2025-02-15
Se si tratta di andare contro i pensionati i giudici appoggiano pure il governo
Palazzo della Consulta (iStock)
La Consulta promuove il «raffreddamento» della rivalutazione degli assegni più alti: «Il meccanismo non è irragionevole».Chi si aspettava di avere indietro i soldi persi a causa della minore rivalutazione delle pensioni decisa dal governo con la legge di bilancio 2023 per gli anni 2023-2024, deve mettersi il cuore in pace perché non vedrà un euro degli arretrati.La Corte costituzionale ha infatti dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti che avevano contestato il «raffreddamento» della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps. Secondo la magistratura, il meccanismo legislativo «non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità». I trattamenti previdenziali in questione sono quelli oltre i 2.394,44 euro lordi mensili.Dopo tanti scontri su altri versanti, per la prima volta, la magistratura è sulla stessa linea del governo. Dà ragione a quanto stabilito con la manovra economica e sottolinea che non sono stati colpiti i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici. Nonostante la beffa e i danni per i pensionati. A sollevare il problema della legittimità costituzionale della norma sono state la Corte dei conti Toscana e quella della Campania. Secondo la Consulta, «il meccanismo, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione». I giudici costituzionali dicono che «le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti». Quindi viene riconosciuto che il governo ha tenuto a mettere in sicurezza i redditi previdenziali più bassi che sono quelli sui quali l’inflazione si fa sentire di più. La perequazione è il modo in cui lo Stato dovrebbe garantire ai pensionati la tutela del potere d’acquisto delle loro pensioni, rivalutandole ogni anno per agganciarle all’inflazione.E coloro che ci hanno rimesso dal «raffreddamento» della rivalutazione? La Corte affronta anche questo tema e precisa che «delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti». La Cgil ha alzato le barricate. Il segretario confederale, Lara Ghiglione, e il segretario nazionale dello Spi Cgil (il sindacato dei pensionati), Lorenzo Mazzoli, pur conoscendo la necessità di tutelare i pensionati con assegni più bassi, lanciano l’allarme sull’«erosione del potere d’acquisto per centinaia di migliaia di pensionati, senza alcuna garanzia di recupero futuro. Non si può far cassa sulle pensioni, giustificando tagli con la necessità di politiche economiche di emergenza che si trasformano poi in misure strutturali». E anche se la Corte sostiene che delle perdite subite si potrà tenere conto in eventuali future manovre, «questa non può essere considerata una garanzia», dicono i sindacalisti. Ma come spiegato a suo tempo dall’Ufficio parlamentare di bilancio, i risparmi di spesa ottenuti non indicizzando tutte le pensioni al 100% sono stati usati «per la copertura finanziaria di altri provvedimenti della manovra di bilancio».Circa il 73% dei pensionati ha una pensione fino a 2.400 euro lordi al mese (cioè fino quattro volte il minimo) e poco più del 6% ha un assegno inferiore il trattamento minimo di circa 600 euro (per la precisione 598,61). La legge di bilancio per il 2024, approvata alla fine dell’anno scorso, è intervenuta di nuovo sul meccanismo di indicizzazione delle pensioni, modificando la percentuale dell’indicizzazione per le pensioni con un valore superiore a dieci volte la minima (parliamo di oltre 5.000 euro lordi al mese). L’indicizzazione di queste ultime è scesa dal 32% al 22%, mentre per tutte le altre è rimasta uguale a quella dell’anno prima. Per il 2024 l’aumento è stato del 5,4%, più basso del 7,4% in vigore nel 2023, quando però si è cercato di colmare l’aumento di inflazione del 2022, più alto rispetto ai due anni successivi.A fine novembre il ministero dell’Economia ha stabilito il tasso di rivalutazione per il 2025 pari allo 0,8% con un conguaglio a fine anno. Da quest’anno è tornato il meccanismo a fasce differenziate: all’importo della pensione fino a quattro volte il minimo, si applicherà l’intero tasso di rivalutazione previsto nella misura dello 0,80%; mentre, per le pensioni di importo da quattro a cinque volte il minimo, il tasso di rivalutazione è dello 0,72% e per quelle oltre cinque volte il minimo dello 0,60%.Il senatore della Lega Claudio Borghi aveva detto, replicando alle critiche, che in realtà il governo Meloni ha aumentato tutte le pensioni. «Chi ha una pensione alta gli è aumentata lo stesso, ma un po’ meno».