funziona poco. Lo stavamo scordando.Sì: è ammesso pensare che la parte del leone, come Mosca con Kiev, in Medio Oriente l’abbia fatta per lo più Israele. È logico sposare la lotta ucraina. Ed è comprensibile sforzarsi di distinguere i macellai del 7 ottobre dagli arabi che sono stati, a lungo, vittime delle angherie di coloni ed esercito israeliani, oltre che pedine del gioco perverso di Hamas. È lecito andare in piazza e invocare la pace, senza venir scambiati per simpatizzanti dei fondamentalisti. Solo, il principio andava fatto valere pure nel caso dell’Ucraina. Se per la pace si deve trattare coi mostri maomettani, per la pace si dovrà trattare col mostro Putin.L’altra sera, mentre i tank penetravano nella Striscia, la Casa Bianca chiedeva agli alleati: qual è la vostra strategia? Dubitare è permesso, oggi. Ma noi, quando giuravamo di voler sostenere la resistenza gialloblù «fino alla vittoria», che strategia avevamo? Si poteva invocare un negoziato anche prima che la controffensiva si rivelasse un mezzo fiasco, costato la vita a decine di migliaia di soldati? Era necessaria la caccia al putiniano? Perché ora è à la page dissociarsi da chi difende il suo diritto a esistere? Per quale ragione - finché l’insofferenza Usa non ha raffreddato gli entusiasmi per il «nuovo Churchill», Volodymyr Zelensky - era tutta una questione di bene e male, tipo nei western, dove i «nostri» yankee sbaragliano gli indiani d’America? Abbiamo fatto un passo avanti. A meno che tanta raffinatezza intellettuale non sia la foglia di fico per una manovra disonesta: concludere che, tutto sommato, questi ebrei se la sono cercata.