Non dà la pensione giusta ai militari. L’ennesimo pasticcio targato Inps

Militari in pensione per malattie gravi come infarti o tumori oppure vittime di incidenti mentre prestavano servizio, non ricevono dall’Inps quanto gli spetta di pensione. È quanto denuncia l’Associazione sindacale professionisti militari (Aspmi) che da anni si batte per la tutela del personale militare, in particolare di chi ha dovuto cessare il servizio dopo essere stato riformato.
La questione va avanti da anni. E rischia di creare una vera e propria voragine nei conti dell’Inps guidato da Pasquale Tridico. In pratica, da almeno il 2012, l’ente previdenziale, nonostante sia di sua competenza, non paga 3 mesi di assegni che spettano a chi cessa il servizio perché, appunto, congedato dopo una malattia o un incidente sul lavoro. E questi assegni, spiega il sindacato che ha anche scritto al ministro della Difesa, Guido Crosetto, «maturano il diritto di calcolo per la tredicesima mensilità. Il combinato disposto [...] permette al personale cessato dal servizio per inabilità, di percepire la tredicesima mensilità per intero. Purtroppo, tale evidente diritto non viene applicato ai militari che vengono collocati in quiescenza».
Per di più, secondo l’Aspmi, «il collocamento in pensione, a causa di inabilità, è determinato, molte volte, da patologie importanti, quali ad esempio infarti, ictus, tumori, che non permettono di avere una tale lucidità mentale utile ad accorgersi immediatamente del maltolto».
Secondo l’Inps, toccherebbe all’amministrazione Difesa versare quando dovuto mentre, al contrario, la Difesa rimanda la palla nel campo dell’Inps. In media ogni anno sono almeno 500 i militari dell’esercito che vengono riformati. Ma questo discorso vale anche per chi presta servizio nell’aeronautica o nella marina. Insomma, per compensare quanto non versato negli ultimi anni ci potrebbero volere milioni di euro. Anche per questo motivo si continua a perdere tempo su chi ha la responsabilità dei pagamenti.
Il ministro Crosetto avrebbe già dato ragione al sindacato e avrebbe convocato una riunione tecnica con i vertici dell’Inps. Ma, a quanto risulta alla Verità, ci sarebbe poco da discutere su chi debba versare questi tre assegni. Nel 2012, infatti, fu la stessa Inps che, rispondendo ad un ente della Difesa sulla questione (era il 26 novembre 2012, come si legge in un documento), spiegò che era di sua competenza il pagamento del personale militare. Eppure, in questi 10 anni, non è cambiato nulla. «Ad aggravare la questione» scrivono in una lettera i fondatori del sindacato, Francesco Gentile e Leonardo Mangiulli, «è che i ratei della tredicesima devono essere corrisposti entro l’anno in cui sono stati maturati, questo perché devono far parte dei redditi dell’anno e quindi sottostare all’applicazione della tassazione annua corrente, la quale, fino al 2021, era del 38% e successivamente diminuita al 35%. Inoltre, il mancato pagamento entro i termini di legge del compenso configura anche un danno economico certo per lo Stato, che è pari alla differenza tra tassazione corrente e tassazione separata ovvero tra aliquota massima ed aliquota media».
Del resto, non è la prima volta che l’Istituto nazionale di previdenza incappa in questi errori di calcolo. Già lo scorso anno il sindacato aveva chiesto il ricalcolo di chi, quando era in servizio, aveva percepito l’indennità di aeronavigazione per paracadutismo, compresi carabinieri, guardia di finanza e polizia. In pratica l’Inps non aveva applicato la maggiorazione del 10%. Solo dopo una lunga battaglia da parte dell’Aspmi, nell’agosto del 2022 l’Inps aveva ammesso il suo errore che sarebbe stato dovuto a un «problema di calcolo informatico».






