2022-11-27
Pechino impone un vescovo «amico». Ira del Vaticano che però se l’è voluta
Durissima nota contro la nomina di monsignor Giovanni Peng Weizhao, non ostile al socialismo: «Mai più». Ma l’errore è stato fidarsi di Xi Jinping.Il comunicato emesso ieri dalla Santa Sede rappresenta una prima seria frattura nei rapporti tra Cina e Vaticano da quattro anni a questa parte, quando il 22 ottobre 2018 fu siglato per la prima volta un accordo «provvisorio e segreto» sulla nomina dei vescovi.La nota della Santa Sede esprime «sorpresa e rammarico» per quanto avvenuto il 24 novembre a Nanchang con «la cerimonia di installazione» di monsignor Giovanni Peng Weizhao a vescovo ausiliare «della diocesi dello Jiangxi»: una scelta approvata dalle autorità cinesi, ma non riconosciuta da Roma. Inoltre, il vescovo «installato» era stato nominato da Francesco nel 2014 per un’altra diocesi, quella di Yujiang, e per questo anche arrestato per sei mesi dalle autorità cinesi, ma durante la cerimonia del 24 novembre, come riporta l’agenzia Asianews, monsignor Peng ha letto un giuramento che, tra l’altro, dice di «aderire alla direzione del cattolicesimo del mio Paese in Cina, guidare attivamente il cattolicesimo ad adattarsi alla società socialista…». Il comunicato della Santa Sede non lascia troppi dubbi sul fatto che il vescovo, come peraltro tutta la chiesa sotterranea dello Yujiang, a cui appunto monsignor Peng era stato assegnato da Roma, possa aver subito serie pressioni per una «regolarizzazione». L’evento di Nanchang, infatti, recita il comunicato della Santa Sede, «non è avvenuto in conformità allo spirito di dialogo esistente tra la parte vaticana e la parte cinese e a quanto stipulato nell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, il 22 settembre 2018. Per di più, il riconoscimento civile di Mons. Peng è stato preceduto, secondo le notizie giunte, da lunghe e pesanti pressioni delle autorità locali». Il discusso accordo tra Cina e Vaticano per la nomina dei vescovi, rinnovato due volte, nel 2020 e nell’ottobre scorso, se doveva rappresentare l’avanguardia dell’Ostpolitik vaticana nei confronti di Pechino, nei fatti però ha dato ben magri risultati. La nomina di vescovi condivisi non ha affatto risolto il problema delle diocesi prive di pastore, che continuano a essere più di un terzo delle 97 totali, visto che in quattro anni si sono nominati secondo l’accordo appena sei vescovi (due dei quali già concordati anni prima). Inoltre i prelati «sotterranei» che sono stati nominati da Roma e mai riconosciuti da Pechino, subiscono forti persecuzioni, e molti sono agli arresti. Poi c’è il caso del cardinale Joseph Zen, 91 anni, coriaceo vescovo emerito di Hong Kong, da sempre contrario all’accordo tra Vaticano e Pechino, che proprio in questi giorni ha subito la condanna, insieme ad altri cinque imputati, al pagamento di una sanzione per non aver registrato in modo corretto un fondo umanitario utilizzato per assistere i manifestanti a favore della democrazia nelle strade di Hong Kong nel 2019. E si appresta a dover subire un secondo processo, che lo accusa di essere stato colluso con forze straniere proprio per sostenere quelle manifestazioni. La Santa sede finora non è mai intervenuta in modo pubblico in difesa dell’anziano porporato, sempre, probabilmente, tenendo nell’orizzonte la salvaguardia dei rapporti e dell’accordo rinnovato. Ma ora, con il comunicato di ieri, si è evidentemente rotto qualcosa. La situazione si è fatta insostenibile, nonostante i tanti filocinesi che abitano tra le sacre stanze, convinti sostenitori dell’accordo, tra cui spicca monsignor Claudio Maria Celli, arcivescovo in pensione e vero agente sul campo dei rapporti tra Pechino e Santa sede. È stato lui, da quando Cina e Santa sede hanno ripreso i dialoghi ufficiali nel 2014, ad essere stato messo dal Papa fra i responsabili dei negoziati. Dei suoi ripetuti viaggi in Cina sono circolate diverse foto di lui insieme a vescovi cinesi reintegrati nella piena comunione con la Santa sede, l’ultimo viaggio è avvenuto proprio nell’agosto scorso per definire l’ultimo rinnovo dell’accordo. Con lui ha lavorato alacremente per l’accordo la Comunità di Sant’Egidio, grazie anche all’esperto di cose cinesi della Comunità, il professor Agostino Giovagnoli. Ma anche il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, è stato un convinto fautore di questa politica, sebbene in occasione dell’ultimo rinnovo abbia diplomaticamente detto che «abbiamo scelto, e ancor di più sotto impulso da parte di papa Francesco, la politica dei piccoli passi».Adesso però la «camminata lenta» è comunque inciampata contro la celebrazione del 24 novembre scorso, una sorta di goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il comunicato di ieri, per quanto in pieno stile vaticano assai felpato, è in realtà un fragoroso «alt». «La Santa sede», recita in conclusione il comunicato, «auspica che non si ripetano simili episodi, resta in attesa di opportune comunicazioni in merito da parte delle autorità e riafferma la sua piena disponibilità a continuare il dialogo rispettoso, concernente tutte le questioni di comune interesse». Il prezzo da pagare per l’accordo sta diventando sempre più insostenibile e l’impressione è quella che, invece, di garantire uno spazio riconosciuto alla fede cattolica, il risultato raggiunto sul campo dall’accordo sia quello di stringere vescovi, preti e fedeli in comunione con Roma dentro a una specie di gabbia.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson